Olocausto: l'incredulità nel male

Olocausto: l'incredulità nel male

17.01.2023
Sulla consolazione
Sulla consolazione
autori: Michael Ignatieff
formato: Libro
prezzo:
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Sulla consolazione di Michael Ignatieff è una raccolta di ritratti dedicati ciascuno a un personaggio che, trovandosi in condizione estreme, si è rivolto alle tradizioni che aveva ereditato per cercare consolazione: dagli autori dei Salmi, passando per Cicerone e Hume, fino ad arrivare agli eroi della testimonianza civile, come Anna Achmatova o Primo Levi. In occasione della Giornata della memoria 2023 condividiamo una parte del capitolo dedicato a quest'ultimo.

di Michael Ignatieff

Levi visse abbastanza a lungo da veder morire molti dei suoi com
pagni sopravvissuti, e l’Olocausto trasformarsi lentamente da memoria vissuta a fatto storico, per poi diventare, in modo più inquietante, un mito. Lui non si risparmiò nella lotta contro lo tsunami dell’amnesia e della distorsione volontaria. Rispose alle lettere dei tedeschi che gli scrivevano commenti ignoranti o pieni di autoinganno ai suoi libri; andò nelle scuole e imparò ad ascoltare pazientemente i bambini che gli chiedevano, con voce sommessa, perché non fosse riuscito a scappare.

Un ragazzino non
riusciva a credere che fuggire fosse impossibile, così Levi gli disegnò una mappa del campo, segnando il filo spinato e i posti di guardia. Il bambino non era ancora convinto. «È così che avrebbe dovuto fare», disse, e con pochi energici tratti e frecce cercò di mostrarglielo. In questo, e in molti altri incontri, il testimone Levi dovette scontrarsi con l’incredulità nel male che è la principale illusione delle vite felici.

Disprezzava il kitsch morale che trasformava in eroi tutti i sopravvissuti all’Olocausto. Sapeva che le cose stavano diversamente. Aveva descritto la «zona grigia», l’ambiguo mondo di compromessi che abitava in qualità di scienziato risparmiato dai forni crematori in virtù delle sue conoscenze tecniche. Ammise perfino che il suo anno ad Auschwitz era stato quello in cui si era sentito più intensamente vivo. Vedeva la propria sopravvivenza come un privilegio del quale si vergognava. Si convinse che i migliori fossero morti, mentre i peggiori erano stati salvati. Lottò con la vergogna dal primo momento del suo rilascio, quel giorno di gennaio 1945, quando i soldati russi a cavallo attraversarono il recinto, entrarono nel campo e si imbatterono in uomini emaciati, vestiti in uniformi a righe ridotte a stracci, che morivano nella neve sudicia. Levi vide un profondo imbarazzo negli occhi dei suoi soccorritori, come se non volessero riconoscere che anche quei prigionieri erano uomini.

Non si fermò mai a pensare alle responsabilità che aveva come testimone, non smise mai di interrogare il ruolo che aveva involontariamente assunto. A proposito di un altro prigioniero che gli aveva detto che la Provvidenza lo aveva salvato proprio perché potesse assumere quel ruolo, Levi ricordava amaramente: «Questa opinione mi parve mostruosa. Mi dolse come quando si tocca un nervo scoperto, e ravvivò il dubbio di cui dicevo prima: potrei essere vivo al posto di un altro, a spese di un altro».
Nel 1988, esausto e depresso dall’età, da una recente operazione alla prostata e dal peso costante di prendersi cura dell’anziana madre e di sua suocera, Levi si tolse la vita, gettandosi dalle scale dell’appartamento di Torino dove aveva vissuto per la maggior parte della sua vita. Molti dei suoi lettori si permisero di essere delusi che avesse gettato la spugna, che il suo ruolo come testimone non gli desse più una ragione di andare avanti. Uno di loro scrisse:

«Nessuno vuole credere [che si sia suicidato], non solo per lui, ma per noi. Era come se Primo Levi portasse una fiaccola per noi – quasi l’unico essere umano a farlo, in quel terribile luogo e tempo. È come [...] se ci avesse aiutato a riacquistare la nostra considerazione di noi stessi. E se ora lui stesso posava quella fiaccola, non stava forse dicendo che non ci credeva più? Che non credeva più in noi?»

Aveva portato così tanti pesi.
Non gli si sarebbe dovuto chiedere di 
portare anche quello.


 

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