Mina Mezzadri e Andrée Ruth Shammah, due rivoluzionarie della scena degli anni Settanta
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Ciò che accomuna le prime due registe donne del teatro italiano è una sorta di provocazione come metodo, oltre che una continua vitalità che è anche autenticità, smania di libertà, ossessione per il nuovo, rifiuto della realtà in senso naturalistico, a vantaggio di una realtà nuova, proiettata verso il gioco o verso il sogno. Mina Mezzadri si accosta al teatro negli anni Cinquanta, nel momento in cui la professione di regista è decisamente maschile, tanto da non trovare alcuno spazio, neanche dopo, in nessun manuale o nell’ambito della ricerca erudita, tutta attenta alla riscoperta dei maestri della scena straniera, ma che, per la scena italiana, non andava oltre Visconti, Strehler, Squarzina, De Bosio, con qualche strascico dedicato a Trionfo, Scaparro, Castri, Missiroli, Cobelli, Cecchi, per coagulare, alla fine, gli studi su Ronconi. Tutti maschi, insomma; eppure qualcuno avrebbe potuto fare una piccola menzione della Mezzadri.
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