Voci dalle periferie per una nuova Milano

Voci dalle periferie per una nuova Milano

11.10.2021
Ripartire dalla città
Ripartire dalla città
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formato: Libro
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In un periodo di grande difficoltà come il nostro sono tante le sfide che dovremo affrontare in futuro: ripartire dalle città – e in particolare dalle periferie – può essere un primo passo per rispondere ai bisogni, anche dei più fragili, restituendo ‘ricchezza’ umana, sociale ed educativa soprattutto a chi ne ha più bisogno. Ne è profondamente convinta Marisa Musaio, docente di Pedagogia generale e sociale presso la Facoltà di Scienze della formazione dell’Università Cattolica, che ha recentemente curato il libro Ripartire dalla città. Prossimità educativa e rigenerazione delle periferie.

Il volume è l'espressione di un progetto nato dalla collaborazione tra le Facoltà di Economia, Scienze della Formazione e Scienze Politiche, e con l’appoggio della prorettrice dell'Università Cattolica del Sacro Cuore Antonella Sciarrone Alibrandi. Al lavoro accademico si aggiunge la sinergia con le istituzioni e le associazioni attive nella città di Milano, in particolare in alcuni contesti periferici, con la collaborazione della Fondazione Pellegrini, che opera nel quartiere Giambellino; con la realtà di Nocetum, associazione che opera nel quartiere di Corvetto e che unisce il recupero del territorio al significato di una rigenerazione umana e spirituale; il CISOM (Corpo italiano di soccorso dell’Ordine di Malta), che si occupa delle persone più disagiate e senza fissa dimora.

Abbiamo incontrato l'autrice per approfondire il tema e scoprire come queste sinergie siano benefiche per la comunità tutta.

Il dialogo con queste realtà si è svolto in questi anni non solo sul campo, ma anche all'interno delle aule dell'Università. Ritiene importante che gli studenti si confrontino concretamente con queste associazioni?

All’interno del corso di “Teoria della relazione d’aiuto”, insegnamento della laurea magistrale in “Consulenza pedagogica per la disabilità e la marginalità”, ho incontrato in questi anni molti testimoni privilegiati che dialogano quotidianamente su questi temi. Dagli incontri è nato un dialogo stretto con i rappresentanti di associazioni, fondazioni, centri di accoglienza che aiutano a far sentire l’importanza dell’esperienza sul campo per i nostri studenti e per l’avvio di progetti di collaborazione e di sinergia con l’università.



Nell’Introduzione al volume, leggiamo: «Da luogo lontano dal centro, la periferia si delinea come il ‘centro’ di un rinnovato umanesimo sociale, economico, culturale, associativo». Qual è il ritratto che ci lascia la città oggi?
Vedo la città sempre più restituita dall’umanità che incontriamo nelle periferie e, viceversa, dal distacco, dall’indifferenza che incontriamo nei luoghi del cosiddetto ‘centro’. In realtà la contrapposizione che siamo soliti vedere tra città e periferia è oggi capovolta: non è sempre vero, infatti, che ad attrarre sia la città perché ricca, anche la periferia attrae per il suo bisogno di relazioni, di guardarsi negli occhi, di ritrovarsi. La periferia, quindi, diventa un grosso laboratorio umano, sociale e pedagogico perché è in questo contesto che si attivano non solo le risposte ai bisogni ma anche rinnovate dinamiche di convivenza.

Tra le varie esperienze che ha vissuto, c'è un incontro che l'ha particolarmente colpita?
Devo dire che sono tutte importanti. Tuttavia, tra le iniziative che mi stanno più a cuore ci sono quelle che intercettano la condizione delle donne con storie particolari e difficili, aiutate in centri di accoglienza che non sono solo di recupero, ma di accompagnamento. In queste donne ho visto il riflesso di una rinnovata e forte identità femminile, spesso oggi appiattita su uno stereotipo fatto solo di acquisizioni economiche. Vedere una donna con una storia difficile alle spalle, che ce la fa e si fa carico di essere a sua volta un modello educativo per sé, per i propri figli, per la società, vuol dire assistere a un atto eroico nella difficile quotidianità. Come pedagogisti la nostra finalità è quella di accrescere le potenzialità che una persona ha già dentro di sé per aiutarsi; in questi casi questo aspetto è pienamente realizzato.

La seconda parte del volume ha come obiettivo quello di delineare le coordinate di una ‘pedagogia della città’. Cosa si intende con questo termine?
Alcuni definiscono la ‘pedagogia della città’ nel senso di città da educare; per me significa guardare agli infiniti spazi che ci sono nella città e alla loro traduzione umana: abbiamo bisogno di recuperare i “non luoghi” – spazi che non hanno ancora una denominazione e una strutturazione educativa –, di far diventare i non luoghi dei luoghi educativi, luoghi antropologici. Questo è sicuramente un aspetto fondamentale di una città che si fa comunità educante. Un altro aspetto interessante nasce dall’attività culturale, sociale, di iniziativa: nelle periferie si trovano le condizioni idonee per far sviluppare – con più facilità rispetto a quanto avviene nella città – iniziative che vedono i giovani come protagonisti. Una terza dimensione che ci può far capire concretamente cosa si intenda per ‘pedagogia della città’ è restituita da quel senso di comunità che nasce intorno ai bisogni dei più fragili e in particolare degli anziani: nelle periferie si riesce a trovare una risposta ai bisogni di solitudine degli anziani con l’iniziativa di condomini solidali che meritano particolare attenzione.

Nel volume, oltre al contributo dell'arcivescovo di Milano Mario Delpini, intervengono diversi soggetti istituzionali, accademici e imprenditoriali; tra questi l'architetto Stefano Boeri, che nel suo contributo per valorizzare l’esperienza del bene comune in una città come Milano, caratterizzata da forti discontinuità, propone tre possibilità: scuole aperte, gioco e forestazione. È d’accordo con queste proposte?

Quelli proposti da Boeri, insieme ad altri, sono canali sicuramente percorribili: l'apertura delle scuole è un tema da tenere presente, soprattutto in un contesto post-pandemico che richiede di ritrovare spazi di benessere e gioco per i bambini e ragazzi. Per quanto riguarda la forestazione, sicuramente siamo di fronte a una modalità risposta all’urgenza e all’emergenza climatica e ad una maggiore attenzione all’ambiente. Bisogna però fare attenzione a un aspetto: la riqualificazione urbana, anche in certi contesti periferici, va realizzata senza causare la perdita di identità del quartiere e l’esclusione di chi da sempre lo abita.

Per concludere, quale futuro vede – o spera – per questa città?
Sicuramente vedo un superamento del distacco centro/periferia, ma auspico anche delle periferie come luoghi di bellezza, e non solo del disagio e dell’esclusione, ma luoghi di vicinanza e di iniziative educative e, dall’altra parte, un centro più curioso dei cambiamenti che stanno caratterizzando le periferie.


(a cura di Martina Fracarolli)
 

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