Tramite questo breve intervento vorrei augurare – soprattutto ai giovani studiosi – di intraprendere un lungo e proficuo percorso nella ricerca storica, riuscendo a trarre da essa lo spunto per mantenere viva la memoria della propria famiglia (con parenti illustri o meno). Perché, a mio avviso, risalire alle proprie origini significa, il più delle volte, scoprire quella parte nascosta della storia che mai è stata scritta e pubblicata sui testi, bensì è celata negli anfratti più reconditi dell’anima di ognuno di noi.
La cosiddetta pietà personale in Egitto è ritenuta il riflesso di un rapporto personale tra una divinità e un singolo individuo, indipendentemente dalla sua condizione sociale. Gli scavi in insediamenti urbani, però, non hanno fornito prove per tale supposizione, dimostrando invece il ruolo rivestito da templi e santuari ufficiali. Basandosi su tale premessa, il seguente contributo esamina le immagini contenute sulle stele della pietà personale, analizzandone forma, contenuto e scopo, e ponendole in relazione con i rituali celebrati e con la pretesa di individualità, riflessa dalla documentazione.
Le formule magiche e le illustrazioni del Libro dei Morti sono una ricca fonte di studio sulla demonologia dell’antico Egitto. In questo contributo vengono raccolti i principali passaggi testuali e sono illustrate alcune tipologie iconografiche concernenti i demoni che popolavano l’aldilà dell’antico Egitto, come descritto nel Libro dei Morti. Le varie figure demoniche vengono identificate e classificate in base al nome, che spesso ne esemplifica la funzione e il ruolo aggressivo nei confronti del defunto.
In alcune figurazioni del repertorio iconografico delle tombe private dell’Antico Regno è rappresentato l’attraversamento del guado da parte delle mandrie, durante il quale i pastori, al fine di proteggere il bestiame da eventuali minacce, pronunciano uno scongiuro. Viene sottolineata la relazione che intercorre tra parola ed iconografia, entrambe componenti essenziali per l’esecuzione e la riuscita della pratica magica.
Nel 1939 Pierre Montet rinvenne all’interno delle mura di cinta del tempio di Amon a Tanis le tombe dei sovrani della XXI e XXII dinastia. L’abbandono della Valle dei Re e l’inserimento di sepolture reali entro il recinto sacro di un tempio costituisce un fatto per il quale l’egittologia non ha ancora fornito una spiegazione soddisfacente. Il presente articolo, basandosi sui testi della “Bella festa della Valle” e esaminando la portata del desiderio del defunto di partecipare al rituale delle offerte per l’Amon tebano, intende proporre una nuova soluzione per questo quesito.
Sono presentati i risultati del lavoro di identificazione e di ricostruzione del programma testuale di un ambiente all’interno della tomba saitica di Sheshonq (TT27). Il corpus dei testi, a carattere funerario, è di notevole importanza, in quanto è costituito – oltre che da formule già note – anche da importanti composizioni altrimenti scarsamente attestate. Inoltre, vengono fatte alcune considerazioni sulle analogie tra questo corpus e il programma testuale presente in alcune camere funerarie di epoca saitica.
Questo studio è volto a delineare il ruolo di primo piano ricoperto dai templi solari della V dinastia nell’ambito della formulazione dell’ideologia regale dell’Antico Regno. Tramite una completa disamina delle principali problematiche archeologiche, religiose e cultuali ad essi connesse si cerca di fornire una nuova chiave di lettura del loro significato e una diversa interpretazione della loro anomala e rapida parabola architettonica.
A partire dal Nuovo Regno si diffondono in tutto l’Egitto varie forme di accesso individuale al divino; le testimonianze presenti in vari complessi templari (soprattutto in quei settori maggiormente aperti verso l’esterno), e diffusi sino al tramonto della cultura faraonica, testimoniano un aspetto specifico della pietà personale che si riflette in parte anche all’interno delle gerarchie sacerdotali.
Nel dicembre 2005 la missione archeologica dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” in Sudan (Gebel Barkal), diretta dal prof. A. Roccati, ha svolto nuove indagini ad ovest del Palazzo di Natakamani e più precisamente nel settore denominato B 2200. Lo scavo ha riportato alla luce una struttura all’interno della quale sono state ritrovate due vasche di diverse dimensioni. I dati archeologici raccolti porterebbero a ritenere che tale edificio abbia a che fare con le celebrazioni o con i rituali di purificazione o di abluzione che si svolgevano all’epoca del re meroitico Natakamani.
