Lavoratori e cittadini: l'alleanza necessaria

Le relazioni necessarie: lavoratori e cittadini

08.05.2018
Lavoratori e cittadini
Lavoratori e cittadini
autori: Rosangela Lodigiani
formato: Libro
prezzo:
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L’Italia è una repubblica fondata sul lavoro. Basterebbe il primo articolo della Costituzione per spiegare il titolo del nuovo libro della sociologa Rosangela Lodigiani, Lavoratori e cittadini. Eppure non è così, perché la complessità della relazione tra cittadinanza e lavoro è tale da richiedere una riflessione più ampia. Spesso infatti ci si accorge di questo legame solo quando nei percorsi personali insorgono delle difficoltà o si vivono cambiamenti importanti: un infortunio, un licenziamento improvviso, la chiusura di un’attività in proprio, l’arrivo di un figlio… Abbiamo incontrato l'autrice per approfondire il tema.

Il libro ci presenta da subito questo ampio panorama di possibilità, partendo da storie concrete di donne e uomini di varie età e di diverse professioni: sono storie vere? 
Si, chiaramente uso degli pseudonimi, ma sono storie reali che ho raccolto facendo diverse interviste. Quando ho cominciato a scrivere il libro ne ho selezionate alcune particolarmente rappresentative: da @Marco (la chiocciolina è un richiamo social all'attualità di queste storie), 51 anni, dipendente a tempo indeterminato che si frattura la tibia giocando a calcetto, fino a @Camilla giornalista free lance in crisi e in cerca di collaborazioni; da @Alì immigrato operaio che non trova lavoro fino ad @Anna, commessa di un negozio con due figli e un marito disoccupato, @Paolo. Ci sono anche i giovani, laureati e con il sogno di stabilità nel cassetto o ancora studenti universitari con progetti alternativi in giro per il mondo.

Alla base delle sue tesi c’è la definizione della parola “cittadinanza”: amore per la patria secondo Marco, avere dei doveri e dei diritti per Paolo, un sogno da realizzare per Alì, un concetto astratto per il giovane Riccardo che si sente cittadino europeo più che italiano. Lei scrive che hanno tutti ragione e che la cittadinanza ha due dimensioni, una verticale e una orizzontale. Cosa significa? Secondo la definizione classica, scritta dall’inglese Thomas H. Marshall negli anni ‘50, la cittadinanza da un lato implica la fedeltà alla comunità nazionale e dall’altro riconosce a tutti membri una uguale dotazione di diritti e doveri. Vi ritroviamo quindi quei concetti ormai diventati patrimonio comune, espressi in vario modo nelle interviste. Tuttavia la cittadinanza non è solo una concessione data da un’autorità a un soggetto, che la riceve rimanendo passivo, ma è un esercizio attivo della persona. Per questo comprende una dimensione verticale, cioè la concessione del titolo di cittadino conferito dalle istituzioni, e una dimensione orizzontale, cioè l’acquisizione di tale titolo attraverso la partecipazione attiva alla vita collettiva in qualità di cittadino. Su questo secondo aspetto spesso non ci si sofferma, così come mentre è facile elencare i diritti di un cittadino oggi (sociali, civili, politici) è più difficile stilarne i doveri…

Ad esempio? Ai tempi di Marshall i doveri potevano più o meno essere elencati così: pagare tasse e contributi, assolvere l’obbligo di istruzione e il servizio militare, lavorare. Con una promessa: per il tramite del lavoro la cittadinanza si sarebbe estesa e arricchita. Ma oggi? Cosa si intende per lavoro? E a quale titolo il lavoro è premessa di cittadinanza per tutti? Come sviluppiamo il sentimento di fedeltà e appartenenza alla comunità tramite il lavoro? @Alì, come è facilmente immaginabile, è il primo a non trovare soddisfacenti le risposte di un tempo. Nella sua storia si condensa il paradosso di una cittadinanza che conserva una base nazionale e occupazionale in uno scenario economico e di mobilità transnazionale. Ma anche per @Anna e @Camilla il discorso è ben più complesso.

