Il manager narratore. Il potere della comunicazione in un mondo che cambia

di Annalisa Galardi
1. Il manager è una figura al centro del cambiamento
È sempre più difficile, infatti, trovare un equilibrio tra i compiti di gestione, quelli in cui è richiesto approfondimento e conoscenza puntuale e la necessità di costruire e mantenere relazioni all’interno e all’esterno, saper comunicare, parlare in pubblico… in una parola, sapere, saper fare e farsi capire.
Sul manager convergono le pressioni dei macrotrend che stanno cambiando il mondo del business, di fronti emergenti sempre diversi e con sempre maggiore intensità. Oggi bisogna continuamente prendere decisioni su nuove sfide, e si vive la situazione paradossale che il cambiamento sia veloce, mentre le azioni e le decisioni siano sempre più lente, difficili, con la frequente sensazione che nulla vada più a segno nei modi e nei tempi previsti.
2. La guerra dei mondi
La guerra dei mondi è un romanzo di fantascienza di Herbert George Wells, forse la sua opera più famosa. Pubblicato originariamente nel 1897,venne adattato da Orson Welles in un celebre programma radiofonico nel 1938. La storia, narrata in forma di cronaca, venne interpretata in modo così realistico che una parte del popolo statunitense credette realmente che stesse avvenendo un'invasione di extraterrestri, rimanendone scossa e turbata. Trasmesso dalla CBS, il programma riportava nel dettaglio l’invasione aliena in New Jersey. Si narra che tra le telefonate che giunsero al centralino del New York Times ve ne fosse una di un uomo che chiese, seriamente: «A che ora è la fine del mondo?». Il singolo It's the End of the World as We Know It (And I Feel Fine) dei R.E.M. prende spunto proprio da quella domanda.La prima edizione in italiano del romanzo risale al 1901.
Diciamolo, siamo tutti immersi in una sorta di “guerra dei mondi”, nella quale vecchio e nuovo, subdolamente, non si fronteggiano ma si sovrappongono. In cui i compiti si moltiplicano e in campi nei quali le competenze richieste non sono così scontate. Big data, ESG, cybersecurity sono temi caldi del nostro tempo, ma il mondo delle organizzazioni non è cambiato così tanto e, quindi, a problemi vecchi si aggiungono e sovrappongono problemi nuovi, incrementando la complessità. Al tempo stesso le organizzazioni continuano ad avere bisogno di sostenibilità economico-finanziaria, di far quadrare l’insieme del bilancio, per sviluppare il proprio core business e al tempo stesso per realizzare progetti innovativi e integrare all'interno del business proprio quei macrotrend portati dal cambiamento di epoca, e supportarli.
3. Il potere della comunicazioneDal punti di vista della comunicazione e della gestione delle relazioni, propongo alcuni spunti. Elementi che nel quotidiano spesso soccombono all’abitudine, all’“abbiamo sempre fatto così”, e che però possono avere un impatto sia sulle azioni, sia sulle relazioni chiave all’interno dell'organizzazione sia con il board, sia infine con l’esterno. Il manager è oggi anche un narratore. Deve saper lavorarecon le parole, con il racconto. Perché sempre di più, nella complessità, capirsi significa far diventare semplici alcune porzioni di complessità.Allo stesso modo, lo èchi lavora principalmente con i numeri: è un narratore al pari di chi lavora con le parole.
Quante volte abbiamo pensato che bastasse fare copia-incolla da una presentazione esistente, magari cambiando qualche numero, per non fare troppa fatica? Pensare che sì, il bilancio è più o meno lo stesso dell’anno scorso, basta modificare le tabelle…
Beh, non funziona. Ogni volta, la storia cambia, perché cambia il quadro d’insieme. Se cambiano i numeri, cambia anche l’interpretazione del presente, del futuro e del passato. Se noi siamo narratori, dobbiamo aver chiaro che ogni volta dobbiamo adottare un punto di vista preferendolo a un altro, scegliendo fra differenti opzioni. E così cambiamo la storia.
La comunicazione è fare una scelta. Tra vecchio e nuovo, tra farsi capire e oscurare, tra un capitalismo più attento ai valori e alla società e le vecchie dinamiche di potere, quelle oligarchie tra sodali e che mantengono comportamenti incapaci di riflettere il cambiamento del mondo, con competenze spesso inadeguate.
La modalità di assumere decisioni strategiche, e quindi di raccontarle, rappresenta lo specchio di questo mondo diviso, e le relazioni, la modalità di prendere decisioni sono un riflesso della stessa attitudine. Aiutano a capire dove ci si trova tra vecchio e nuovo.
4. Il potere della parola (e della chiarezza)La prima competenza è il linguaggio. La sua esattezza, la chiarezza, ovvero il modo in cui comunichiamo. Non è infrequente leggere ancora nefandi verbali dei CDA nei quali ci sono più avverbi che contenuti, scritti in quella che Italo Calvino definiva l’antilingua, ovvero quel modo di offendere l’italiano rendendolo inutilmente complicato e lontano dalla vita: «L'antilingua è la mancanza d'un vero rapporto con la vita, ossia in fondo l'odio per sé stessi. La lingua invece vive solo d'un rapporto con la vita che diventa comunicazione, d'una pienezza esistenziale che diventa espressione».
