I giovani non sono atei, ma in ricerca
Niente sarà più come prima
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Niente sarà più come prima: è il titolo dell’ultima ricerca dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo, un’indagine che si è mossa con due obiettivi: conoscere come i giovani abbiano vissuto l’esperienza della pandemia (emozioni, sentimenti, pensieri, interrogativi…); accostare la dimensione religiosa nei giovani in una situazione di crisi. Di seguito un breve estratto dalla prefazione a firma dei curatori Paola Bignardi e Stefano Didoné.
di Paola Bignardi e Stefano Didoné
«I giovani di oggi, per i quali la partecipazione al catechismo è un ricordo lontano e soprattutto naïf, confuso con i giochi della fanciullezza, hanno poche o nessuna risposta agli interrogativi della vita, che si affacciano particolarmente in alcune situazioni limite o di crisi. La sensibilità religiosa sta subendo una profonda trasformazione: non sta scomparendo, ma sta cambiando sulla spinta della progressiva marginalizzazione del cristianesimo dalla società, i cui effetti si vedono anche nella scomparsa delle risposte della fede agli interrogativi della vita.
Lo scenario italiano rimane caratterizzato da una cultura cattolica che fa da sfondo più per il mondo degli adulti, anch’esso in crisi di identità rispetto a quello dei giovani, più aperto a nuove contaminazioni culturali e religiose.
Questa è l’ipotesi che l’indagine Niente sarà più come prima. Giovani, pandemia e senso della vita vorrebbe verificare. Tante domande che si presentano in modo confuso, perché i giovani di oggi, oltre che mancare di risposte, mancano anche delle parole per dare forma agli interrogativi e alle inquietudini che li agitano.
L’approfondimento qualitativo ha mostrato come la condizione giovanile sia una realtà molto più complessa di come potrebbe apparire dalle risposte ottenute attraverso i metodi convenzionali di indagine e dai relativi tentativi di classificazione della fede (Garelli, 2020). I giovani stanno attraversando una profonda crisi culturale dall’esito non scontato. Soprattutto non univocamente “depressivo” e “nichilistico”, come troppo spesso viene rappresentata (Galimberti, 2018). La stessa categoria di secolarizzazione, abbondantemente utilizzata dalla sociologia religiosa per rendere ragione dei cambiamenti in atto, appare oggi inadeguata per raccontare uno scenario del tutto inedito, molto più fluido rispetto a posizioni stabilite ideologicamente a priori. I giovani non sono “atei”, ma in ricerca.
La non credenza non appare dai loro racconti come una posizione definitiva o un alibi per non avere a che fare con un’istituzione come la Chiesa, considerata distante dalla loro esperienza quotidiana. Il non credere appare piuttosto come una posizione aperta ad un possibile discorso religioso reinterpretato a partire dalla vita, magari proprio grazie a figure significative che esprimono dedizione e cura nel loro lavoro o missione. E d’altra parte i giovani che si dichiarano credenti hanno in molti casi gli stessi interrogativi di chi si dice ateo e si mostrano impacciati ad interagire in maniera convincente con le domande dei coetanei non credenti e con le proprie stesse domande.
Le storie “post-secolari” dei giovani mostrano una vivacità che sorprende. I giovani non solo sanno ancora porsi delle domande di senso – anche riguardo al senso religioso della vita – ma sanno abitare quelle grandi domande senza facili vie di fuga. Da questo punto di vista, la prova della pandemia rappresenta un grande acceleratore dei processi di cambiamento sociale e culturale che stiamo attraversando e i giovani percepiscono l’albeggiare di un tempo nuovo dove invece gli adulti vedono il tramonto di un’epoca.
Quasi certamente il Covid rappresenta uno spartiacque, una frattura generazionale: i giovani che la stanno attraversando ne escono cambiati. In questo senso ha un suo valore l’affermazione-slogan che «Niente sarà più come prima»: non lo sarà più il modo di vivere le relazioni, di guardare al futuro, di porsi di fronte al mondo. […]
L’idea di un’indagine focalizzata sulle ricadute della pandemia sulla dimensione religiosa è nata dai risultati di due rilevazioni statistiche, una svolta a fine marzo 2020 e una ad ottobre 2020. Così, questa rapida indagine, oltre ad aprire una finestra sul modo in cui, al di là dei comportamenti, i giovani hanno vissuto e stanno vivendo interiormente la stagione del Covid, rappresenta uno spiraglio su come, in un tempo post secolare, essi elaborino le domande sul senso della vita, della loro vita; dove e come le interpretino e cerchino risposte ad esse.
Tutto ciò interpella la Chiesa, la sua pratica pastorale e anche la sua teologia. È sempre più chiaro che servono delle elaborazioni ed un linguaggio nuovi, più fiduciosi riguardo alla possibilità di venire alla fede tramite dei percorsi personalizzati e non dei modelli standard.
Riteniamo che i risultati di questa indagine possano essere materiale prezioso per tutti gli educatori che si interrogano su come curare la dimensione religiosa e per gli educatori cristiani che si chiedono come trasmettere la fede alle nuove generazioni. L’azione educativa potrà essere efficace solo attraverso una sua radicale trasformazione, che abiliti gli educatori a lavorare sugli interrogativi, ben prima che offrire proposte.
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