Editoria malata di Covid: ma alla politica interessa?
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Diario della crisi di un settore centrale per la cultura: i dati, le prospettive e i possibili scenari dell’autunno. Fra trasformazione digitale non più rinviabile e predominio di Amazon da arginare in un Paese non strutturato, occorre trovare nuove sperimentazioni. Biografia dell'autoreRoberto Cicala insegna Editoria libraria e multimediale all’Università Cattolica del Sacro Cuore, dove dirige il Laboratorio di editoria dal 2003. È editore di Interlinea, presidente del Centro novarese di studi letterari e collabora con «Avvenire » e «la Repubblica». Tra le sue pubblicazioni: Bibliografi a reboriana (2002, con Valerio Rossi), Inchiostri indelebili (2012). Ha curato per la Fondazione Corriere della Sera l’edizione di Improvvisi 1998-2015 di Sebastiano Vassalli e il catalogo storico di Vita e Pensiero (con Mirella Ferrari e Paola Sverzellati). Fa parte del comitato di direzione di «Nuova informazione bibliografica» del Mulino.
Bjiorn Larsson
ha scritto:
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inserito: 24.11.2020 19:34
L’articolo di Roberto Cicala mi sembra importante e urgente. Aggiungerei una riflessione, che potrebbe essere una nota positiva: cioè il Covid ha messo in discussione anche la necessità e l'utilità, o comunque la modalità di fruizione, di festival, incontri e interviste per vendere libri. È da tempo che mi sembra non soltanto che il digitale minacci i libri su carta, ma anche che gli autori diventino spesso più interessanti dei loro libri. Molti di coloro che seguono festival e incontri lo fanno per ragioni diverse da una vera passione per la letteratura, o no? Forse questo può cambiare o migliorare.
Alessandro B., Libraio
ha scritto:
Voto:
inserito: 24.11.2020 19:27
Un contributo amaro ma non disfattista. Di stimolo. Da libraio mi è venuta un'idea buffa che non vuole essere né una provocazione né una proposta, ma solo un ragionamento in astratto. Questa fase storica sembrava una grande opportunità per l'editoria italiana e ho avuto un'idea (folle). Cosa accadrebbe all'editoria italiana se per un anno non pubblicasse bestseller (categoria che è ormai un genere letterario)? Cosa accadrebbe se per tutto il 2021 tutte le case editrici sospendessero le uscite di quegli autori che dal 2015 al 2020 hanno venduto più di 25-30 mila copie a titolo? L'ho pensato stanotte perché sono stufo, da libraio, di sentirmi chiedere i nuovi libri di autori che hanno pubblicato il loro ultimo romanzo magari tre settimane fa ("Ma Ken Follet dopo il romanzo uscito a settembre non ha più scritto niente? Sa, io leggo solo quello..."). Nulla di personale nei confronti di alcun autore, però... se gli autori avessero un anno in più per scrivere e gli editori (e librai) potessero valorizzare altri libri, non sarebbe una grande occasione di lettura? Ho l'impressione che i lettori – almeno dal mio osservatorio – si siano un po' atrofizzando nei gusti e impigrendo nelle scelte. Sono diventati come me quando vado al supermercato e compro sempre la stessa marca di pasta. Forse l'editoria potrebbe rinforzarsi da una rivoluzione così?...
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