Consumare l'attesa. Forme del consumo mediale nella Stazione Centrale di Milano
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Milano, pomeriggio di inizio estate. L’aria è calda, umida; soprattutto qui, sotto le volte della Stazione Centrale. Giovani interrailers chiacchierano seduti per terra, una ragazza sui vent’anni passeggia nervosamente avanti e indietro lungo la galleria dei binari, una signora distinta si ferma in edicola per cercare una rivista, una mamma parla al cellulare con suo figlio, un giovane uomo estrae il portatile e ne approfitta per terminare un lavoro urgente. Poi c’è chi mangia, chi fissa il tabellone degli orari, chi sbuffa e si irrita e chi si rilassa facendo le parole crociate. Alcuni passeggiano distrattamente, altri – impauriti e disorientati – si muovono circospetti; altri ancora, con passo deciso, si fanno strada verso il proprio binario. Azioni differenti che sottendono, a propria volta, interpretazioni molteplici e variegate di un comune orizzonte temporale: quello dell’attesa. Da questo punto di vista la Stazione Centrale può infatti essere definita come “lo spazio urbano dell’attesa”, il luogo cittadino che, forse più di ogni altro, incarna e circoscrive questa forma temporale. È a partire da questa considerazione che muove il presente intervento, e dall’ipotesi che proprio nella temporalità dell’attesa si inscrivano e si incardinino molteplici attività di consumo, mediale e non. L’indagine della Stazione Centrale si presta quindi come un’occasione per mettere a tema la relazione – reciproca e irriducibile – che, all’interno di un dato contesto, lega da un lato l’assetto e l’organizzazione temporale, dall’altro la configurazione delle pratiche di consumo. Si tratta, cioè, di rifiutare innanzitutto la prospettiva che, semplicisticamente, vede l’attesa come tempo morto, vuoto, inutile, tentando di esplorarne più a fondo la ricchezza fenomenologica e lo statuto interstiziale. Dall’altra parte significa esplorare la biunivocità di un modello che vede l’esperienza di attesa come condizione e risultante delle pratiche di consumo che in essa si realizzano: un tempo arredato e qualificato dalle attività fruitive e, complementarmente, un elemento che interviene nel dettare condizioni di possibilità e configurazioni di quelle stesse pratiche. La nostra riflessione si innesta nel solco di questa reciprocità tra contesto, forme dell’attesa e attività di consumo, avvalendosi di un impianto metodologico che mira a valorizzare sinergie tra strumenti desk (l’analisi del testo spaziale) e field (l’impiego di osservazioni etnografiche, interviste individuali e di gruppo) con l’obiettivo di indagare nel dettaglio vissuto e significati attribuiti dagli utenti della Stazione alla condizione dell’attesa e di ricostruirne il profilo esperienziale. Rispetto alle premesse iniziali l’indagine sul campo ha portato alla luce un panorama ricco, eterogeneo e complesso di contesti spaziali, forme di attesa e repertori di consumo. A questo quadro si aggiungono però anche considerazioni circa ostacoli e vincoli al consumo: uno spazio, quello della Stazione Centrale, che se da un lato stimola e accoglie una molteplicità e una varietà di pratiche fruitive, per altri versi sembra ostacolarne e inibirne altrettante, frustrando le richieste degli utenti e qualificandosi, in questo senso, come spazio di non-consumo.
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