Il Milite ignoto: il soldato simbolo dell'Italia unita

Il Milite ignoto: il soldato simbolo dell'Italia unita

04.11.2021
La Grande Guerra
La Grande Guerra
autori: Gabrio Forti, Alessandro Provera
formato: Libro
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Oggi, 4 novembre 2021, in occasione della Giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate, viene reso omaggio alla tomba del Milite ignoto presso l’Altare della Patria di Roma. Esattamente cento anni fa, nel 1921, dopo un viaggio durato tre anni, un convoglio speciale, partito da Aquileia, entrava a Roma, in mezzo a una folla reverente. Trasportava un soldato, d’identità sconosciuta: uno dei tanti e molti giovani caduti al fronte per la patria; uno dei tanti figli, giovanissimi, pianti dalle loro madri. Era stata Maria Bergamas, madre triestina, addolorata per la recente perdita del figlio in un combattimento del Carso, a scegliere proprio lui tra le undici salme non identificate che sarebbero state sepolte nella basilica di Aquileia: lui, il Milite ignoto, che da cent’anni è omaggiato come simbolo del lutto nazionale. Per celebrare questo centenario, vi proponiamo due estratti tratti da due volumi della serie Giustizia e letteratura.

Di Giorgio Del Zanna 
La Grande Guerra: un conflitto totale e globale.

La prima guerra mondiale fu poi una grande esperienza di morte di massa. Non solo fu smisurato il numero dei caduti in battaglia, ma poi si rimaneva a contatto diretto per lungo tempo con i cadaveri. Molto spes­so i morti rimanevano insepolti per settimane nelle trincee e nella ter­ra di nessuno perché non potevano essere recuperati né inumati a cau­sa dell’infuriare dei combattimenti. Si finiva, perciò, per convivere con­tinuamente con la morte. Tale esperienza di morte di massa, nei nume­ri e nel vissuto, l’Europa non la sperimentava dai tempi delle grandi epi­demie dell’età medievale e moderna. Ai milioni di morti nei campi di bat­taglia, si aggiunsero, inoltre, le vittime della ‘spagnola’, l’epidemia di in­fluenza che provocò 18-20 milioni di morti. Di fronte a tale esperienza, i governi e le popolazioni europee furono spinti a sviluppare delle politi­che della memoria capaci di colmare il vuoto creato dall’enorme massa di morti. Gli Stati e le società hanno avuto il problema, soprattutto una volta conclusa la guerra, di rielaborare questo lutto di massa provando a dargli un senso, quasi sempre in chiave patriottico-nazionalista. Gran parte del­la cittadinanza aveva avuto un parente, un amico o un conoscente mor­to in guerra. Ne è derivato lo sviluppo di una vera e propria politica della memoria che ha rappresentato, anche in questo caso, una novità prodot­ta dalla guerra. Furono creati così i cimiteri e i memoriali di guerra, con le distese di croci tutte uguali, quasi un’espressione plastica della massifi­cazione prodotta dalla carneficina della guerra. Accanto ai cimiteri sorse­ro numerosi i monumenti. Non c’è paese o villaggio, in Italia e in Euro­pa, che non abbia la sua lapide o il suo monumento ai caduti della prima guerra mondiale. Accanto a tutto questo si sono poi sviluppate le grandi celebrazioni nazionali, dando vita attorno al culto dei caduti a una sorte di ‘liturgia’ nazionale, con i suoi luoghi, riti, canti. In Italia è emblematico il caso dell’altare della patria che era sorto in realtà come monumento al re Vittorio Emanuele II, ma che in seguito negli anni Venti venne trasfor­mato nel monumento al milite ignoto, il quale rappresenta il soldato mas­sa, cioè il soldato senza nome, senza identità. Il milite ignoto è colui che rappresenta tutti i caduti senza distinzione. Tale luogo divenne il centro di un culto e di una liturgia nazionale, un fattore importante nel processo di nazionalizzazione delle masse italiane. 

(tratto da La grande guerra. Storie e parole di giustizia
a cura di Gabrio Forti e Alessandro Provera)

Di Gabrio FortiAlessandro Provera e Biancamaria Spricigo
Umanità in trincea. Voci di giustizia da una grande guerra senza pace


Un treno corre dalla pianura friulana fino a Roma, come un nero cata­falco, carico di corone di fiori. Ai bordi della ferrovia, per tutto il tragit­to, una folla immensa saluta o piange un feretro: il milite ignoto. Poco prima, nella basilica di Aquileia, Maria Bergamas, madre di un soldato triestino disperso, Antonio, come massima espressione della mater dolo­rosa, è stata scelta per un compito ‘tremendo’: indicare, tra undici bare, quella che verrà tumulata nel sacello del milite ignoto nell’Altare del­
la Patria. Davanti alla decima bara, la liturgia di Stato, la celebrazione dell’eroe della vittoria, cede per la prima volta il passo allo strazio della donna. Sono tutti e undici i suoi figli, e Maria cade davanti alla bara, che poi verrà scelta e caricata sul treno.  Durante il viaggio, la liturgia di Stato cede per la seconda volta: il rap­porto tra il popolo e il milite ignoto è cosa ben diversa e ben più profon­da rispetto alla celebrazione dell’eroe. Le donne salutano quel feretro come se passasse davanti loro il figlio o il marito che non poterono più riabbracciare, sprofondato nella terra del Carso o nelle nevi della guer­ra bianca. Gli uomini piangono i figli, i commilitoni, i fratelli. Poco spa­zio vi è per la celebrazione della vittoria, o almeno questa passa in secon­do piano. Diventa, chilometro dopo chilometro, la liturgia del dolore di un popolo. Di un popolo che trova unità e si riconosce senza distinzio­ni in quel dolore. 

Nel viaggio da Aquileia a Roma, il soldato senza nome, il gregario per eccellenza, riesce a creare una comunione tra sé e il popolo, uno spiri­to di appartenenza, lontano dalla retorica, in cui si scorge un significato profondo di Italia unita. È il culmine, forse effimero, della tensione mo­rale del fante e del suo prospexi Italiam summa sublimis ab unda. In quest’u­nione fondata sulla comprensione si vede l’apice del Risorgimento come creazione dell’Italia e di un popolo unito.Di questa contrapposizione o, più propriamente, concorrenza tra la celebrazione e la verità della guerra, come anche del viaggio del mili­te ignoto rimangono ancor oggi due simboli: i mausolei e le migliaia di monumenti ai caduti nelle singole città, paesi, frazioni. È impressionan­te il numero di questi ‘sacrari domestici’, costruiti all’interno della cer­chia delle mura di ogni città o paese, per un culto quasi intimo e fami­gliare dei propri caduti. Un dolore senza retorica. Molto spesso ‘a guar­dia’ di tali monumenti vi è un fante ignoto, o una mater dolorosa. Ed è al­trettanto impressionante il numero dei caduti, se rapportato a quello delle altre guerre, dal Risorgimento alla seconda guerra mondiale, che spesso è inciso in steli vicine a quelle della Grande guerra. Non che il va­lore della vita umana si calcoli numericamente, ma il ‘tributo di sangue’ nella Grande guerra fu immenso e sconcertante, soprattutto se riferito alla piccolezza di alcuni paesi che contano al giorno d’oggi poche deci­ne di anime. Questi monumenti testimoniano un sacrificio diffuso di un intero popolo, che trova una sua unità, dai piccoli paesi della pianu­ra padana, fino al sud. Proprio grazie ai tanti fanti ignoti dei monumen­ti che vegliano sulle centinaia di migliaia di caduti si trova quindi un’u­nità non solo artistica e iconografica, ma di significato.  

 

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