I luoghi di culto sorti nelle aree di sfruttamento minerario sono profondamente collegati all’ambiente e modellati da esso. Rispetto al tempio classico egiziano, questi templi presentano caratteristiche differenti, dettate dalla particolare visione associata al deserto, alle sostanze minerali e alle divinità ad esso collegate, visione che ha fornito il sostrato concettuale e religioso per l’individuazione di zone sacre e la conseguente costruzione di santuari.
Le stele del re nubiano Taharqo provenienti dal tempio di Kawa mostrano vari aspetti della particolare relazione faraone-dio. Questo articolo analizza il concetto di “divino amore” di Kawa e la relazione con il concetto di byAt “meraviglia” di Kawa V, e viene proposta un’identificazione delle 4 meraviglie. Inoltre, l’alleanza tra Alara e Amun in Kawa IV e VI, qui presentate, mostra la presenza del concetto del faraone come sacerdote solare e la gerarchia della conoscenza che tale concetto crea nei testi stessi.
Alcune statue di faraoni sono rappresentazioni di altre statue piuttosto che semplici e dirette immagini del sovrano: Ramesse II (Abu Simbel), Amenofi III (Luxor), Thutmose III e Amenofi III (Museo del Cairo), Amenofi I (Museo di Torino). Si tratta di copie che moltiplicano la vitalità di un originale.
Lo studio dei canoni artistici dell’arte regale della III dinastia è parte di una ricerca tesa al chiarimento della sequenza cronologica dei sovrani. L’analisi dei santuari raffigurati (Heliopolis, Letopolis, Hierakonpolis, “pr-wr” e Behedet, tutti dedicati ad una forma di Horus) sottolinea il culto delle divinità protettrici del sovrano. Il santuario dell’Horus di Hierakonpolis (rilievo di Sanakht nel Sinai) ha la doppia valenza di proteggere la spedizione regale e di legittimare il potere del re.
Fin dall’Antico Regno, i templi egiziani possedevano, in corrispondenza dei loro ingressi, figure di leoni che svolgevano un ruolo evidentemente protettivo e apotropaico. Nella letteratura funeraria del Nuovo Regno, la stessa funzione viene svolta dl dio Aker che, raffigurato sotto forma di doppio leone o doppia sfinge, custodisce l’ingresso dell’Aldilà e protegge il dio Sole nel suo viaggio notturno da ovest a est.
Una statuetta, conservata nel Museo del Vicino Oriente all’Università di Roma “La Sapienza”, presenta un’insolita iconografia della dea ippopotamo che tiene sulle ginocchia una figura regale; essa è probabilmente databile al periodo del Nuovo Regno successivo ad Amarna e si avvicina a moduli iconografici utilizzati al tempo di Sethi I. La statuetta offre l’opportunità per riflettere sulla divinità stessa come figura materna, particolarmente in rapporto con il sovrano; destinata probabilmente all’ambito del culto privato, essa esprime la devozione nei confronti della divinità e del sovrano stesso, richiamando il ruolo della dea rispetto all’elemento acquatico e all’inondazione.
Dopo la resa di Gaza, la strada che conduce all’Egitto è libera: pochi giorni di marcia e Alessandro il Grande arriva a Pelusio; la città viene posta sotto il controllo di una guarnigione e quindi, passando per Eliopoli, Alessandro raggiunge Menfi senza colpo ferire. Il Macedone viene accolto con entusiasmo come liberatore dell’Egitto dal giogo persiano. Arrivato a Menfi, dove reca offerte al dio Api e alle altre divinità locali, viene incoronato faraone con tutte le cerimonie previste dall’antico rituale.
Esame di alcuni aspetti del complesso e multiforme sistema di rapporti fra Stato e Templi nell’Egitto ellenistico. La relazione è stata divisa in due parti: nella prima vengono presi in considerazione il culto dinastico e la tassazione, con presentazione di documenti papiracei riguardanti il culto Arsinoe Filadelfo. Nella seconda parte si continua a mettere in risalto come i sovrani tolemaici intervennero in materia religiosa nel controllo dei culti e dei templi con caratteristiche originali sviluppate secondo un sincretismo sempre più stretto fra tradizioni greche ed egizie. In particolare vengono discussi un pròstagma di Tolemeo IV riguardante il culto di Dioniso ed un papiro proveniente dall’archivio di Tolemeo figlio di Glaucia.
