Anne Dufourmantelle: lo sguardo verso il bordo del quadro

verso il bordo del quadro,
Nata a Parigi il 20 marzo 1964, Anne Dufourmantelle è morta improvvisamente il 21 luglio del 2017, sulla spiaggia di Pampelonne, vicino a Ramatuelle (Var), in circostanze tragiche mentre salvava un bambino che stava annegando. Durante questo salvataggio, è sopraggiunto un arresto cardiaco. Anne Dufourmantelle aveva 53 anni.
Figlia di uno psicoanalista junghiano – come racconta Le Monde – aveva discusso la sua tesi di filosofia, intitolata La vocazione profetica della filosofia, nel 1994 sotto la direzione di Jean-François Marquet. Amica di Jacques Derrida, con il quale ha pubblicato il libro De l'hospitalité, era sia filosofa che psicoanalista, che scrittrice: aveva la capacità di unire armonosiamente talenti e interessi, ricorda Elisabeth Roudinesco; era infatti redattrice (prima alla Calmann-Lévy, poi allo Stock) e anche editorialista del quotidiano “Liberation”. Ha insegnato all’École d’Architecture de la Villette, all’École Normale Supérieure e alla New York University.
Membro attivo del Cercle Freudien, riceveva i suoi pazienti con estrema gentilezza, al quinto piano senza ascensore del suo studio sulla Rive Gauche. Era una «instancabile ricercatrice», secondo lo psichiatra e psicoanalista Guy Dana, suo amico e supervisore, con «un'umanità eccezionale». Una grande perdita anche per il suo compagno Frédéric Boyer, che le ha dedicato il libro Peut-être pas immortelle. Una donna speciale, come ha ricordato anche Charlotte Casiraghi che le ha dedicato "Les Rencontres Philosophiques de Monaco 2018": «era capace di abbattere pregiudizi con grazia e delicatezza».
Di fronte alla violenza del mondo contemporaneo ha infatti sostenuto l'idea che la dolcezza sia una potenza infinita; una teoria esposta nel libro Puissance de la douceur (in traduzione). Nel libro Elogio del rischio, invece, un testo intenso, poetico e commovente ha dimostrato un assunto di Hölderlin «Dove cresce il pericolo, cresce anche ciò che salva»; Anne Dufourmantelle ha fatto lievitare questo nucleo, ne ha dispiegato i contorni, fino ad affrontare il rischio fondamentale, l’essenza di ogni forma etica: il rischio di amare.
Nel libro dedica un capitolo anche al rischio di credere; leggiamo: «Credere è una dissidenza, o meglio un’abdicazione. In quanto dissidenza, si spinge verso un orizzonte che non contempla, che non può contemplare, perché il superamento dei limiti che essa incarna (credere non è anche un affetto? un impeto?) apre zone di resistenza creative, spazi letteralmente ‘squilibrati’, indomabili.
Credere, infatti, non significa necessariamente essere creduloni né dare spazio all’immaginario, ed è proprio questo che Kierkegaard ha tentato di pensare. Puntare sull’impensabile. Effettuare un salto. Affidarsi a una discontinuità là dove tutto ci riconduce senza sosta al continuo. Essere assolutamente irragionevoli non basta. Bisognerebbe spostare la linea dell’orizzonte... Cambiare discorsi, parametri, prospettiva. Volgere lo sguardo verso il bordo del quadro, vedere finalmente quel che accade ai margini, là nel dettaglio, cambiare alfabeto, storia, memoria.»
Parole di una donna che non ha avuto paura di andare al di là, di guardare verso il bordo, di gettarsi in mare per salvare un altro.
|
||||||||||||
€ 10,99
|
Articolo letto 1405 volte.
Inserisci un commento