Il giudice: uomo vitruviano libero, riservato e al servizio del diritto
Giustizia
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autori: | Giovanni Canzio, Francesca Fiecconi |
formato: | Libro |
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Di seguito un'anteprima tratta dal capitolo Il modello di giudice tra etica, professionalità e responsabilità (sfoglia l'indice del volume).
Dalla constatazione che il potere del giudice nella società contemporanea si è venuto progressivamente delineando in forme nuove e più penetranti, occorre trarre il logico corollario che all’accresciuto potere debba corrispondere un più alto senso di responsabilità. Responsabilità che va declinata nell’adempimento non solo dei basilari obblighi di terzietà, imparzialità e rispetto delle garanzie, ma anche di quelli concernenti la ragionevole durata della procedura, l’accurata ricerca delle prove, la rigorosa verifica dei fatti, la fedeltà agli atti del processo, la semplice e trasparente spiegazione delle ragioni giustificatrici della decisione, al fine di assicurare, nella trattazione del caso concreto, l’efficacia della funzione esercitata.
Di qui l’esigenza di collegare saldamente la legittimazione del giudice alla costruzione di una figura caratterizzata da più stringenti requisiti di capacità professionale e di etica del limite, in una parola di più spiccata autorevolezza, secondo il modello disegnato dalle varie Raccomandazioni del Consiglio d’Europa.
In esso s’iscrive, da ultimo, la necessità di alimentare il fenomeno dell’associazionismo tra giudici, al fine di garantirne un’adeguata e indipendente formazione professionale e promuovere la cooperazione transfrontaliera, evitando di orientare le loro attività in funzione degli interessi di partiti politici o di candidati a funzioni politiche, ovvero su temi politici estranei ai loro obiettivi.
In tale complessità va configurandosi all’orizzonte, nella pratica giudiziaria, un nuovo modello professionale di magistrato europeo: un uomo di cultura a tutto tondo, non solo giuridica ma anche umanistica e scientifica, un responsabile ed efficace valutatore del fatto e interprete del diritto, un buon ragionatore e decisore di qualità, abile nell’esercizio dell’arte del giudicare, esperto nella logica inferenziale e nella verifica degli schemi statistico-probabilistici, come pure nelle tecniche della scrittura argomentativa. E però libero da vincoli e condizionamenti che non siano la legge, la ragione e l’etica del limite e del dubbio.
Orbene, tutto ciò può contribuire, per un verso, a ridurre gli spazi della incertezza del diritto e, per altro verso, a ridimensionare, entro confini tutto sommato accettabili, il rischio dell’errore giudiziario, restituendo, più in generale, al funzionamento della giustizia una più adeguata immagine di efficacia e qualità.
Volendo parafrasare un suggestivo passo di Vitruvio all’inizio del libro I del trattato di età classica De architectura, si potrebbe dire: «La scienza dell’architetto [del giudice] richiede l’apporto di molte discipline e di conoscenze relative a svariati campi. Egli dev’essere in grado di giudicare i prodotti di ogni altra arte. La sua competenza nasce da due componenti: quella pratica e quella teorica. La ‘fabrica’ consiste nell’esercizio continuato e ripetuto dell’esperienza costruttiva, che si concreta quando l’architetto [il giudice] di sua propria mano, sulla base di un disegno progettuale, realizza l’edificio desiderato. La ‘ratiocinatio’ consiste nella capacità di esporre e spiegare gli edifici, una volta costruiti con debita diligenza, secondo computi matematici e proporzionali. Solo chi padroneggia sia la pratica che la teoria è dotato di tutte le armi necessarie e può conseguire pieno successo».
Etica e saperi: sembrano queste, nell’ambito di un progetto virtuoso di ricostruzione dei modelli di formazione professionale, le più salienti caratteristiche del giudice ideale che ne migliorino il livello di efficacia e qualità.
A tal fine possono soccorrere taluni percorsi virtuosi, quali: l’adeguato funzionamento dell’apparato organizzativo di supporto; la selezione rigorosa dei dirigenti; la costante misurazione dei dati relativi alla quantità e alla qualità delle procedure; la definizione di schemi procedimentali ispirati alle best practices e condivisi dalle professioni legali; la reciproca contaminazione culturale della comunità dei giuristi; l’aggiornamento delle conoscenze nella formazione professionale, allargata alle implicazioni teoriche delle nuove tecnologie.
Un ruolo significativo può svolgere, inoltre, l’adesione effettiva delle prassi processuali e delle condotte extraprocessuali alle regole di deontologia professionale, dettate dall’ordinamento giudiziario e dal codice etico dei magistrati che, in una visione non autoreferenziale, prescrivono laboriosità, diligenza, impegno, equilibrio, rispetto delle parti e dei difensori, attenzione all’ascolto delle ragioni degli altri, leale collaborazione con le istituzioni e gli altri poteri dello Stato, moderazione nel linguaggio, sobrietà e riservatezza anche nei rapporti con i media. […]
Spetta, per un verso, al parlamento e al governo apprestare le misure necessarie perché la giurisdizione possa adempiere l’alto compito di garanzia affidatole dalla Costituzione, dalla Convenzione e dai trattati dell’Unione europea. Nella consapevolezza, tuttavia, che esso non può risolversi in un meccanico esercizio ragionieristico di numeri e che il nudo efficientismo senz’anima rischia di piegare i nobili orizzonti costituzionali verso un inaccettabile modello di magistrato-burocrate, preoccupato più del proprio status che della tutela dei diritti degli altri.
Le risposte dei giudici alle domande di legalità debbono essere sì pronte ed efficaci, ma anche colte, eque e razionali: qualità che pretendono capacità di ascolto e di attenzione, dialogo con l’avvocatura e con la comunità dei giuristi, tempi adeguati di studio e riflessione, scelte serie e ponderate. D’altro canto, se il processo non è solo architettura normativa, ma anche filosofia e prassi, intessute di professionalità, etica e responsabilità, i giudici hanno innanzitutto il dovere di attivare un virtuoso percorso interno di autodisciplina che, mettendo al bando ogni autoreferenzialità, faccia leva sulla cultura della giurisdizione, ovvero sul neutrale sapere esperienziale, sull’etica e sulle interne capacità di auto-organizzazione e regolazione.
In breve, l’esercizio della giurisdizione va inteso come ‘servizio’, anziché come ‘potere’, così da implementare, col prestigio e l’autorevolezza della funzione, la legittimazione della magistratura nella società e la fiducia dei cittadini nello Stato di diritto.
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