Sui canti XXXIII e XXXIV dell’«Inferno»
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Quando mi è stato detto che avrei dovuto presentare questi ultimi due canti dell’Inferno, mi è venuto subito in mente il binomio «poesia» e «struttura teologica» con cui Croce ha definito la Commedia nel suo volume La poesia di Dante, pubblicato nel 1921, in occasione del sesto centenario della morte del poeta. Alla base di tale definizione sta, naturalmente, quella concezione, direi, ‘angelistica’ della poesia come «intuizione pura, lirica e cosmica», nulla avente a che fare con la storia, con cui, nella fase discendente del suo pensiero, il grande filosofo pensò di salvarne l’autonomia, contro la sua positivistica subordinazione alla storia e agli interessi ideologici e politici vigenti. Biografia dell'autoreEnzo Noè Girardi è stato ordinario di Lingua e letteratura italiana, direttore dell’Istituto di Italianistica e, dal 1983 al 1992, preside dell’allora Facoltà di Magistero dell'Università Cattolica, Ateneo di cui è stato anche professore emerito. Per la sua operta è stato insignito della Medaglia d’oro ai Benemeriti della scuola e della cultura da parte del Ministero della Pubblica Istruzione. I suoi studi, testimoniati da una ricchissima bibliografia, si sono dispiegati sull’intero arco della Letteratura italiana dalle origini all’età contemporanea, con particolare dedizione a Dante, Michelangelo, Manzoni, nonché alla storia della critica italiana e alla teoria della letteratura. Nel 1980 ha fondato la rivista «Testo. Studi di teoria e storia della letteratura e della critica» di cui è stato direttore responsabile per tutta la vita. Informazioni aggiuntiveQuesto testo fa parte del volume Studi di letteratura italiana in onore di Claudio Scarpati. È possibile acquistare gli altri capitoli da questa pagina. |
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