La riforma della giustizia

La riforma della giustizia

06.07.2021
Giustizia
Giustizia
autori: Francesca Fiecconi, Giovanni Canzio
formato: Ebook
prezzo:
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di Annarita Briganti*

La riforma, la scarcerazione di Brusca, gli errori giudiziari: è sempre più urgente parlare di giustizia e di come farla funzionare meglio, magari usando il modello Milano,come ci raccontano Giovanni Canzio e Francesca Fiecconi. Primo presidente emerito della corte di Cassazione il primo, consigliera della corte di Cassazione la seconda, magistrati di grande esperienza, Canzio e Fiecconi sono gli autori del saggio Giustizia, pubblicato dalla casa editrice dell’Università Cattolica Vita e Pensiero, nella nuova collana “Piccola Biblioteca per un Paese normale”.

“Per una riforma che guarda all’Europa” è il sottotitolo del vostro libro: quali sono le cose più urgenti da fare?
«È ora di realizzare una riforma coraggiosa e audace della giustizia. Per quanto riguarda il processo civile più che intervenire sui riti, le forme di mediazione alternative dovrebbero essere regolamentate meglio, creando strutture forti, imparziali e competenti. Sul piano penale c’è uno squilibrio tra i poteri del pubblico ministero e quelli del giudice che dovrebbe controllarlo, ma non ha abbastanza poteri per farlo. I giudici per le indagini preliminari sono lasciati troppo soli, sono una figura fragile, debole».

Sì cambiare, ma in Parlamento o fuori?
«I referendum sono uno strumento democratico importante, ma si tratta di scelte molto tecniche e, con un Parlamento che sta affrontando il tema, non è il momento di creare un vuoto legislativo. Il progetto proposto dalla ministra Cartabia ha il coraggio e l’audacia che invochiamo anche nel nostro libro ed è in linea con le nostre posizioni, per esempio sul creare un ufficio del giudice, uno staff competente, giovane, tecnologicamente avanzato che lo aiuti nell’arrivare alla decisione finale e nella relativa documentazione».


Ha colpito l’opinione pubblica,tra i tanti casi del momento, la vicenda Brusca. Cosa ne pensate?
«Non bisogna valutarla in modo emotivo. Questa è la legge sui collaboratori di giustizia, che si può migliorare, ma intanto ha permesso di smantellare la cupola mafiosa con nomi, cognomi, poteri, funzioni. Senza i collaboratori di giustizia, che preferiamo non chiamare pentiti, non avremmo destrutturato Cosa Nostra e lo stesso avverrà per la ‘ndrangheta».

Milano com’è messa, per quanto riguarda la giustizia?
«È avanti. Qui è nato il processo civile telematico,che usa il digitale, grazie alla collaborazione con gli avvocati e al filo rosso della nostra analisi: la necessità di unire tutte le discipline e tutte le competenze, l’importanza di fare squadra. A Milano c’è la capacità di autorganizzarsi, con sacrifici enormi ma in grado di aprire gli armadi per smaltire le pratiche».

Le nuove frontiere della giustizia, come scrivete, sono il digitale e l’intelligenza artificiale. La tecnologia ridurrà il rischio dell’errore giudiziario?
«Come diceva Aristotele, la giustizia è la virtù perfetta,ma applicarla ad altri è “opera difficile”. La tecnologia può contribuire sia a ridurre gli spazi dell’incertezza del diritto sia a ridimensionare il rischio dell’errore giudiziario, ma una sentenza non può essere demandata a una macchina. Resta vitale l’atto del giudicare, le stesse macchine devono essere programmate bene, con i dati giusti. Il futuro non è un giudice robot, ma sono esseri umani in grado di governare le macchine».

* l'intervista è stata pubblicata su "La Repubblica Milano" del 6 giugno 2021 con il titolo "Serve una riforma della giustizia ispirata al modello Milano”; si ringrazia la giornalista Annarita Briganti per la gentile concessione alla riproduzione su questo sito.


 

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