Rimanere sulla piazza
LA RIVISTA DEL CLERO ITALIANO - 2022 - 1
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formato: | Fascicolo digitale |
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Dal primo fascicolo del 2022 la "Rivista del Clero Italiano" si rinnova, con l'introduzione di tre dossier (marzo, giugno, ottobre), cinque rubriche – Senti chi parla (interviste a figure di rilievo); Chiese dell’altro mondo (per uno sguardo che vada oltre il solo panorama della Chiesa italiana); Mai senza l’altro (su questioni ecumeniche e interreligiose); Esperienze pastorali (recensioni di prassi reali che meritano di essere condivise); Terza pagina (incursioni nella letteratura, nel cinema, nella serialità televisiva, nell’arte in cui vibrano interrogazioni comuni) – e un nuovo impianto grafico con in rilievo in copertina un’opera d’arte. Per quest’anno, un’opera di Anselm Kiefer, uno degli artisti più noti al mondo (per approfondire). Queste innovazioni vogliono essere espressione, come recita il nuovo sottotitolo della rivista, della Chiesa, cultura e società nel mondo che cambia. Di seguito un estratto dall'editoriale intitolato Rimanere sulla piazza.
di Giuliano Zanchi
Rendere possibile la fede è diventato un servizio sempre più difficile. L’impressione che i preti abbiano bisogno di aiuto resta intatta, come ai tempi in cui la Rivista è nata. Anzi, ora forse di più, vanno proprio sostenuti, incoraggiati, e anche compresi. Ma a loro si sono aggiunte quelle persone che, pur non avendo un ministero ufficialmente ordinato, hanno assunto a vario titolo dirette responsabilità pastorali o semplicemente un servizio onorato con passione. Con un termine non del tutto adeguato, li abbiamo chiamati «laici». La loro emersione è stata la vera rivoluzione conciliare, in particolare quella delle donne, che in molti campi rivestono una leadership di fatto.
La Rivista, senza nemmeno tanto bisogno di dichiararlo, ha cominciato a rivolgersi anche a tutte queste persone. Il loro amore per la Chiesa deve far i conti con una certa debolezza del credere in questo tempo storico. I sentimenti che ne possono venire vanno prevenuti prima che curati. Ancora una volta bisogna evitare che nella vigna del Signore si lavori a testa bassa, senza vedere l’orizzonte in cui ci si trova e senza annusare l’aria in cui si è immersi.
Il compito pastorale è il luogo dove si capisce che la questione culturale riguarda quei modelli di senso che si impongono per il fatto stesso di organizzare la forma collettiva della vita. La pastorale e le sue azioni sono il luogo dove si sperimenta ogni volta l’impossibilità di sottrarsi a questi modelli e allo scambio simbolico che li genera. Il prezzo sarebbe isolarsi in una riserva, diventare una setta. Bisogna invece stare, come dice papa Francesco in un passo ormai notissimo di Evangelii Gaudium, dove si formano racconti e paradigmi. Significa stare nel luogo in cui gli uomini di oggi pongono le loro domande più essenziali e nel modo in cui oggi è dato loro di porsele. Il vangelo può risuonare in modo significativo solo se interrogato a partire da queste domande, non da presunte interrogazioni senza tempo. Spesso il cattolicesimo, insistendo su risposte precostituite, ha come inibito e represso il luogo umano delle domande.
La Chiesa italiana e universale si sente mossa da molto tempo dal desiderio di intraprendere il cammino di una nuova evangelizzazione e di diventare una Chiesa in uscita. Ma senza una vera coscienza culturale queste intenzioni rischiano di consumarsi come proclami e di ridursi a una supplenza sociale facilmente attaccabile, oppure a una vibrante militanza editoriale. Rimanere sulla piazza kerigmatica che ha un solo passo da fare per diventare un evangelismo all’americana. Ogni volta che nella storia la Chiesa ha ritrovato un vero slancio evangelizzatore è stato quando ha fatto sintesi con le forme culturali del suo tempo e si è cordialmente preso cura del suo mondo.
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