Le dolci potenti pagine della letteratura

«È una notte fredda di dicembre. Un padrone e il suo servitore si inoltrano per una strada che attraversa la foresta. La neve comincia a cadere, lentamente ricopre tutto. Essi riescono a malapena a guidare la slitta fino a che il cavallo la ribalta nel fossato, e resta immobile».
Così Anne Dufourmantelle, nel libro La potenza della dolcezza, inizia il capitolo dedicato a Padrone e servitore di Tolstoj, racconto simbolo per l'autrice della dolcezza come forza simbolica di resistenza, capace di trasformare la vita. Protagonista è il padrone, ricco proprietario terriero, avaro e avido, senza scrupoli, che sottopaga il servitore dandogli uno stipendio di soli 40 rubli, «per di più non tutti insieme a scadenza fissa, ma un poco per volta, di quando in quando, e nemmeno in contanti, ma sotto forma perlopiù di merci della sua bottega — alzandone inoltre i prezzi». I due, per chiudere un affare, si mettono in viaggio nel bel mezzo di una tormenta e, per far prima, il padrone decide di seguire una scorciatoia poco frequentata. Dopo poco la tormenta impedisce di continuare il viaggio e lì avviene l'inaspettato.
Il padrone, comprendendo che stanno per essere sopraffatti dal gelo, viene colto da un moto di dolcezza potentissimo e cede il suo mantello al servitore, lasciandosi morire al posto suo. «Tolstoj, senza mai dare una lezione di morale», scrive la Dufourmantelle, «lascia che il bianco della neve invada e anestetizzi il racconto stesso fino all’istante in cui si può dire che la dolcezza entra nel cuore del padrone. [...] È nel posto stesso del potere che la dolcezza opera. Va a posarsi negli interstizi della crudeltà rivoltandola come un guanto. Sta esattamente nel punto in cui meno ci si aspetta. In tal senso la dolcezza è cristica, se si accetta di vedere in Cristo la figura di colui che capovolge tutti gli attributi di potere. [...] Nella slitta, non è più questione di mansuetudine, di pazienza o di giustizia. Non vi sono altri testimoni se non i lupi in lontananza, il freddo, la neve e la notte. Nulla si saprà della lotta spirituale o della resa.».
Sono tanti i percorsi intrapresi da Anne Dufoumantelle nel suo libro alla ricerca delle manifestazioni della dolcezza nella letteratura: oltre al già citato Tolstoj, incontriamo anche Dostoevskij e I demoni nel quale la dolcezza «di un’estrema selvatichezza» viene attribuita a Stavrogin: non dobbiamo stupircene, perché, come scrive l’autrice, «in sé, la dolcezza, che ha grandi contiguità con la gioia, non è una protezione contro il male, può anzi trovarsi a esserne il veicolo. Il male non coincide necessariamente con la coscienza del male. Anzi è eterogeneo a essa, si innalza nell’ideale – la bontà – per rovesciarne l’effettività pazientemente, e così distrugge ogni possibilità di vita».
Tra i consigli di lettura, in queste pagine troviamo anche Billy Budd di Herman Melville. Billy è un giovane mozzo benvoluto da tutto l’equipaggio proprio per il suo carattere gentile, ma «la sua parola è impedita, balbetta quando è emozionato e questa vulnerabilità gli costerà la vita», venendo accusato ingiustamente di ammutinamento e non riuscendo a difendersi a parole. In questo caso la dolcezza ha come rovescio della medaglia la violenza omicida, ma allo stesso tempo agisce «come rivelatrice e attivatrice dei demoni dell’Altro, al punto che né la pietà né la sanzione possono comprenderla interamente o annientarla».
(di Chiara Ascoli)
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