Ob scenum: il potere fuori scena tra mafia e politica

Ob scenum: il potere fuori scena

07.04.2016
L’«egida impenetrabile»: mafia e potere nell’opera di Leonardo
Sciascia
L’«egida impenetrabile»: mafia e potere nell’opera di Leonardo Sciascia
autori: Roberto Scarpinato
formato: Capitolo
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di Roberto Scarpinato
Procuratore Generale presso la Corte d'Appello di Palermo

«All’inizio della mia esperienza pensavo di dovermi occupare solo di delitti di mafia, di personaggi come Salvatore Riina e Bernardo Provenzano, e invece seguendo passo dopo passo le tracce degli assassini, di coloro che si erano macchiate le mani di sangue sul luogo dei delitti, mi ritrovavo, nel corso delle indagini, nei santuari del potere: stanze ministeriali, Parlamento, vertici della Polizia e dei Servizi segreti, sedi di grandi banche e di multinazionali, e persino le stanze del Vaticano.

[…] Sono stato così costretto a guardare il volto della Medusa che si cela dietro le maschere cangianti del potere. Allora ti rendi conto che sei fortunato a essere ancora vivo, a non avere fatto la stessa fine destinata ai tanti che hai visto morire assassinati in questi anni, perché invece di limitarsi a processare solo gli abitanti della città dell’ombra – i Riina e i Provenzano paragonabili ai bravi di don Rodrigo – avevano osato alzare il livello delle indagini, avventurandosi nei mondi superiori popolati da una folla di grandi e piccoli don Rodrigo. Tentare di strappare la maschera che cela il volto della Medusa, o di perforare l’«egida impenetrabile» che protegge la realtà del potere [...] ti espone al rischio della morte. Se hai la fortuna di sopravvivere, paghi comunque un prezzo molto alto.

Il prezzo, per quanto mi riguarda, non è stato solo di condurre da circa un quarto di secolo una vita blindata. Ma di essere stato costretto ad assumere una psiche blindata. Di avere perduto la mia innocenza culturale, acquisendo un altro sguardo su me stesso e sulla vita. Di vedere la realtà con altri occhi. Gli stessi occhi con i quali la guardava il lucidissimo mio conterraneo Leonardo Sciascia. Così sono tornato a rileggere Sciascia e procedendo nella rilettura, la sensazione complessiva è stata quella di seguire il diario di bordo di un fratello maggiore che da scrittore aveva percorso in anticipo la stessa strada che io avrei percorso anni dopo da magistrato. Entrambi, sebbene attraverso itinerari ed esperienze diverse, avevamo attraversato lo stesso mare giungendo allo stesso approdo, quasi si trattasse di una rotta obbligata e segretamente segnata sin dall’inizio del viaggio. In un gioco di specchi, le illusioni e disillusioni di Sciascia ora nella maturità si intrecciavano con le mie stesse illusioni e disillusioni. Era per me sale sulle ferite la lucida lezione di Sciascia sull’impossibilità della giustizia e della verità in questo Paese. Nonostante gli anni trascorsi, la sua diagnosi e la sua prognosi infausta conservano piena attualità, perché non si fondavano sulla storia ‘breve’ del Paese, cioè su dati sovrastrutturali legati alle mutevoli contingenze della vicenda politica e sociale del Paese negli anni Sessanta-Ottanta del ventesimo secolo. La sua analisi affondava le radici nella storia ‘lunga’ dell’Italia, che custodisce il segreto DNA, i tratti strutturali formatisi nel corso dei secoli, dell’identità culturale nazionale, e della conseguente morfologia-patologia del potere che da quel DNA deriva.

Se dovessi definire il senso complessivo dell’opera di Sciascia, direi che egli ha messo in scena l’oscenità del potere. La parola osceno deriva dal latino ob scenum e significa letteralmente fuori scena. Sciascia mette a nudo il potere quale realmente è, e non quello che va in scena. Il potere reale, quello vero, quello che decide la qualità della vita di tutti e di ciascuno, non è quello che va in scena nei luoghi istituzionali (assemblee legislative nazionali, regionali, provinciali, comunali ecc.), né quello che si mette in scena nelle vetrine dei mass media. In questi luoghi si recita la commedia del potere a uso e consumo delle masse, si mettono in scena conflitti, a volte apparenti, dietro i quali si celano transazioni segrete. Il vero potere è quello che si esercita nell’osceno, cioè nel fuori scena, nella trama occulta degli accordi personali trasversali, nei corridoi e nelle stanze dei bottoni del palazzo. In un’intervista alla Rai, Sciascia afferma: «Il Potere non è nel Consiglio Comunale di Palermo, il Potere non è nel Parlamento, il Potere è sempre altrove. Lo Stato per me è la Costituzione e la Costituzione non esiste più». La messa in scena che il potere fa di se stesso è dunque un’impostura che avvolge la verità della vita nelle nebbie dell’apparenza, della retorica e delle false credenze. [...]

Il compito che Sciascia assegna a se stesso come intellettuale e come scrittore è appunto quello di smascherare le imposture del potere in tutte le sue declinazioni: potere politico, economico, ecclesiastico, mafioso. Imposture che ci impediscono di comprendere la realtà, di vedere la vita nella sua nudità, e che fanno di noi dei cittadini senza potere, marionette i cui fili sono tirati da occulti pupari. Pupari che ci imbottiscono la testa di false credenze, lasciandoci l’illusione di essere arbitri del nostro destino, un destino la cui trama è in realtà scritta segretamente per noi e contro di noi dagli artefi ci del potere. Le imposture, gli inganni del potere hanno infatti come scopo quello di lasciare le cose come stanno, di consentire al potere di riprodursi quale esso è, cambiando progressivamente pelle per rendersi irriconoscibile».

Da L’«egida impenetrabile»: mafia e potere nell’opera di Leonardo Sciascia (Giustizia e Letteratura II)

 

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