L’inaugurazione dell’Università Cattolica: il cantiere in corso

L’inaugurazione dell’Università Cattolica: il cantiere in corso

07.04.2021

di Velania La Mendola

Questa storia inizia con un biglietto indirizzato a una giovane donna, Maria Sticco, direttrice della rivista della gioventù femminile “Fiamma viva”. Sopra c’è scritto: «vieni a Milano per l’apertura dell’Università». Il mittente è la condirettrice di quella stessa rivista, Armida Barelli.

Maria parte subito, prende il treno e arriva nella grande città di notte. Alle nove del 7 dicembre 1921 è in via s. Agnese 4 ed è… sbigottita! La strada è un viavai di muratori, manovali, meccanici. «Tumulto d'artieri s'agita ancora intorno sotto la guida dell'ing. Pier Fausto Barelli» scrive il Corriere della Sera in visita il giorno prima. Si stanno ancora finendo i pavimenti, i martelli battono, c’è chi spazza, chi strofina, chi porta sedie, è «qualche cosa come una casa in costruzione e uno sgombero», racconta nel libro Vita universitaria (Vita e Pensiero, 1939). E in mezzo un continuo andare di signore, studenti, sacerdoti, docenti: si cercano biglietti per poter accedere all’inaugurazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore che si terrà quello stesso giorno alle 15.00. 

«Ma prima dovrete finire!» esclama Maria parlando all’amica che l’ha accolta e la accompagna in esplorazione della sede.
«Per le quindici sarà tutto all’ordine»
«Così fate a Milano?»
«Così.»

Questo dialogo è forse la sintesi più efficace di un’impronta meneghina e insieme universale, nel senso più profondo, di come è nata l’Università: un cantiere senza fine, che richiede ogni istante di lavoro e insieme la fiducia che ogni cosa andrà al suo posto al momento giusto. Maria intravede Armida passando per gli uffici: è affaticata e spaventata di dover prendere la parola quel giorno, di fronte a tutte le autorità, «ma è sempre lei, fiduciosa senza limiti nel Sacro Cuore».

La testimonianza dello Sticco ci restituisce l’atmosfera di quella data così importante per la storia dell’Università Cattolica. Un secolo fa l’atmosfera era brulicante d’attesa e di attività e l’edificio di via s. Agnese, che dobbiamo immaginare diversa da adesso, con di fronte un bel palazzo rinascimentale, apriva per la prima volta i battenti alla città. La Sticco racconta anche i luoghi e le impressioni che ne ricavò. Ed è un privilegio della scrittura mantenere vivo il ricordo di cose che non ci sono più: quella prima sede fu pesantemente danneggiata dai bombardamenti del 1943 sulla città, lo stesso che spazzò la casa bramantesca di fronte di cui rimane il solo portico d’ingresso, oggi parte del giardino intitolato a Calderini.  

Ma torniamo a quel giorno del 7 dicembre 1921. Com’era dentro l’Università?
Maria esplora ogni luogo: segreteria, rettorato, sala dei professori, sala d’aspetto, sala del consiglio, biblioteca, sale di lettura, sala delle riviste (ve ne sono 220); al primo piano la cappella è candida con balaustra a colonne dorate, un altare semplice e quasi nudo ma pieno di fiori, “coppe di garofani porpora e corallo”; l’aula magna accoglie 800 poltrone ed è allargata da una cupola che “fa onore agli ingegneri che la idearono”. Vicino vi erano anche gli uffici della casa editrice Vita e Pensiero segnati sulla mappa dell'edificio pubblicata sul n. 12 della rivista di quell'anno. Al piano superiore ci sono i laboratori di biologia e psicologia e in alto svetta una torretta, è l’osservatorio meteorologico.

Più di ogni cosa la colpiscono le aule. Scrive: «Non trovo i lunghi corridoi, gli stanzoni grandi e nudi, le aule ad anfiteatro, i banchi più o meno incomodi dei nostri edifici scolastici, che sanno di caserma e di convento, ma sale nitide, con tavole, scrivanie, seggiole, poltroncine chiare e lucide, belle lampade e tendine eleganti; aule piccole con tavolini al posto dei banchi, cattedre ben fatte, pareti tappezzate di scaffali, chiusi da una grata come nelle biblioteche antiche, e tutti pieni di libri, che sembrano lì ad animare la scuola e a confortare con il pensiero dei grandi il pensiero laborioso dei giovani». L’aria è accogliente e confortevole e la scelta dei mobili, la loro disposizione, la presenza dei libri, tracciano una direzione, quella in cui maestri e discepoli si incontrano nell’intimità di uno studio che è collaborazione: «più che una università sembra una casa di studio, e chi la preparò pensò direttamente, amorosamente all’anima degli scolari».

Questa piccola immersione nell’ultimo giorno ufficiale del cantiere della prima sede dell’Università Cattolica si collega idealmente a una pagina di questo 2021, scritta da Giuseppe Lupo, professore di letteratura del nostro Ateneo, nel libro Ci vorrebbe un pensiero, un’opera a più voci che nasce come risposta all’invito dell’Arcivescovo di Milano, mons. Delpini: «Ci vorrebbe un pensiero che offra criteri per costruire, strumenti per leggere la realtà, spunti critici per migliorare, modi di operare promettenti per una crescita armonica dell’insieme.»

Nell’intervento di Lupo c’è un brano che si intitola Università come cantiere: «ho sempre vissuto il mio lavoro nei termini di una progettualità, che potrebbe anche non sovrapporsi perfettamente all’orizzonte cattolico, potrebbe non aderirgli in pieno a causa delle infinite fragilità che accompagnano il mio quotidiano, ma di sicuro del cristianesimo reca l’impronta più naturale: non la scorciatoia della delega (credere che Dio risolva le mie incompletezze) ma l’ostinazione del cantiere. […] La vita, il lavoro, l’Università Cattolica sono un continuo innalzare impalcature per edificare qualcosa di cui magari non vediamo le finalità, che sia condiviso da altri e in cui altri, quelli che verranno dopo, potranno riconoscersi».

Dopo cento anni, qui è ancora un viavai di costruttori, di progetti da svolgere, di aule da aggiungere e libri da pubblicare. È passato un secolo e stiamo ancora costruendo.
«Così fate qui?»
Si.

 

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Commenti dei lettori

  1. paolo scrive: il: 2021-04-13 12:50:53
    Ci vorrebbe un pensiero. E anche la vita. Sono i due ingredienti per fare grandi sogni. Fatti insieme - come fece quella "banda dei cinque" fondatori dell'Università Cattolica, che a loro volta sedevano sulle spalle dei giganti che li avevano preceduti - talvolta diventano realtà. E la realtà, come dice Francesco, è superiore all'ideale. L'importante è che quegli anni non restino confinati nel "culto delle reliquie" ma diventino viatico per leggere oggi, con la stessa intelligenza di allora, il nostro kairòs. E discernere, mettendo in gioco vita e pensiero, che cosa possiamo fare "del tempo che ci è stato concesso" (Gandalf!). Grazie Velania, abbattitrice del maledetto muro che abbiamo nella testa (libera citazione da Ivano Fossati)

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