Lo sviluppo del web 2.0 ha portato con sé grandi entusiasmi, che hanno consentito di superare il mood negativo calato pesantemente su internet dopo l’esplosione della bolla speculativa e l’attentato dell’11 settembre. Produttività dell’utente, nuova espressività dal basso, forme (apparentemente) inedite di socialità hanno posto gli studiosi davanti a un nuovo territorio di confine, cui applicare metodi tradizionali e sperimentali. Da qualche tempo, tuttavia, si levano alcune voci critiche sui fondamenti stessi del web 2.0, sulle sue pratiche, sulla compromissione ambigua con nuove forme di distribuzione del potere, queste ultime contraddittorie rispetto alle potenzialità democratiche che pure alcuni eventi storici (soprattutto le rivoluzioni arabe) sembrano testimoniare. Narcisismo di massa, società disciplinare, estrema radicalizzazione della società dello spettacolo sono solo alcune delle definizioni critiche più comuni. D’altra parte, vi è un’attenzione nuova ai contributi che varie tradizioni di pensiero (da Simmel a Goffman, da Foucault a Baudrillard, da Luhmann a Habermas) possono offrire per uno sguardo complessivo alle grandi questioni aperte dalla «rivoluzione digitale».
Questo numero monografico di «Comunicazioni sociali» intende configurarsi come una «critica della critica», affrontando i principali contributi sui presunti lati oscuri della rete, saggiandone la consistenza, vagliandone gli argomenti, evidenziandone la prospettiva metodologica e le eventuali risultanze empiriche. La selezione degli articoli qui proposti è stata guidata dall’obiettivo di contribuire all’elaborazione di una teoria complessiva del web 2.0, saldamente radicata nella tradizione riflessiva delle scienze sociali e umanistiche.
RIASSUNTO
Ho provato a esplorare l’applicabilità di tre concetti foucaultiani (rapporto tra potere e controllo sociale, dire
di sé, rapporto tra diritto di parola e verità nei contesti democratici) al dibattito sul web 2.0. Mi pare di aver
dimostrato che – più che le risposte – le domande di Foucault abbiano una forte applicabilità, soprattutto se il
metodo di analisi dello studioso francese viene assunto nelle sue radici o nella sua forma specifica, che consiste
nell’interrogare i fenomeni in relazione agli statuti e ai dispositivi sociali complessivi anziché ai luoghi,
alle tecniche, o alle manifestazioni specifiche.
Se ho ragione, accogliere metodo e domande foucaultiane significa ridefinire alcune questioni: il dibattito
fra libertà e potere sul web può trasformarsi in indagine sulle forme specifiche dell’inevitabile potere nella
società delle reti. L’approccio all’esplosione autobiografica si traduce in una domanda sulle modalità e le condizioni
del dire di sé a partire dalla pressione sociale a esercitarlo. La polemica sulla democraticità della rete
si può rimodulare in una interrogazione sulle condizioni della verità e sulla forma del sapere che vi circola.
Tre riformulazioni, la cui chiave giace nelle pagine lasciate da Foucault, ben prima della nascita del
web. Ma ben dentro, si intende, il divenire della società tardo moderna.
SUMMARY
I tried to apply three of Foucault’s concepts (relation between power and social control, talking about oneself, relation between the right of speech and truth in democratic contexts) to the debate on web 2.0. I believe I have proved that – not just his answers – but above all Foucault’s questions have a strong applicability, especially if the analysis method of the French scholar is taken to its roots and its specific forms, i.e. the interpretation of phenomena in relationship to statutes and social apparatuses at large, instead of specific places, techniques, or events.
If I am correct, welcoming Foucault’s method and questions means re-defining certain issues: the debate between freedom and power over the web may be transformed into a survey on the specific and inevitable forms of web power over society. The approach to an autobiographical outburst becomes translated into a question regarding the ways and conditions of talking about oneself in order that social pressure may wield it. The controversy over web democracy can be re-modulated as an interrogation on the conditions of truth and the forms of knowledge which flow through it.
Three rephrasings then. Their key lies in the pages left by Foucault, long before the web was born. But of course well inside the rise of post modern society.
RIASSUNTO
Risiede nello stesso nome di social network sites o SNS (acronimo ormai condiviso a livello mondiale) la radice di uno snodo cruciale del dibattito su queste piattaforme digitali.
Il riferimento alla rete sociale, ovvero al tessuto di relazioni entro cui si svolge o su cui si basa parte della vita quotidiana delle persone, infatti, mette in gioco una delle dinamiche più importanti della socialità: il difficile equilibrio tra nascondimento e disvelamento delle informazioni relative alla propria vita personale e all’appropriatezza delle scelte e delle conseguenti decisioni e azioni che questo comporta.
