Gemelli: "anni e pazienti cure" per lo studente

«Padre, come possono i cattolici pensare ad una loro Università? Lei conosce bene le nostre università, sa come sono imponenti le loro attrezzature. Come potremo noi cattolici, che siamo per lo più poveri, raccogliere il denaro per fare e soprattutto per mantenere una università? A me sembra una follia».
Con questo quesito diretto del prof. von Hertling, illustre studioso di filosofia, si apre l’articolo di Agostino Gemelli Perché i cattolici italiani aspirano ad avere una facoltà di medicina, pubblicato nel 1958 sulla rivista “Vita e Pensiero”, nel quale si ripercorre la sfida per la fondazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, avvenuta nel 1921, e l'impegno per lo sviluppo organizzativo delle varie facoltà. Fino a immaginare una nuova missione educativa: fondare la facoltà di Medicina dell'Ateneo cattolico. Non dimentichiamo infatti che era lui stesso medico e avvertiva l’esigenza di medici «che, avendo un'anima educata alla osservanza delle norme dettate dal cattolicesimo, vedano nel malato un fratello infelice da aiutare».
Gemelli sa che lo scopo non è quello di aumentare semplicemente il numero dei medici, già consistente all’epoca grazie alle università statali, quanto curare la formazione di medici che «nell'esercizio della loro arte abbiano una ispirazione cristiana». Gemelli voleva dedicare allo studente «anni e pazienti cure», grazie a professori ed assistenti e compagni di studio «che lo aiutino e lo guidino nell'acquistare una somma di nozioni scientifiche e tecniche, che egli può imparare anche altrove, ma il cui acquisto in una facoltà cattolica assume un carattere particolare».
Ciò che distingue il medico cristiano, nel sogno della nuova facoltà, è la capacità di vedere il paziente come «un fratello colpito dalla sventura», che ha bisogno di un rispetto umano e "soprannaturale", perché siamo immagine di Dio, ancor più nella sofferenza; la medicina ha lo scopo di alleviare le sofferenze e le miserie di un fratello; il medico cattolico deve quindi essere educato «in modo che nella società possa esercitare la medicina come un missionario», in modo che il paziente riesca a ritrovare nel medico un legame, che non si senta solo un numero in una corsia d’ospedale, anonimo.
Gemelli conclude l’articolo con un ricordo personale, tanto significativo nella sua semplicità: si trova alle soglie della sua conversione, mentre presta servizio militare come caporale di sanità nell'Ospedale militare (all'epoca allestito nei chiostri di quella che sarebbe diventata la sede dell'Università Cattolica), alla direzione del reparto in cui venivano ricoverati gli infettivi. Un giorno, viene ricoverato un soldato affetto da tubercolosi, col corpo completamente ricoperto di piaghe, che gli si rivolge con questa preghiera: «muoio lontano da tutti i miei. Se fosse qui mia mamma mi darebbe un bacio. Me lo vuoi dare tu?». Gemelli, dapprima titubante, lo accontenta e, guardando

Su questo percorso tracciato dal fondatore si muove ancora oggi la Facoltà di Medicina, nata nel 1961, due anni dopo la morte di Gemelli che tanto l'aveva sognata e al quale verrà intitolato il Policlinico inaugurato nel 1964. Nel 2016 è nata la Villetta della Misericordia, grazie alla collaborazione tra la Comunità di Sant’Egidio, la Fondazione del Policlinico, l’Istituto Toniolo e l’Università Cattolica: un centro di accoglienza notturna, situato all'interno dell campus universitario, che cura e cerca di reinserire nella società chi non ha fissa dimora, chi vive in condizioni di emarginazione sociale, con fragilità psicologiche, portatore, in alcuni casi per anni, di malattie croniche mai curate. Perché, come si legge nel volume Scienza, Salute, Carità (2021): «Non si tratta di porsi come medici professionisti: si quel «volto [sul quale] apparve un sorriso, come un raggio di sole» comprende «che l'esercizio della medicina è anche un sacerdozio».
«Si tratta di mettere a disposizione le proprie competenze mediche per coloro che sono considerati 'gli ultimi'; di formarsi come 'professionisti della salute' ma in una più ampia ottica di formazione della propria persona».
Nello stesso volume, curato dalla Facoltà di Medicina e Chirurgia, si legge una testimonianza che fa eco all'episodio del soldato incontrato da Gemelli molti anni prima: «non si può dimenticare ciò che uno dei pazienti, alla banale richiesta di sdraiarsi sul lettino per visitarlo, ha chiesto sorpreso: "Davvero mi visita? Mi tocca? Perché sa, dottore, nessuno mi tocca da tanto tempo...". Quel giorno abbiamo capito che il compito più difficile non era tecnicamente quello di una diagnosi o di una terapia, ma sarebbe stato il livello umano, nascondere la commozione e trasformare lo spazio di quella stanza e il tempo di quella ‘visita’ in uno spazio e in un tempo in cui queste persone avrebbero smesso di essere ‘invisibili’».
«È un sogno questo della Facoltà di medicina? È un sogno vano? Una illusione?» scriveva Gemelli.
Oggi si contano 9 dipartimenti, oltre 3000 studenti e 1500 specializzandi. In quelle aule è passata anche Madre Teresa di Calcutta, laurea honoris causa in Medicina, che rivolgendosi agli studenti disse: «Di che dono stupendo godete voi, ciascuno di voi, nell'essere stati chiamati ad essere dei medici. Ecco perché la vostra professione è una vocazione, il vostro lavoro è sacro, è lavoro santo.»
(a cura di C. Ascoli)
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