Il diritto di sbagliare andando

«Caminante, son tus huellas
el camino, y nada más;
caminante, no hay camino:
se hace camino al andar.
Al andar se hace camino,
y al volver la vista atrás
se ve la senda que nunca
se ha de volver a pisar.
Caminante, no hay camino,
sino estelas en la mar».
«Viandante, sono le tue orme
il cammino, e niente più;
Viandante, non c’è cammino:
il cammino si fa andando.
Andando si fa il cammino,
e guardandosi indietro
si vede il sentiero che mai
si tornerà a percorrere.
Viandante non c’è cammino,
se non le scie nel mare».
In una società che ci chiede di essere sempre più “performanti”, sempre più specializzati, che ci spinge a sviluppare sempre maggiori e sempre di più competenze specifiche, dov’è finito il diritto di sbagliare, di essere fragili e imperfetti? Ma soprattutto, come ci siamo arrivati? Come siamo arrivati al punto in cui se non produci, non hai valore? Come siamo arrivati al punto di considerare gli anziani ormai vecchi perché fuori dal ciclo produttivo, e, cosa ben peggiore, dal consumo?
«Il vecchio continua ad essere ‘incorporato’ finché consuma» scrive Miguel Benasayag in Funzionare o esistere?, volume che raccoglie l’appello di una società impaurita proponendole una scommessa per un futuro diverso: un futuro di persone singolari, ricche delle proprie diversità, delle proprie qualità e incrinature, che vivono però in relazione tra loro.
«L’anziano è portatore e testimone delle dimensioni sottili della tragedia, incarna la trasmissione, rappresenta la forza della vita che dice alle altre generazioni che è possibile, che “il cammino si fa andando”, come ha scritto il poeta. Quando si guarda indietro, si vede il sentiero che non si percorrerà mai più... ma gli altri, quelli che ci succedono, possono mettervisi in cammino».
Il Caminante della poesia di Antonio Machado non ha età: potrebbe essere un giovane viaggiatore, che ha appena iniziato il suo cammino; o potrebbe essere invece un viaggiatore maturo, che ha camminato tanto e che, voltandosi indietro, guarda quanta strada ha fatto, ben consapevole che non si può tornare suoi propri passi, non si può riavvolgere il nastro della propria vita.
Vecchi a cui non si consente di essere vecchi e giovani a cui non si consente di essere giovani. A questi ultimi si insegna fin da piccoli a vivere secondo la logica del profitto, dei costi/benefici, sarà cost efficient lo sforzo che mi chiedono di fare? Si toglie così la caratteristica principale della giovinezza: la voglia e il bisogno di esplorare, di poter sbagliare, di imboccare una strada che non è quella giusta, di cambiare percorso e di metterci tutto il tempo che la giovane età concede di diritto.
«Come scrive il poeta greco Konstantinos Kavafis, Itaca è nel cammino che porta a Itaca e imboccare il percorso più breve per giungere a Itaca ci farebbe sicuramente perdere Itaca». Prendendo il percorso più breve, più sicuro perché già programmato e deciso, si rischia così di perdere sé stessi e l’obiettivo, la caratteristica fondamentale dell’essere un giovane umano.
«Sempre devi avere in mente Itaca -
raggiungerla sia il pensiero costante.
Soprattutto, non affrettare il viaggio;
fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio
metta piede sull’isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca.
Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo
sulla strada: che cos’altro ti aspetti?
E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.
Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso
già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare».
(di Chiara Ascoli)
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