L'ascesa dei movimenti nazionalisti-populisti; la crescente rivalità di potere tra Stati Uniti e Cina; le pressioni sociali, economiche e di sicurezza scatenate dalla pandemia COVID-19 sollevano molte domande sulla capacità dell’internazionalismo liberale di resistere alla crisi globale. In Un mondo sicuro per la democrazia il celebre politologo di Princeton G. John Ikenberry prova a dare qualche risposta ripercorrendo la tortuosa traiettoria dall’internazionalismo liberale nel suo lento e incerto cammino verso il XXI secolo. Di seguito un breve estratto tratto dal primo capitolo.
di G. John Ikenberry
Alla fine della Seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti e i loro alleati avevano costruito un nuovo tipo di ordine internazionale basato sul libero commercio, la sicurezza cooperativa, il multilateralismo, la solidarietà democratica e la leadership americana. Furono fondate istituzioni regionali e globali per facilitare la cooperazione, custodire le norme comuni e unire le società. L’Europa occidentale superò secoli di divisione per inaugurare un progetto di integrazione e unità politica. La Germania Ovest e il Giappone si reinventarono come potenze ‘civili’ e divennero investitrici nell’ordine liberale postbellico. In tutto il mondo industrializzato il periodo del dopoguerra fu un’epoca d’oro di crescita economica e avanzamento sociale.
Con la fine della Guerra Fredda e il collasso dell’Unione Sovietica, il nuovo ordine liberale si espanse in tutto il mondo. I Paesi che si trovavano ai suoi confini intrapresero radicali cambiamenti politici ed economici per esservi integrati. La Russia e la Cina si unirono alla World Trade Organization (WTO). Mosca si era indebolita e Pechino non era ancora emersa come superpotenza economica. Le grandi rivalità di potere e la competizione ideologica erano ai minimi storici.
Tutto ciò che gli internazionalisti liberali occidentali avevano creduto e sostenuto sembrava essere alle porte.
Oggi questo grande progetto è in crisi: una crisi quanto mai manifesta nella perdita di fiducia nella possibilità di trovare soluzioni collettive a problemi comuni. Sorprendentemente,
la ritirata dall’internazionalismo liberale riguarda proprio gli Stati che furono i suoi patroni e principali fautori nel dopoguerra: le due grandi potenze che hanno fatto di più per dare un carattere liberale al moderno ordine internazionale –
la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, le più antiche e venerate democrazie del mondo – ora sembrano rifiutare questo ruolo.
Il referendum britannico del giugno 2016 per abbandonare l’Unione Europea (UE) ha sconvolto gli osservatori e sollevato angoscianti domande sul futuro del progetto europeo – lo sforzo, a lungo sostenuto dopo la guerra e consacrato nel trattato fondativo dell’UE, per la costruzione di una «unione più perfetta». L’UE è stata il silenzioso baluardo dell’ordine liberale occidentale: in ciascuna decade dell’era postbellica, è stato il progresso politico dell’Europa, i suoi sforzi per riunire le proprie democrazie liberali e attenuare le antiche divisioni geopolitiche e nazionaliste, ciò che ha incarnato più pienamente la visione dell’internazionalismo liberale. Ma quel progresso oggi si è arrestato, e i problemi più generali che affliggono l’UE – i flussi migratori, gli squilibri monetari, la stagnazione delle economie, il nazionalismo reazionario – consolidano l’impressione di una crisi.
Negli Stati Uniti, l’elezione di Donald Trump ha scatenato ancora di più i dubbi circa il futuro dell’ordine internazionale liberale. Per la prima volta dal 1945, gli Stati Uniti si sono trovati sotto la guida di un presidente attivamente ostile alle idee centrali dell’internazionalismo liberale. In aree come il commercio, le alleanze, il multilateralismo, l’immigrazione, la rule of law e la solidarietà democratica, l’amministrazione Trump ha attivamente insidiato l’ordine costruito dagli Stati Uniti nel dopoguerra. Al grido di America First, il presidente americano ha abbandonato gli impegni a combattere il cambiamento climatico, difendere le istituzioni democratiche e rispettare gli accordi multilaterali per un sistema globale aperto e fondato su regole, offrendo lo spettacolo stupefacente di un presidente americano sistematicamente impegnato a sabotare le istituzioni e le alleanze costruite e dirette dagli Stati Uniti negli ultimi settant’anni. Come ha detto il presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk, «L’ordine internazionale fondato su regole è sotto attacco, e non da parte dei soliti sospetti, ma del suo principale architetto e garante: gli Stati Uniti».
