Abbracciare Dante e non perdere la "speranza dell'altezza"

Si intitola Abbracciare Dante. Annotazioni in margine al Canto II del Purgatorio l’articolo di mons. José Tolentino Mendonça, Archivista e Bibliotecario di Santa Romana Chiesa, pubblicato sulla “Rivista del Clero” che qui condividiamo con un piccolo estratto. In questa riflessione, condivisa a Ravenna lo scorso 13 settembre 2020 in avvio delle celebrazioni del settimo centenario della morte di Dante Alighieri, il noto teologo e poeta portoghese si sofferma sul prodigio che accade nella lettura dei grandi classici: «I classici sono coloro che non riusciamo a considerare morti, con cui cerchiamo incessantemente il dialogo, interrogandoli prima che su di loro su noi stessi e sul nostro cammino, e soprattutto lasciandoci interrogare da loro». Rileggere Dante, massimo poeta del popolo italiano e insieme poeta dell'umanità tutta, non è quindi il lusso di una cultura separata dalla realtà, spesso tragica, della storia umana, ma un aiuto prezioso a riconoscere il senso del nostro cammino verso la promessa del bene e della bellezza.
di José Tolentino MendonçaInfatti, nella poesia non si devono cercare risposte, ma semplicemente una forma di contemplazione del mondo alla luce dello sguardo di Dio, che si dischiude nel nostro se solo abbiamo la pazienza e l’umiltà di attenderne la rivelazione, sorgiva e rigenerante, aperta dall’autospoliazione da luoghi comuni, precomprensioni usurate, solipsismi narcisistici e strumentali. Il poeta reinventa la lingua perché reinventa lo sguardo, dandogli la profondità insondabile del senso, che è dono di Dio all’uomo, evento di bellezza, giustizia e verità. Questa passione poetica della parola come specchio profetico del mistero dell’uomo e della storia contemplati nella luce dell’eternità, io la trovo in Dante mirabilmente, inestinguibilmente accesa [...].
Le pagine che intendo leggere con voi, che troviamo nel secondo canto della seconda cantica, ci collocano in una fase di transizione, nel passaggio perplesso e guardingo tra un ciclo appena concluso (la traversata infernale del male privo di redenzione) e l’inizio di uno nuovo (la purgatoriale ricostruzione del bene attraverso l’espiazione purificatrice). Dante e Virgilio, appena risaliti dalla voragine infernale, si aggirano nella riva dell’isola del Purgatorio per trovare l’ingresso della montagna penitenziale. [...]
E io: «Se nuova legge non ti toglie
memoria o uso a l’amoroso canto
che mi solea quetar tutte mie doglie,
di ciò ti piaccia consolare alquanto
l’anima mia, che, con la sua persona
venendo qui, è affannata tanto!».
‘Amor che ne la mente mi ragiona’
cominciò elli allor sì dolcemente,
che la dolcezza ancor dentro mi suona.
Lo mio maestro e io e quella gente
ch’eran con lui parevan sì contenti,
come a nessun toccasse altro la mente.
(Purg., II, 106-117)
Casella intona il suo canto e si consuma l’incantesimo sempre nuovo dell’arte: i viaggiatori disorientati e in affanno dell’Antipurgatorio si fermano, dimentichi della destinazione da trovare, dimentichi del viaggio penitenziale che li attende, del prima e del poi, assorbiti in un istante di perfetta concentrazione. È l’esperienza di presente assoluto donata dall’arte, donata dal senso, in cui vivi e morti, maestri e discepoli, autori e lettori, creatori e fruitori (Lo mio maestro e io e quella gente / ch’eran con lui) si trovano uniti in una esperienza di gioia e verità talmente piena che sembra non poter contenere nient’altro (parevan sì contenti, / come a nessun toccasse altro la mente).

Ma io sono convinto che solo chi è capace di fermarsi ad ascoltare la voce che aduna i vivi e morti nell’unisono spirituale della pura contemplazione della propria umanità troverà la via del monte, la strada della correzione e della purificazione che ci restituisce alla verità di quello che siamo, alla pace e alla giustizia sociali che scaturiscono dal mutuo riconoscimento della nostra comune dignità. Certamente non è a Dante che dobbiamo chiedere istruzioni sul cammino da prendere in questo doloroso, ancora irrisolto e insidioso, arduamente penitenziale anno, ma raccoglierci intorno a lui, per ascoltare il suo «poema di perdono e di salvezza», ci aiuta a riconoscere il senso del viaggio e a non perdere la speranza dell’altezza (Inf. I,54), verso la promessa del bene, della verità e della bellezza.
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