Spazi senza confini. Fra urbano e filmico
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L’invasione di schermi non modifica solo l’aspetto dello spazio urbano. Forse si tratta di un fattore che scatena tutta una serie di modificazioni dell’assetto organizzativo spaziale, alterando proprio quelle relazioni che danno forma allo spazio. Ma cosa cambia? E quali sono gli elementi che si trovano invischiati nell’esplosione della multi-visione? Accade che il soggetto che si muove nello spazio urbano si adatti a vivere un’esperienza diversa della città: assiste alla sovrapposizione e intersezione di spazi visuali. E accade che questo tipo di esperienza molto spesso venga re-interpretata dal cinema contemporaneo, attraverso un processo che è stato definito di ri-spazializzazione. Allora non sembra assurdo pensare di avvicinare concettualmente lo spettatore urbano e lo spettatore cinematografico, entrambi alle prese con spazi in trasformazione dove tentano di ritrovare la propria collocazione. Si parte dal concetto di spazio sociale di Lefebvre, inteso come prodotto di relazioni tra “oggetti”, per arrivare a considerare il dispositivo come un produttore di spazio. Ecco che lo spazio urbano e lo spazio filmico si toccano nell’accezione di spazi mediali, in cui le dimensioni spazio-temporali perdono le proprie connotazioni a vantaggio di uno spazio in cui i confini tra i dispositivi si fanno sempre più labili e incorporei. Lo stesso processo di sgretolamento dei limiti si verifica in quel cinema contemporaneo che mette in scena tentativi di colonizzazione dello spazio filmico da parte di altri dispositivi. Un cinema che gioca con se stesso, consapevole del suo essere mezzo di rappresentazione di un mondo, interprete dei suoi cambiamenti. L’analisi di due film, Elephant di Gus Van Sant e Diary of the Dead di George Romero, prova a mettere in luce alcuni dei meccanismi della ri-spazializzazione, riflettendo sui processi di rappresentazione che oggi il cinema attua, guardando oltre i limiti della sala.
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