In Lavoratori e cittadini dedica infatti un capitolo al rapporto donne/lavoro parlando sia della classificazione svalorizzante di “funzione improduttiva” riservata alle casalinghe (di cui - scrive -  manca in italiano il corrispettivo sostantivo maschile) e a tutti i lavori di cura della famiglia, ma anche della progressiva e inarrestabile femminilizzazione del lavoro. Possiamo parlare di una vera e propria riscossa? La femminilizzazione della forza lavoro è certamente uno dei cambiamenti più rivoluzionari della storia recente. Tuttavia, in particolare i sistemi di welfare non hanno saputo accompagnare questa svolta emancipatoria e ancora stentano a farlo. l’Italia spende l’1,7% del Pil per la funzione famiglia e minori, ampiamente meno della media europea al 2,4%, e di Paesi come la Francia (2,5) o la Germania (3,2). È esplicita su questo punto la testimonianza di @Anna: fino a quando non ha goduto di una maggiore stabilità lavorativa e della maggiore forza negoziale  nel gestire gli orari di entrata, e soprattutto di uscita, con maggiore flessibilità, senza l’aiuto dei suoi genitori non avrebbe potuto rientrare al lavoro a tempo pieno.

Precariato, lavoro ad ostacoli, un mito della flessibilità che ha molti svantaggi a lungo termine. Sono tanti i punti da lei esplorati. Tra questi  c’è anche il rapporto tra nuove tecnologie e sfruttamento del lavoro: cita ad esempio i rider in maglia rosa di Foodora o i fattorini di Amazon, spesso mal pagati, non tutelati, sottoposti a ritmi di lavoro difficilmente sostenibili… l’accelerazione dei servizi e la loro indubbia comodità ha un prezzo che pagheremo noi? Senza essere apocalittici, si può dire che al momento c’è un quadro normativo sul lavoro che ha troppe falle rispetto ai cambiamenti in corso. Esempi come quelli citati nascondono dietro l’efficienza verso il consumatore il rischio di una serie di trappole per chi lavora con orari e ritmi di lavoro difficilmente sostenibili e pagamenti non sufficienti. Penso anche al crowdworking (letteralmente, ‘lavoro di folla’ o ‘folla che lavora’) su  piattaforme online in cui si partecipa alla realizzazione di un progetto in remoto, a distanza, dal proprio terminal, senza capire il quadro d’insieme a cui si partecipa: sondaggi, inchieste, like postati su Facebook, sul profilo di determinate aziende/prodotti per farne salire le quotazioni, piccoli lavori di scrittura, ecc.

Parla di Mechanical Turk? Ad esempio. È la prima piattaforma Amazon tramite cui si può accedere, come lavoratori autonomi, a compiti di ogni tipo con micro incarichi per micro prestazioni (micro task), miniaturizzate e serializzate sino al limite estremo di un semplice click sul mouse, che può essere pagato pochi centesimi. Edizione digitale del lavoro a cottimo: un mercato del lavoro globale, delocalizzato e iperparcellizzato… Il lavoro rischia di finire così doppiamente in frantumi: sul piano della regolazione contrattuale e sul piano dei contenuti.

Uno dei capitoli si intitola Il piano inclinato della modernità: siamo palline destinate a cadere? Non sono così pessimista, ma mi preme mettere in chiaro che il “lavoro” e il modo in cui lo gestiamo determina anche il nostro tipo di società. L’impatto della crisi scoppiata nel 2008 è stato violento e ci ha indotto ad aprire gli occhi sugli effetti perversi prodotti dall’illusione di una crescita illimitata del mercato: speculazione e indebitamento, disoccupazione e impoverimento, disuguaglianze economiche e sociali, declino demografico e pressione migratoria senza precedenti… Se il lavoro si frantuma, si frantuma anche l’identità dell’essere cittadini e quindi si ledono i legami sociali.

Quali sono i modi per resistere a questa disgregazione? Bisogna rinnovare le forme di protezione e rappresentanza del lavoro, sperimentare e innovare le tutele sociali in dialogo con l’interesse collettivo, imparare dalle esperienze di altri Paesi, anche dagli aspetti di criticità che fanno emergere (penso ad asempio  al «conto di attività personale» Compte personnel d’activité avviato in Francia), riorientare le politiche di welfare e fiscali per costruire un sistema di tassazione che incoraggi chi genera effetti positivi sull’economia e sul lavoro. Insomma ci sono vari modi di resistere a una discesa sul piano inclinato, ripartendo in primis dalle “persone”, non dagli individui, cioè da un concetto di essere umano come essere relazionale, che ha dei legami sociali: il lavoro è uno di questi fondamentali legami e il patto di cittadinanza deve quindi trasformarsi in un’alleanza, strategica per il nostro futuro.

(intervista a cura di Velania La Mendola)

 

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