Pedalare e smettere di pedalare con filosofia

Il filosofo Emil Cioran ha percorso in bici gran parte di Francia, Italia e Spagna. Dovuto anche alla sua fobia per gli aerei (e al poco amore per treni e auto), percorse chilometri su chilometri in bici, tra piccole località, strade regionali e i più vari paesaggi.
Per quest’estate offline in cui vi invitiamo a riscoprire la vostra intelligenza naturale, non vi chiediamo di fare un percorso così lungo, ma di rispolverare la vostra bicicletta o di noleggiarne una e di pedalare: ovunque vi troviate provate a fare un giro in bici e a sentire quell’immersione totale e quello svuotamento che Cioran trovava nella bicicletta, per usare le parole della sua compagna di vita Simone Boué, riportate da José Tolentino Mendonça in Chiamate in attesa, «Cioran trovava nella bicicletta quello che solo il lavoro manuale gli dava: lo svuotamento dall’acuto stato di coscienza in cui egli si trovava continuamente, l’immersione completa in un tipo di movimento inseparabile dal corpo e, al tempo stesso, un ricongiungimento cadenzato dall’immobilità».
Quando le strade iniziarono ad affollarsi di macchine, Cioran passò ai viaggi a piedi e questa decelerazione del suo modo di viaggiare divenne anche il suo paradigma morale.
Come scrive Tolentino, nel saggio di apertura di La tentazione di esistere, uno dei suoi titoli più famosi, Cioran «deplora che la vita moderna si sia drasticamente allontanata dal quietismo, dalla contemplazione e dalle forme sapienziali della passività. Con una delle sue battute implacabili, ricorda che “l’epoca moderna inizia con due isterici: Don Chisciotte e Lutero”, e non si riesce più a venir fuori da questo segno astrale che fa di noi degli esseri insoddisfatti e frenetici, acrobati all’estremo limite di noi stessi. Tra la serenità e il sangue, è per il sangue che propendiamo. Abbiamo fatto della percezione stessa uno spasmo, l’inizio di una trance, una dispersione incurabile, un esilio irresolubile. Sofferenti di quell’infermità che è la durata, “diventiamo idolatri del gesto, del gioco e del delirio”. Le nostre cellule si sono viziate in un’interminabile vertigine. È per questo che, quando crediamo, non crediamo di credere. E parimenti, quando non crediamo, non crediamo di non credere. Quale via d’uscita ci rimane? Una sorta di bicicletta per il pensiero (chiamiamola così): apprendere a pensare contro noi stessi. Perché, come spiega Cioran: “L’unico a salvarsi è chi sacrifica talenti e doni per poter, sgombro della sua qualità di uomo, sprofondare nell’essere”.».
(di Chiara Ascoli)
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