Tolentino e la mistica a occhi aperti

Tolentino e la mistica a occhi aperti

14.08.2021
La mistica dell'istante
La mistica dell'istante
autori: José Tolentino Mendonça
formato: Libro
prezzo:
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Abbiamo bisogno di aprire le finestre che danno sulla vastità, di sollevare il nostro sguardo dal suolo, di contemplare l’immensità tatuata sull’universo e su di noi

La mistica dell'istante, rivela José Tolentino Mendonça in un’intervista (link), nasce dal «rifiuto della visione dualistica della fede che separa continuamente l’anima dal corpo, il visibile dall’invisibile, l’eterno dalla semplice quotidianità». Per Tolentino esiste una mistica alla portata di tutti, da praticare nel qui e ora, che parte dall’uomo tutto intero, anima e corpo: «ho scritto questo libro per ricordare che il nostro corpo conosce Dio, ed è tanto, molto più di quello che i manuali di teologia sanno di Dio».

Non a caso nella preghiera la gestualità è importantissima. Non è sola la mente che prega, ma, scrive Tolentino, il nostro corpo: «la preghiera abita tutti i nostri sensi». Per questo i Padri del deserto dicevano che aprire le mani, ancor prima di proferire parola, è già pregare.

La frase “aprire gli occhi è già pregare” non ci dovrebbe sorprendere. Lo sguardo è infatti fondamentale per poter celebrare l’incontro con noi stessi e con gli altri, anche con Dio. «Solo se guardiamo e ci lasciamo impressionare dall'altro di fronte a noi, possiamo amare le persone in quanto tali».

Questa mistica a «occhi aperti» di Tolentino si fonda sulla contemplazione. Nella Genesila trasgressione della prima coppia dell’umanità è spiegata simbolicamente a partire dallo sguardo e dai suoi imbarazzi. La promessa che il serpente fa alla donna è che gli occhi di lei si apriranno e che sarà capace di vedere con la stessa ampiezza di Dio. Questo «inganno della vista illimitata, e in questo senso anche inumana, cattura la donna». Tolentino mette a confronto questo sguardo con quello di Dio che, al contrario, si sofferma a contemplare: “E Dio vide che era cosa buona”.  «Dio guarda ciascuna delle opere della creazione a partire dal suo essere buona. Le cose sono considerate nel loro fondamento e non nella loro finalità».

Questo è il grande inganno della vista: «smettere di guardare la creazione in sé per attribuirle finalità di cui noi stessi siamo il centro». Secondo il teologo è proprio la pretesa di considerarci come misura di tutte le cose ad ostacolare il nostro sguardo.

“Guarda in cielo e conta le stelle” dice il Signore ad Abramo, mentre lo conduce fuori dalla sua terra. A differenza di quanto siamo stati abituati a pensare «la fede è un’esperienza di esteriorità, un’uscita dalla nostra visione parziale, una rottura con la nostra prospettiva. “Guarda in cielo”. Il Signore ci conduce fuori dal circolo chiuso dei nostri interrogativi e delle nostre certezze. Abbiamo bisogno di aprire le finestre che danno sulla vastità, di sollevare il nostro sguardo dal suolo, di contemplare l’immensità tatuata sull’universo e su di noi».

 

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