I giovani non sono atei, ma in ricerca

I giovani non sono atei, ma in ricerca

19.04.2021
Niente sarà più come prima
Niente sarà più come prima
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Niente sarà più come prima: è il titolo dell’ultima ricerca dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo, un’indagine che si è mossa con due obiettivi: conoscere come i giovani abbiano vissuto l’esperienza della pandemia (emozioni, sentimenti, pensieri, interrogativi…); accostare la dimensione religiosa nei giovani in una situa­zione di crisi. Di seguito un breve estratto dalla prefazione a firma dei curatori Paola Bignardi e Stefano Didoné.

di Paola Bignardi e Stefano Didoné

«I giovani di oggi, per i quali la partecipazione al catechismo è un ricordo lontano e soprattutto naïf, confuso con i giochi della fanciullezza, hanno poche o nessuna risposta agli interrogativi della vita, che si affacciano particolarmente in alcune situazioni limite o di crisi. La sensibilità religiosa sta subendo una profon­da trasformazione: non sta scomparendo, ma sta cambiando sul­la spinta della progressiva marginalizzazione del cristianesimo dalla società, i cui effetti si vedono anche nella scomparsa delle risposte della fede agli interrogativi della vita.

Lo scenario italia­no rimane caratterizzato da una cultura cattolica che fa da sfon­do più per il mondo degli adulti, anch’esso in crisi di identità rispetto a quello dei giovani, più aperto a nuove contaminazioni culturali e religiose.

Questa è l’ipotesi che l’indagine Niente sarà più come prima. Giovani, pandemia e senso della vita vorrebbe verifi­care. Tante domande che si presentano in modo confuso, perché i giovani di oggi, oltre che mancare di risposte, mancano anche delle parole per dare forma agli interrogativi e alle inquietudini che li agitano.

L’approfondimento qualitativo ha mostrato come la condizio­ne giovanile sia una realtà molto più complessa di come potrebbe apparire dalle risposte ottenute attraverso i metodi convenziona­li di indagine e dai relativi tentativi di classificazione della fede (Garelli, 2020). I giovani stanno attraversando una profonda crisi culturale dall’esito non scontato. Soprattutto non univocamente “depressivo” e “nichilistico”, come troppo spesso viene rappresen­tata (Galimberti, 2018). La stessa categoria di secolarizzazione, abbondantemente utilizzata dalla sociologia religiosa per rendere ragione dei cambiamenti in atto, appare oggi inadeguata per rac­contare uno scenario del tutto inedito, molto più fluido rispetto a posizioni stabilite ideologicamente a priori. I giovani non sono “atei”, ma in ricerca.

La non credenza non appare dai loro raccon­ti come una posizione definitiva o un alibi per non avere a che fare con un’istituzione come la Chiesa, considerata distante dalla loro esperienza quotidiana. Il non credere appare piuttosto come una posizione aperta ad un possibile discorso religioso reinterpretato a partire dalla vita, magari proprio grazie a figure significative che esprimono dedizione e cura nel loro lavoro o missione. E d’altra parte i giovani che si dichiarano credenti hanno in molti casi gli stessi interrogativi di chi si dice ateo e si mostrano impacciati ad interagire in maniera convincente con le domande dei coetanei non credenti e con le proprie stesse domande.

Le storie “post-secolari” dei giovani mostrano una vivacità che sorprende. I giovani non solo sanno ancora porsi delle do­mande di senso – anche riguardo al senso religioso della vita – ma sanno abitare quelle grandi domande senza facili vie di fuga. Da questo punto di vista, la prova della pandemia rappresenta un grande acceleratore dei processi di cambiamento sociale e culturale che stiamo attraversando e i giovani percepiscono l’al­beggiare di un tempo nuovo dove invece gli adulti vedono il tramonto di un’epoca.

Quasi certamente il Covid rappresenta uno spartiacque, una frattura generazionale: i giovani che la stanno attraversando ne escono cambiati. In questo senso ha un suo valore l’affermazione-slogan che «Niente sarà più come prima»: non lo sarà più il modo di vivere le relazioni, di guardare al futuro, di porsi di fronte al mondo. […]

L’idea di un’indagine focalizzata sulle ricadute della pandemia sulla dimensione religiosa è nata dai risultati di due rilevazioni statistiche, una svolta a fine marzo 2020 e una ad ottobre 2020. Così, questa rapida indagine, oltre ad aprire una finestra sul modo in cui, al di là dei comportamenti, i giovani hanno vissuto e stanno vivendo interiormente la stagione del Covid, rappresenta uno spiraglio su come, in un tempo post secolare, essi elaborino le domande sul senso della vita, della loro vita; dove e come le interpretino e cerchino risposte ad esse.

Tutto ciò interpella la Chiesa, la sua pratica pastorale e anche la sua teologia. È sempre più chiaro che servono delle elaborazio­ni ed un linguaggio nuovi, più fiduciosi riguardo alla possibilità di venire alla fede tramite dei percorsi personalizzati e non dei modelli standard.

Riteniamo che i risultati di questa indagine possano essere ma­teriale prezioso per tutti gli educatori che si interrogano su come curare la dimensione religiosa e per gli educatori cristiani che si chiedono come trasmettere la fede alle nuove generazioni. L’azio­ne educativa potrà essere efficace solo attraverso una sua radicale trasformazione, che abiliti gli educatori a lavorare sugli interroga­tivi, ben prima che offrire proposte.

 

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