Verso «sconfinate visioni di territori sconosciuti»

«L’uomo vive non direttamente e nudamente nella natura come gli animali, ma dentro un universo mitologico, un corpus di assunti e di credenze che nasce dai suoi problemi esistenziali. [...] La Bibbia è un elemento assai rilevante nel nostro immaginario tradizionale, al di là di quanto noi possiamo pensare o credere di essa. E costantemente solleva il seguente interrogativo: ‘perché questo libro così enorme, spropositato, eccessivo se ne sta inesplicabilmente là nel mezzo della nostra eredità culturale, come il ‘grande Boyg’ o la Sfinge del Peer Gynt, a frustrare tutti i nostri tentativi di girarle attorno?’».
La Bibbia: l'opera-mondo, antica e comune a tutto l’Occidente, che contiene tutte le forme e i modi della letteratura. Il grande codice, come intitola Northrop Frye la sua opera sul rapporto tra Bibbia e letteratura. Una anatomia critica che passa anche dall'analisi del mito e che lambisce quindi anche l’Odissea, a sua volta universo letterario che contiene tanto delle origini del mondo greco, di usi e costumi e ritualità che saranno poi il fondamento della cultura greca propriamente detta.
Mito e letteratura, del resto, scrive ancora Frye, «sono già inestricabilmente intrecciati nell’epica di Gilgamesh (che è assai più antica di qualsiasi parte della Bibbia), come anche in Omero che è all’incirca contemporaneo delle sezioni più antiche dell’Antico Testamento. Risulta quindi impossibile [...] prendere in considerazione la letteratura come contaminazione del mito: essa è piuttosto parte integrante e inevitabile dello sviluppo del mito».
Il lettore, in entrambi i libri, è invitato a compiere l’esperienza di Frye stesso nella scrittura del libro, quella di un viaggio «dove ogni passo – che può anche non essere un passo ma uno strisciare, un volare, o un nuotare – è accompagnato da sconfinate visioni di territori sconosciuti».
Vengono in mente i territori sconosciuti e gli itinerari esplorati da Ulisse: insieme a lui andiamo in Libia e in Tunisia tra i Lotofagi, rischiando di dimenticarci di noi stessi e dei nostri amati, affrontiamo con astuzia la violenza di Polifemo, alle pendici dell’Etna; scampiamo alle magie di Circe nel Circeo, e alle attenzioni di Calipso, lungo lo stretto di Gibilterra. Rischiamo la vita in alto mare prima resistendo al canto delle Sirene e poi nello stretto di Messina davanti a Scilla e Cariddi; dopo aver ucciso le vacche sacre del dio Sole in Sicilia, naufraghiamo e veniamo soccorsi dai Feaci a Corfù, e a loro raccontiamo le nostre avventure, seduti al caldo davanti ad un fuoco e bevendo vino nelle sale dagli alti soffitti e dai pavimenti di bronzo. Accompagnamo Telemaco nella ricerca del padre, spingendoci fino a guardare coi nostri occhi la bellezza di Elena per la quale si è tanto combattuto. Tramiamo contro i Proci, escogitiamo inganni e astuzie e piangiamo ricongiungendoci con Argo per l’ultima volta. E infine, una volta tornati a casa, resistiamo per poco: pronti a metterci di nuovo in marcia, verso la prossima avventura, verso il prossimo libro, la prossima storia.
«Prendi allora il maneggevole remo e va’,
finché arrivi a uomini che non sanno,
del mare, che non mangiano cibi conditi con sale,
che non conoscono navi dalle gote purpuree,
né i maneggevoli remi che sono per le navi le ali».
(di Chiara Ascoli)
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