Partendo da un noto brano in tema di ius sepulchri del giurista tardorepubblicano Alfeno Varo, conservato nel Digesto di Giustiniano, sono analizzate in questo breve saggio le clausole funerarie che caratterizzano i testamenti romani, conservati nelle fonti papirologiche di provenienza egiziana. La ricerca esclude volutamente le diathekai greco-egizie ed è circoscritta alle sole testimonianze di età romana, salvo alcune limitate eccezioni.
La diffusione del cristianesimo nella pseudo-oasi del Fayyum fu rapida e precoce. Come per il resto dell’Egitto, tuttavia, la nuova religione si manifestò fin da subito in modo multiforme, generando correnti e movimenti che, con il tempo, in alcuni casi sarebbero stati considerati eterodossi. Anche il fenomeno monastico apparve essere piuttosto variegato, vedendo convivere forme di vita anacoretica con scelte di tipo cenobitico.
frammenti analizzati rappresentano una testimonianza della diffusione ad Atene nel V e IV sec. a.C. di divinità egizie che ebbero un successo incontrastato; mi riferisco ad Iside (Oph. 6 K.-A.), Osiride (Antiph. 67 K.-A.), Horus (Teoph. 8 K.-A.), Amon (Stratt. 66 K.-A.). Inoltre offrono riferimenti interessanti a divinità meno note, quali Sokaris e Paamyle (Cratin. Iun. 2 K.-A.) e al culto egizio degli animali, quali la mangusta (Eub. 106 K.-A.) o la fenice (Eub. 113 K.-A.; Antiph. 173 K.-A.), ed evidenziano da un lato una sorta di parodia rivolta a culti e credenze egizie, dall’altro l’interesse dei commediografi e del pubblico per gli eventi di politica estera che a più riprese videro coinvolto anche l’Egitto (Antiph. 145 K.-A.; Timocl. 1 K.-A.; Anaxandr. 40 K.-A.).
Viene esaminata la diffusione dei culti egizi all’interno del territorio posto direttamente a nord di Roma, comprendente l’Etruria meridionale e la valle media del Tevere. La ricerca è focalizzata sul riesame dei documenti già noti, con particolare attenzione all’analisi ed all’individuazione dei loro contesti di provenienza. Vengono presentate, altresì, nuove testimonianze che, nell’insieme, permettono di arricchire il quadro delle conoscenze e di arrivare a formulare ipotesi circa le modalità e lo svolgimento cronologico della diffusione dei culti egizi in quest’area.
Il Delta del Nilo, un’area originariamente in gran parte acquitrinosa, è stato oggetto di un’incessante opera di bonifica da parte dell’uomo negli ultimi 5000 anni. Questo processo ha portato a notevoli modificazioni nella geografia fisica ed umana del Basso Egitto, rendendo difficili oggi i tentativi di ricostruzione storica di aree come l’attuale Beheira. In questo quadro si viene a collocare il sito di Kôm el-Ghoraf, insediamento di notevoli dimensioni ma apparentemente isolato dalla vita del paese.
Sono esposti i risultati degli scavi condotti a Bakchias dalla Misione Congiunta delle Università di Bologna e di Lecce (1993-2004) e dalla sola Università di Bologna dopo tali date. In particolare si dà notizia del ritrovamento nelle due campagne del 2005 di uno dei granai del villaggio e di una “nuova” area sacra comprendente due templi prima ignoti che permettono di risolvere il problema della effettiva collocazione del tempio del dio coccodrillo Soknobraisis nella planimetria del sito.
L’articolo costituisce una prima introduzione, sulla base di un survey fotografico del novembre 2005, allo studio del cosiddetto monumento di Abgig, fatto erigere da Senusret I nel Fayyum e in cui il sovrano si associa ad alcune tra le divinità principali dell’epoca.
Il 13 giugno a Roma si parla di "Sud. Il capitale che serve" di Borgomeo con Quagliarello, Francesco Profumo, Graziano Delrio, Nicola Rossi e Raffaele Fitto.