Le statue nella "Divina Commedia"

Dante e il "visibile parlare" della scultura

30.09.2021
«Visibile parlare»: l’arte medievale come linguaggio
«Visibile parlare»: l’arte medievale come linguaggio
autori: Marco Collareta
formato: Capitolo
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La Divina Commedia è un mondo letterario talmente ricco che vi sono molti modi per attraversarla da lettori. Ad esempio possiamo passeggiare con Dante come se fossimo in una galleria d'arte, soffermandoci su immagini che sembrano quadri, tanto sono ben dipinte dall'autore; ma possiamo anche sostare di fronte a delle sculture di marmo, opere d'arte che prendono corpo dalle terzine.
È quello che succede attraversando il canto X del Purgatorio, come ci ricorda Marco Collareta, studioso di storia dell’arte, nel saggio «Visibile parlare»: l’arte medievale come linguaggio che vi consigliamo di leggere in occasione del settecentesimo anniversario della morte di Dante.

Siamo nella prima cornice del monte.
Oltrepassata la soglia del Purgatorio, Dante e Virgilio stanno per incontrare i superbi, tra cui il miniatore Oderisi d’Agobbio, ma prima si fermano a meditare su tre grandi esempi di umiltà premiata, che si presentano, prendendo in prestito le parole del sommo poeta, come altrettanti «sculture di marmo bianco e finemente intagliato, in modo tale che non solo Policleto, ma la stessa natura ne sarebbe vinta». I soggetti rappresentati sono lAnnunciazione, la Danza di David davanti all’arca e la Giustizia resa da Traiano alla vedovella

Rileggiamo alcuni versi: 
Là sù non eran mossi i piè nostri anco, / quand’io conobbi quella ripa intorno /che dritto di salita aveva manco, / esser di marmo candido e addorno / d’intagli sì, che non pur Policleto, /ma la natura lì avrebbe scorno. / L’angel che venne in terra col decreto / de la molt’anni lagrimata pace, / ch’aperse il ciel del suo lungo divieto, / dinanzi a noi pareva sì verace / quivi intagliato in un atto soave, / che non sembiava imagine che tace.  / Giurato si saria ch’el dicesse ’Ave!’; / perché iv’era imaginata quella / ch’ad aprir l’alto amor volse la chiave; / e avea in atto impressa esta favella / ’Ecce ancilla Deï’, propriamente / come figura in cera si suggella.

Che Dante fosse particolarmente attento e interessato al mondo delle arti visive e figurative lo testimoniano la Divina Commedia e le altre sue opere – basti pensare ai celebri versi in cui immortala l’epocale passaggio di testimone tra Cimabue e Giotto –, ma ancora più interessante per lo storico dell’arte risulta il linguaggio che Dante adotta nel descrivere questi esempi di umiltà premiata perché trovare un collegamento tra le parole e le idee di Dante e le “cose d’arte” a cui si riferisce ci può aiutare a ripercorrere l’esperienza artistica medievale. Scrive Collareta: «Le sculture in marmo che Dante ci presenta non appartengono infatti propriamente all’arte figurativa, ma a una descrizione e dunque all’arte della parola. Sulle parole impiegate dal sommo poeta dobbiamo pertanto concentrarci».

Tra una terminologia attenta ai dati tecnici e materiali («marmo candido», «intaglio», «intagliato») e una terminologia relativa invece alle persone, alle cose e alle azioni rappresentate, troviamo una serie di termini che mirano a qualificare, in senso proprio, gli oggetti come arte figurativa («imagine», «effigiata», «storiata»). Ed è qui che incontriamo l’espressione agostiniana «visibile parlare», che in generale indica ogni forma di comunicazione che si svolga per mezzo di segni percepiti con gli occhi. In Dante assume un significato più plastico, più “figurativo”. Continua Collareta: «Il “visibile parlare” di Dante è qualcosa di profondamente diverso. “Atteggiato e scolpito” nel marmo, esso trova il suo diretto riscontro nell’arte figurativa, e più particolarmente nella grande scultura, del gotico italiano del Due e Trecento, quando un nuovo dominio della figura umana sembra piegare la materia inerte alle più complesse esigenze di una rinnovata predicazione per immagini».

È in questo senso, secondo l’autore, che bisogna intendere l’idea medievale – e quindi anche di Dante – di linguaggio visivo: «L’arte figurativa vale essenzialmente come traduzione o adattamento di un testo scritto». Tra le varie applicazioni del principio, continua Collareta, la più conseguente è offerta dagli exultet, dove il testo latino, che veniva letto dal diacono dall’ambone, corre rovesciato e sfasato rispetto alle figure che lo illustrano, destinate a essere guardate in contemporanea dai laici. Questo non deve stupire: già san Gregorio Magno affermava che «guardare una rappresentazione figurata è un po’ come leggere».

Il tema verrà approfondito, nell’ambito della rassegna letteraria “Autori di oggi Capolavori di ieri”, da Marco Collareta, che terrà una conferenza su “Dante e le arti del suo tempo” sabato 9 ottobre alle ore 18.00 presso il Salone Leone X della Villa Medicea di Poggio a Caiano.

 

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