La pericolosità di questo momento politico è ancora più profonda in quanto è contemporanea a un movimento di rivolta nazionalista e populista che interessa tutto il mondo democratico. Le coalizioni di governo centriste e liberali che hanno edificato l’ordine internazionale del dopoguerra si sono indebolite: la democrazia liberale stessa appare fragile, vulnerabile in particolar modo al populismo di estrema destra. Alcuni fanno risalire questi problemi alla crisi finanziaria globale del 2008, che ha esacerbato la disuguaglianza economica e alimentato il discontento delle democrazie più avanzate, che furono le prime a sostenere l’ordine liberale e a beneficiare da esso. Nel frattempo, la Cina e la Russia hanno cominciato a rifiutare l’ordine costituito dagli Stati Uniti, osteggiando le influenze occidentali entro i propri confini e cercando di espandere le proprie sfere d’influenza. La Russia sta attivamente tentando di compromettere la legittimità e l’azione delle istituzioni democratiche in Europa e negli Stati Uniti. La Cina ha cominciato ad avanzare la propria idea di modernità: capitalismo senza liberalismo e democrazia. Gli Stati autoritari di tutto il mondo stanno attivamente promuovendo narrazioni pessimistiche e visioni illiberali della civiltà, della politica e della modernità. […]
Il mondo occidentale sembra aver perduto qualcosa di importante: un senso di possibilità, la convinzione che si possa creare un futuro migliore. Declino, decadenza e regressione sono i nuovi slogan del vecchio ordine. Cos’è avvenuto? Quali sono le cause nascoste di questi disturbi? Dire che un ordine politico è in crisi significa sostenere che le sue istituzioni e relazioni non sono sostenibili, che qualcosa deve cambiare. Ma quanto è profonda questa crisi?
Potrebbe essere semplicemente una caduta momentanea delle nostre sorti economiche e politiche, qualcosa che una rinnovata crescita e una diversa leadership potrebbero invertire. Dopotutto anche i primi decenni dell’ordine occidentale del dopoguerra non furono così idilliaci come spesso si pensa. La crisi di Suez, l’uscita della Francia dalla Struttura di Comando NATO, le dispute sul dollaro americano, i movimenti di protesta per i diritti civili e contro la Guerra del Vietnam e gli assassinii politici sono tutti indicatori di un’era turbolenta. [...]
I problemi di oggi sono indubbiamente più profondi.
Molti vedono in questa crisi il declino dell’egemonia americana. Se le cose stanno così, questi problemi potrebbero rappresentare
una ‘crisi di transizione’ in cui la leadership, le istituzioni e i patti dell’ordine liberale del dopoguerra stanno venendo rinegoziati in vista di un nuovo ordine post-americano, sempre relativamente aperto e fondato su regole, ma meno occidentale: una crisi di governo che si potrebbe risolvere con una ridistribuzione di autorità e ruoli all’interno del sistema.[...]
Altri sostengono che l’internazionalismo liberale non può essere disgiunto dall’egemonia americana: quando il mondo sarà «meno americano», dicono, sarà anche meno liberale. Se le cose stanno così,
allora la crisi è più strutturale, e mette in discussione la logica di fondo dell’internazionalismo liberale stesso. [...]
[Credo che] l'internazionalismo liberale abbia ancora un futuro come modo di organizzazione del mondo. Le idee e gli impulsi di un ordine internazionale aperto, fondato su regole e progressivamente orientato hanno radici profonde nella politica mondiale. La tradizione liberale di costruzione dell’ordine è emersa con la crescita e la diffusione della democrazia liberale e le sue idee e le sue mete sono state definite man mano che i Paesi democratici si confrontavano con le opportunità e i pericoli della modernità. Creare uno ‘spazio’ internazionale per la democrazia liberale, conciliare i dilemmi della sovranità e dell’interdipendenza, preservare le protezioni e i diritti entro e tra gli Stati: questi sono alcuni degli obiettivi centrali che hanno guidato l’internazionalismo liberale attraverso gli sconvolgimenti degli ultimi due secoli. In un mondo di crescente interdipendenza economica e securitaria, esso rimane il metodo di organizzazione delle relazioni internazionali più coerente e funzionale, e il più universalmente accettabile. L’internazionalismo liberale non ha fallito: è rimasto vittima del suo stesso successo. Nella sua transizione, avvenuta dopo la Guerra Fredda, da ordine liberale occidentale a ordine globalizzato, ha di fatto tradito il proprio fondamento politico e compromesso i propri scopi sociali. Come già hanno fatto nelle epoche passate, gli internazionalisti liberali di oggi dovranno ripensare e reinventare il loro progetto.
Commenti dei lettori
Articolo letto 2141 volte.
Inserisci un commento