Il filosofo della bontà, un Candide 2.0 in carne e ossa

Il filosofo della bontà, un Candide 2.0 in carne e ossa

09.09.2019
La penultima bontà
La penultima bontà
autori: Josep Maria Esquirol
formato: Libro
prezzo:
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Intervista a cura di Velania La Mendola

Nell’epoca delle passioni tristi è necessario avere libri luminosi, positivi, letture che diano speranza. Come quelli scritti da Josep Maria Esquirol, filosofo catalano notissimo in madre patria e pubblicato per la prima volta in Italia da Vita e Pensiero nel 2018. Si tratta di La resistenza intima e del recente La penultima bontà. Per entrare nel mondo di questo pensatore – ospite del Festival della Dignita e di Torino Spiritualità a fine settembre – è bene prendere confidenza con alcuni concetti chiave che delimitano (o meglio accrescono) la sua filosofia. “Coltivare il giardino” ad esempio, ci spiega Esquirol - un uomo alto e slanciato, con un tono di voce pacato, gli occhi cerulei vivaci e caldi, un Candide 2.0 in carne e ossa - significa: «non essere il centro di un movimento, non essere la “maiuscola delle cose”, ma stare ai margini e lì prendersi cura delle cose che sono da sempre». Il giardino per eccellenza, da cui prende le mosse il libro, è quello di Adamo ed Eva. Ma attenzione, nella filosofia della prossimità l’uomo nasce ai margini e quindi: «Non ci hanno cacciato da nessun paradiso. Ne siamo sempre stati fuori. In realtà, e per fortuna, qui il paradiso è impossibile. Qui, ai margini: la genesi e la degenerazione, la vita e la morte, l’umano e l’inumano – poiché solo l’umano può essere inumano –, la prossimità e l’indifferenza». Ai margini, secondo Esquirol, il male è profondo, ma la bontà lo è di più.

La bontà di cui parla è riservata solo a poche anime elette?
La mia filosofia non parla di santi o eroi, perché donare è qualcosa che possiamo fare tutti, certo con misure diverse, così come il “donare” possiede un registro amplissimo. Donare tempo, donare mezzi, donare accoglienza… ma anche donare ‘gentilezza’. Ci sono piccoli gesti, gentili e quotidiani, che sono già donazione. Per questo l’‘urbanità’ correttamente intesa è profonda.

Le cosiddette “buone maniere”?
Esatto, non si tratta solo di ‘buona educazione’, spesso i piccoli gesti nascondono un’inclinazione esistenziale molto più profonda. «Dopo di voi, prego» è un cedere il passo. I gesti gentili hanno la virtù di escludere i loro opposti: l’abbraccio allontana il timore; la mano aperta, l’odio; l’alzata di spalle, il fanatismo; il massaggio, il dolore; le carezze, il pianto; l’inarcare le sopracciglia allontana il malumore e schiude alla simpatia; il sorriso addolcisce l’aria che si respira; l’umiltà nello sguardo lascia parlare l’altro. I gesti della generosità rimandano segretamente agli atti più straordinari. Sono questi atti, e non le idee astratte, a essere fari di speranza in momenti ed epoche di buio. 

Ci sta dicendo che il mondo si può salvare con piccoli gesti quotidiani?
Ho chiamato il mio metodo filosofico cammino dell’ingenuità. Capisco che questo possa creare qualche accusa di buonismo. Ma io non rivendico uno sguardo infantile sul mondo, il mio essere in-genuo significa vicino alla genesi, alla base, alla nascita, al suolo. Sguardo filosofico, sguardo attento e sguardo ingenuo sono sinonimi. A volte la bontà sembra piccola e impotente di fronte alla mostruosità e all’estensione del male. Ciononostante, nella sua impotenza e nella sua debolezza, è invincibile. L’unica rivoluzione possibile per me è quella della generosità e della fraternità. Difficilissima, ma reale, fattibile. Iniziando dal poco. Pochi centimetri di differenza possono essere una grande differenza. La bontà quotidiana degli uomini è la speranza del mondo.

Nel libro racconta che durante un viaggio tra le montagne dell’Himalaya ha trovato all’esterno di un monastero buddhista una pietra su cui è inciso questo indovinello: «Cosa bisogna fare perché una goccia d’acqua non si secchi?». Sul retro della stessa pietra si legge la risposta: «Lasciarla cadere nel mare». Una bella immagine sulla quale però si sofferma per contestarla, perché?
Perché corrisponde a un’idea di integrazione oceanica e di totalità che non mi appartiene. C’è una risposta alternativa, propria dei margini (delle intemperie, del deserto) in cui invece credo: cosa bisogna fare perché una goccia d’acqua non si secchi? Posarla sulle labbra di qualcuno che ha sete.

 

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