Educare il popolo, formare la nazione. Gli intenti pedagogici della letteratura romantico-risorgimentale
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Si potrebbe discutere a lungo se alla letteratura in quanto tale sia connaturata una vocazione pedagogica, se quindi una funzione educativa sia necessariamente presente e riconoscibile in tutte le opere letterarie, ivi comprese quelle che turbano, che combattono credenze o costumi, o che sono senz’altro di scandalo, meritandosi, magari, condanne secolari ed ecclesiastiche per oltraggio al pubblico pudore, per apologia di reato o per eresia. La questione non si può dirimere con l’accetta, posto che perfino per gli autori più caustici, scettici e velenosi della storia letteraria si parla, non di rado, di ‘maestri del disincanto’ o ‘del sospetto’, quando non semplicemente, per paradosso, di ‘cattivi maestri’. Si può forse dubitare, per fare un caso emblematico, delle ottime intenzioni che stanno alla base della battaglia leopardiana contro gli «ameni inganni » e il «secol superbo e sciocco»? Non voleva egli formare delle persone più consapevoli e virili? È innegabile, tuttavia, che ogni epoca annovera teorie letterarie, generi specifici e grandi capolavori ad alto coefficiente pedagogico, la cui intenzionalità di volta in volta didascalica, sapienziale, gnomica, iniziatica, dimostrativa, parenetica, moraleggiante o paradigmatica è fuori discussione. Informazioni aggiuntiveQuesto testo fa parte del volume ...Il resto vi sarà dato in aggiunta. Studi in onore di Renata Lollo. È possibile acquistare gli altri capitoli da questa pagina.
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