L’obiezione che più spesso viene posta, come in un’ultima difesa, è che le circostanze formali richiedono un linguaggio formale. E invece no: richiedono un linguaggio chiaro, senza fronzoli, operativo.
Perché è proprio nel centro strategico e previsionale dell'azienda, centro nel quale le crisi si manifestano e si risolvono, che c’è bisogno della massima chiarezza per essere efficaci.
Il linguaggio rappresenta la chiarezza di pensiero e di azione, e invece l’antilingua riflette la paura di prendersi in carico un tema, la resistenza al cambiamento e all’evoluzione. Dico una cosa, ma in modo incomprensibile così non mi prendo impegni troppo precisi e troppo stringenti. Sono “compliant” ma non ingaggiato.
Ecco, questo tempo è finito. Oggi è il tempo della brevità, e dell’efficacia.
È il tempo che ci invita a non perdere di vista l’ascolto. Se la comunicazione funziona, se le informazioni circolano e sono trasparenti, allora è più facile affrontare una fase complessa come questa attuale. Non con i giri di parole, ma con la volontà reale di scambiare e dialogare, e di trovare soluzioni.
5. Il potere del numero (il numero non è un oracolo)Il numero è un terreno delicato. Per questa ragione mi farò aiutare da grandi punti di riferimento, Pitagora in primis. Matematico, astronomo, studioso dei suoni e della musica, filosofo e taumaturgo, Pitagora aveva intuito per primo l’efficacia della matematica per descrivere il mondo, ma la leggenda vuole che insegnasse dietro a una tenda. Questa conferiva un’alea di sacralità alla conoscenza per i suoi discepoli, che potevano solo udirne la voce e intuirne la figura: la verità matematica era al di là dell’umano, con uno status differente dalle altre forme di conoscenza. Ancora oggi sentiamo la frase “lo dicono i numeri”, come se la nostra cultura e formazione ci avesse abituati a mettere in discussione ogni cosa in modo critico eccetto il numero. Un filosofo greco, Eraclito, diceva che i dati sono come Dio: non nascondono e non dicono, ma indicano.
Da ultimo, il premio Nobel per la fisica Giorgio Parisi ci fa notare come tecnicamente a scuola si insegnino le divisioni e le moltiplicazioni, ma non quando e come applicarle per capire il contesto. Lo stesso vale per il concetto di probabilità: abbiamo visto nelle lunghe dispute sull’efficacia dei vaccini quanto poco le persone sapessero di percentuali. E questo impatta drammaticamente sulla nostra società, per esempio ne vediamo i risultati sulla bassa educazione finanziaria degli italiani, molto al di sotto della media europea.
Il numero non è un oracolo. E al tempo stesso, nella comunicazione con altri e nelle relazioni professionali, il numero non è un esercizio di complessità: più numeri metto più sono bravo. È chiaro, bisogna saper leggere e comprendere i numeri, ma compito di chi li comunica è selezionare, tra i tanti, quelli che riescono a dare il messaggio principale, quello più significativo per chi legge. Bisogna sempre pensare a chi legge, mettendo da parte la vanità personale il voler dire proprio tutto in ogni contesto e occasione.
Oggi si parla di data storytelling ma alla fine è sempre comunicare la cosa giusta al pubblico giusto e nel modo più corretto rispetto a un obiettivo, perché una decisione possa essere presa in modo consapevole. Se non si riesce a trovare un equilibrio tra la precisione tecnica e la volontà di essere capiti, la comunicazione non passa. E questo vale per tutti: per il medico, per l’avvocato, per il manager alle prese con una strategia che deve essere agita.
6. L'inaspettato: i fattori ambientali, sociali, umani
Per concludere, due riflessioni. La prima è un insegnamento che viene dalle crisi degli ultimi anni: la nostra incrollabile fiducia nella tecnologia e nel sapere specialistico si è infranta di fronte a quei cambiamenti così drammatici che hanno colpito il nostro lato umano. Pandemia, guerra, crisi economica e ambientale hanno cambiato il nostro modo di essere ma anche il nostro modo di intendere il lavoro. Un buon manager oggi non può fare a meno di considerare la comunicazione e il benessere delle persone come una priorità. Questa attenzione tiene insieme le persone, e aumenta il complessivo livello di fiducia dentro e fuori dall’azienda.
L’altro tema che ci affligge è oggi la lentezza, nelle decisioni, nella burocrazia, nel passaggio dall’esigenza all’execution, che dipende anche dalla scarsa attenzione alla comunicazione in modo da favorire la decisione e passare all’azione.
Questa credo sia il secondo insegnamento: che la complessità, si gestisce soltanto provando a comunicare davvero, impegnandoci affinché gli altri capiscano. E nessuno sia escluso.
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