Pomilio: un supplemento d'anima nella cultura

Pomilio: un supplemento d'anima nella cultura

14.01.2021
Scritti cristiani
Scritti cristiani
autori: Mario Pomilio
formato: Libro
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di Velania La Mendola

Mario Pomilio nacque in Abruzzo, a Orsogna (Chieti), il 14 gennaio del 1921, cento anni fa. Dopo la laurea in Lettere alla Normale di Pisa si trasferì a Napoli, dove si sarebbe spento nel 1990. I suoi studi di italianista si riversarono in saggi su Svevo, Pirandello, Verga. Nella narrativa esordì con il romanzo L’uccello nella cupola (1954), incentrato sulla crisi e sul riscatto di un giovane sacerdote.

I romanzi successivi – Il testimone (1956), Il cimitero cinese (1958), Il nuovo corso (1959), La compromissione (1965; Premio Campiello) – precedettero la pubblicazione di un capolavoro assoluto: Il quinto evangelio (1975), romanzo-saggio che in un ampio arco di storia della Chiesa dipana il «filo rosso» della ricerca di un Vangelo immaginario contenente un supplemento di Rivelazione, un libro suggellato da due riconoscimenti prestigiosi come il Prix du Meilleur Livre Étranger, in Francia, e il Premio Pax, conferitogli dalla Polonia. 
A un livello non inferiore si collocano la raccolta degli Scritti cristiani (1979; nuova ed. Vita e Pensiero, 2014) e l’ultimo romanzo, Il Natale del 1833 (1983; Premio Strega), che esplora l’anima di Alessandro Manzoni lacerata dalla perdita della prima moglie. Postumo uscì nel 1991 un frammento di romanzo interrotto, Una lapide in via del Babuino.

Negli Scritti cristiani Pomilio decise di raccogliere alcuni fra i suoi interventi più lucidi e pensosi sulla Chiesa del Concilio e sulle inquietudini dell’uomo contemporaneo. Qui l’autore ha messo a nudo le radici della sua visione del mondo, intrecciando memorie autobiografiche, riflessioni biblico-evangeliche, approfondimenti storici e letterari, spunti morali e sociali. Come ad esempio la riflessione sull’intellettuale.

Leggiamo: «Non esiste una politica “cattolica”, sembrava dire Sturzo, esistono dei cattolici che fanno politica. Analogamente il problema non è di tenere accesa una cultura cattolica, quanto di formare dei cattolici che facciano cultura, che cioè, senza complessi e senza riserve, si pongano al servizio della cultura. Il problema cioè non è di definire o di elaborare una cultura cattolica separata secondo un vecchio e ormai sconfitto separatismo religioso creandogli attorno gli argini culturali, ma d’essere presenti alla cultura di tutti, partecipi da comprimari al moto complessivo delle idee, lavorando e intervenendo alla pari sullo stesso terreno dei laici e anzi accettando la laicità della ricerca come condizione. Il dialogo tanto conclamato significa proprio questo: uscire alla grand’aria, non limitarsi a un discorso di cattolici per i cattolici, lavorare con tale dignità da rendere insostituibile la propria voce e da diventare un punto di riferimento per tutti».

E ancora, in un testo intitolato La responsabilità dell’uomo di cultura, rimasto a lungo inedito e riproposto nell’ultima edizione postuma della raccolta: «se è vero che la tecnica sta portando l’uomo verso esiti rischiosi, la meccanizzazione, la disumanizzazione, è vero pur sempre che è compito anche dell’uomo di cultura (a patto altrimenti d’abdicare alla sua primaria ragion d’essere in quanto uomo di cultura) di sforzarsi d’offrire alla società che lo circonda quel «supplemento d’anima» di cui ha bisogno. Le testimonianze sulle proprie lacerazioni interiori e le proprie angosciate avventure solipsistiche hanno grande fascino, non lo nego; e sono anche fonte di successo immediato, così come ciò che distrugge penetra sempre più rapidamente di ciò che costruisce. Ma l’uomo di cultura, lo scrittore, non sono solo testimoni di se stessi: sono anche responsabili, al più alto grado, della sorte della civiltà che essi pretendono di incarnare e di rappresentare. Essi debbono, sì, situarsi al livello del proprio tempo; ma debbono anzitutto situarsi al livello dei bisogni morali del proprio tempo.»

 

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