La partita dei media, da Beckett a noi
- Hamm: Ti ricordi di tuo padre?
- Clov (stancamente): Stessa risposta. (Pausa) Mi hai fatto queste domande milioni di volte.
- Hamm: Mi piacciono le vecchie domande (con slancio). Ah, le vecchie domande, le vecchie risposte, che c’è di più bello!
Hamm è un vecchio cieco che non riesce a reggersi in piedi. Clov è il suo servo, e al contrario, non riesce a stare seduto. Sono i due protagonisti di Finale di partita, l’opera teatrale in due atti di Samuel Beckett.
Quest’opera, collocata nel filone del “teatro dell’assurdo”, ci porta a riflettere sulle relazioni umane e sul linguaggio afflitto dalla scomparsa di significati. I personaggi sono prigionieri di uno stato immutabile in cui ogni giorno è uguale a sé stesso; sebbene dai dialoghi si riesca a intuire un passato in cui le cose erano diverse, non c’è nessuna indicazione che faccia sperare in un futuro diverso.
Fausto Colombo, professore ordinario di Teoria della comunicazione e dei media presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, in Ecologia dei media cita quest’opera di Beckett come esempio di letteratura in grado di far risaltare criticamente i nodi della comunicazione di metà ‘900. «L’opera del drammaturgo Samuel Beckett sembra costituire una profonda riflessione proprio sullo stato della comunicazione e sulla sua perdurante crisi» osserva Colombo, «offrendoci un esempio delle possibili conseguenze a lungo termine del suo ‘inquinamento’».
La comunicazione che non riesce ad essere connessione con gli altri e con l’ambiente non ci permette di conoscere il mondo, di rappresentarlo e di parlarne, e questo è un pericolo per l’umano.
«La comunicazione degli uomini e fra gli uomini pagava ancora il prezzo della deformazione propagandistica, della cancellazione sistematica della verità e della deformazione dell’altro da interlocutore a nemico: una dimostrazione in più di quanto l’equilibrio del nostro universo simbolico debba essere preservato». In un mondo dove si è bombardati da messaggi negativi, in cui non si può distinguere la verità dalla menzogna, l’uomo si autorizza a compiere azioni disumane.
Samuel Beckett ci metteva in guardia contro questi pericoli più di sessant’anni fa e Colombo ne coglie l’avvertimento, promuovendo un’ecologia dei media che migliori il nostro rapporto con il mondo anche attraverso i mezzi di comunicazione e le nuove tecnologie, perché è la comunicazione che ci rende umani, e una buona comunicazione ci rende umani migliori.
In Ecologia dei media analisi critica e prospettiva etica si integrano in un discorso puntuale e suggestivo. I media nel loro complesso appaiono un ecosistema in continua evoluzione. Come ondate sempre più potenti, si riversano sul mondo prima i mezzi a stampa, poi la radio e la televisione, poi ancora la prima digitalizzazione e l’utopia di internet, per arrivare oggi alle grandi piattaforme, macchine algoritmiche la cui benzina è costituita dai comportamenti degli utenti. Un ecosistema online, quest’ultimo, che produce effetti reali sulla vita sociale.
Praticare un’ecologia dei media significa preoccuparsi di agire per migliorare le relazioni interpersonali e il rapporto con il mondo attraverso i media, non limitandosi a seguire, in modo spesso ingenuo, le impronte del progresso tecnologico o delle leggi del mercato e cercando invece di reagire alla saturazione dei nostri tempi e dei nostri spazi vitali. Perché è arrivato il momento di fermare la frenesia ‘social’ e di guardare come i nostri avatar o nickname ci parlano di noi stessi in quanto umani.
Leggere Beckett (e andare a vederlo a teatro) è un tassello di un percorso che ci aiuta a capire e leggere meglio il mondo, per avere uno sguardo più consapevole su noi stessi e sugli altri; perché non bisogna arrendersi a un “finale di partita”.
(di Francesco Bombini)
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