Sfida all'ignoto: hic sunt leones

Hic sunt leones: così un tempo si indicavano sulle mappe le zone non ancora esplorate, troppo pericolose e sconosciute: da qui in poi ci sono le belve, fate attenzione. Cosa sarebbe stata l’umanità se non avessimo affrontato il pericolo, se non avessimo corso il rischio di trovarci faccia a faccia con i leoni?
E il compito della letteratura, come di qualunque azione umana che lo elevi dallo stato di animale, è quello di esplorare i luoghi sconosciuti, scavare nel profondo, affrontare i mostri che ci si parano davanti.
Questa la tesi dello scrittore Ferruccio Parazzoli, che nel pamphlet Apologia del rischio però afferma: «La narrativa italiana da qualche anno si è fatta, appunto, casalinga, per prudenza, per necessità e, spesso, nelle forme più superficiali, per convenienza». Per spiegare meglio il concetto, Parazzoli osserva che le storie che oggi si scrivono in forma di romanzo perlopiù procedono secondo una linea orizzontale, monodimensionale: «Prendiamo la linea estrema del mare, il suo orizzonte. Il primo impulso è navigare sopra quella distesa, andare verso l’orizzonte che, per altro, è soltanto qualcosa di virtuale. L’orizzonte, infatti, si sposta di continuo, non lo raggiungeremo mai. La linea verticale che, invece, lo interseca che cos’è? È una linea che va verso l’alto, diciamo pure il cielo, ma può andare anche verso il basso, al di sotto, cioè nell’abisso, la vita pullula anche al di sotto».
Non mancano ovviamente le eccezioni, ma quello che manca comunque è l’espressione di una ricerca oltre la parete, nel mondo della metafisica nel suo significato etimologico, «dai tetti in su, l’uomo a molte dimensioni». A questo proposito entra in gioco una poesia di Wisława Szymborska che inizia così:
Ieri mi sono comportata male nel cosmo.
Ho passato tutto il giorno senza fare domande,
senza stupirmi di niente.
Ho svolto attività quotidiane,
come se ciò fosse tutto dovuto.
La ricerca non finisce mai, c’è ancora tanto da esplorare, ancora tante belve con cui lottare, e la letteratura può essere ancora la nostra migliore risposta. Dobbiamo solo essere capaci di correre il rischio, come scrittori, e come lettori.
In Apologia del rischio, Parazzoli riflette sullo stato della letteratura chiedendosi se la scrittura abbia ancora un senso, e quale, nella società di oggi. Lo scrittore pare infatti ormai adattato al linguaggio di massa, separato dalla propria identità più profonda, rinchiuso in un orizzonte unidimensionale senza più salti nella vertigine degli abissi né slanci verso le vette dell’alto del senso. Parazzoli non fa sconti alla narrativa italiana contemporanea, che ha appiattito la tragedia nella cronaca e si è accomodata nel cerchio del nichilismo debole, nel ‘niente ha più senso’. Ma nello stesso tempo non rinuncia al linguaggio come uno dei pochi modi di resistere al caos e al dolore, e prova a indicare la strada di un riscatto. Una strada che parte dallo stimolo dell’inquietudine, del rischio, costante motore della scrittura, che dà valore e verità umana alla letteratura.
Questo lo sapeva benissimo Szymborska, poetessa polacca premio Nobel nel 1996, che con la sua poesia fatta di ironica precisione e introspezione intellettuale ha certamente esplorato l’ignoto portando alla luce frammenti di realtà umana. Le sue poesie mostrano spesso il mondo in un’ottica inusuale: «è una miniaturista, le cui poesie compatte spesso evocano ampi enigmi esistenziali».
Così continua Disattenzione, la poesia citata poco sopra da Parazzoli, esortazione a vivere l’esperienza umana con profondità e anche voglia di sfidare l’ignoto:
Inspirazione, espirazione, un passo dopo l’altro, incombenze,
ma senza un pensiero che andasse più in là
dell’uscire di casa e del tornarmene a casa.
Il mondo avrebbe potuto essere preso per un mondo folle,
e io l’ho preso solo per uso ordinario.
Nessun come e perché -
e da dove è saltato fuori uno così -
e a che gli servono tanti dettagli in movimento.
Ero come un chiodo piantato troppo in superficie nel muro
(e qui un paragone che mi è mancato).
Uno dopo l’altro avvenivano cambiamenti
perfino nell’ambito ristretto d’un batter d’occhio.
Su un tavolo più giovane da una mano d’un giorno più giovane
il pane di ieri era tagliato diversamente.
Le nuvole erano come non mai e la pioggia era come non mai,
poiché dopotutto cadeva con gocce diverse.
La terra girava intorno al proprio asse,
ma già in uno spazio lasciato per sempre.
È durato 24 ore buone.
1440 minuti di occasioni.
86.400 secondi in visione.
Il savoir-vivre cosmico,
benché taccia sul nostro conto,
tuttavia esige qualcosa da noi:
un po’ di attenzione, qualche frase di Pascal
e una partecipazione stupita a questo gioco
con regole ignote.
(di Francesco Bombini)
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