Tancredi e il cinghiale. Sfida, omaggio, parodia
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È opinione diffusa, per quanto forse non unanime, che Giovan Battista Marino componga il suo Adone nel segno di un gareggiamento con il poema moderno la cui eccellenza era pressoché concordemente riconosciuta a partire dall’ultimo scorcio del Cinquecento, la Gerusalemme liberata. Se si accetta questo assunto, si dovrà anche riconoscere che l’epopea tassiana svolge di conseguenza una funzione fondamentale nella costruzione dei significati del nuovo poema, molti dei quali ad essa si richiameranno, vuoi per analogia, vuoi per spostamento od opposizione, attraverso processi imitativi o trasformativi: ferma restando, ed è perfino scontato ricordarla, la distanza tra un’opera latrice di un messaggio forte, sviluppato entro coordinate di pensiero e di valori che chiedono di essere riconosciute, e un lavoro come l’Adone, da cui non è impresa agevole estrarre un’intenzione unitaria, per l’apparente contraddittorietà dei contenuti e la vertiginosa abbondanza delle piste esegetiche. Informazioni aggiuntiveQuesto testo fa parte del volume Studi di letteratura italiana in onore di Claudio Scarpati. È possibile acquistare gli altri capitoli da questa pagina. |
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