Il problema della privacy costituisce, infatti, da diversi anni un tema discusso in differenti ambiti disciplinari: da quello del diritto, a quello della psicologia sociale, a quello più propriamente sociologico e al contempo ha dato origine a molte ricerche empiriche sugli utenti dei social media, le loro attitudini e i loro comportamenti relativi alla privacy.
Come per molti ambiti del dibattito scientifico su internet e le sue declinazioni applicative e comunicative anche il tema della privacy è stato affrontato enfatizzando via via alcuni aspetti dei SNS e delle attività che gli utenti vi svolgono.
Così la stessa definizione di privacy online si è via via arricchita ed è stata riformulata in modo da tenere in conto le specificità del contesto digitale. Allo stesso modo anche l’interpretazione dei comportamenti degli utenti rispetto alla tutela dei propri dati personali spesso definiti «paradossali» sono stati via via motivati tenendo conto della complessità delle attuali pratiche «social» svolte online. Questa evoluzione è stata accompagnata anche dalla ri-definizione dello spazio sociale di network (con riferimento soprattutto a Facebook) e del suo statuto.
Obiettivo di questo saggio è quello di provare a sciogliere il nodo di questo dibattito e di contribuire allo sviluppo attuale della discussione. Un contributo che si propone di osservare il problema dal punto di vista della cultura e della percezione degli utenti e non tanto da quello delle tecniche, programmi e policies (che ne costituisce uno sguardo necessariamente complementare).
SUMMARY
The crux in the debate over the digital platform lies in the actual name of social network sites or SNS (an acronym shared and agreed upon worldwide).
The reference to social network, that is to say weaving of relationships inside which the daily life of people partially takes place, brings into play one of the most important dynamics of sociality, i.e. the difficult balance between concealing and showing information about one’s personal life, the pertinence of choices and the consequent decisions and actions which this entails.
For many years the problem of privacy has been a theme discussed in many disciplinary compartments: from the legal environment to social psychology, to the strictly sociological field and at the same time it has given rise to much empirical research on social media users and their attitude and behavior towards privacy. As in many other scientific debates on the internet and its applicative and communicative variations, the theme of privacy has been handled, by underlying some aspects of SNS and the activities users have on it.
In this way the definition of online privacy has been enriched and reformulated so as to take into account certain peculiarities of the digital context. At the same time, even the interpretation of users’ behavior with respect to the protection of personal data, often defined as «paradoxical» has been motivated, bearing in mind the complexity of current online «social» practices. This evolution has also been accompanied by the re-definition of network social space (with a special reference to Facebook) and its statute.
This essay aims to untangle the debate and help develop current discussion. It is a contribution which proposes to analyze the problem from the point of view of culture and users’ perception, and not from the technology, software and policies point of view (which is a necessary and complementary view).
RIASSUNTO
Creatività, connessione e partecipazione. Sono queste alcune delle coordinate lungo le quali si sono dispiegate molte delle pratiche e delle interpretazioni che hanno accompagnato la diffusione del web 2.0. Come un fiume carsico che alterna emersioni e percorsi sotterranei, riaffiora a più riprese il tema dell’emancipazione, la promessa di un’evoluzione in senso democratico della cultura e della società che faccia leva sulle inedite potenzialità espressive che le tecnologie mediali digitali mettono a disposizione di chiunque abbia la volontà e l’interesse di utilizzarle. L’articolo propone l’utilizzo del concetto di visibilità per interpretare tanto le dinamiche di connessione, partecipazione e creatività tipiche del web 2.0 quanto le loro promesse di emancipazione. Esso consente infatti di circoscrivere alcuni aspetti della politicità intrinseca degli ambienti comunicativi contemporanei, intesa sia come dipendenza da strutture di potere che come spazio di libertà e rigenerazione democratica. A partire da una serie di frame teorici che spaziano da Hannah Arendt a Foucault e prendono in considerazione alcuni dei contributi più recenti sull’attivismo online, l’articolo tenta di dipanare l’intreccio di vincoli e potenzialità che è intrinseco alle forme di visibilità rese possibili dai social media mostrando come, nel dire di sé potenziato dalle nuove industrie culturali, sia implicato tanto un rischio di razionalizzazione quanto la possibilità di una loro rigenerazione grazie all’accrescimento dell’intersoggettività e del dialogo narrativo.
SUMMARY
Creativity, connection and participation. These are some of the coordinates along which many practices and interpretations that accompany the development and diffusion of web 2.0 move. The same way a karst river alternately emerges and sinks, the theme of emancipation returns over and over again, together with the promise of democratic evolution of a culture and society which would lever on the new potentials of expression that media digital technology makes available to whomsoever has the wish and interest to use them. This article proposes the use of the concept of visibility to interpret the connection, participation and creativity dynamics of 2.0 web and their promises of emancipation. It allows the circumscription of the intrinsic political dimension of contemporary communication environments, intended both as a dependency on power structures and as a space for truth and democratic re-growth. Beginning with a series of theoretical frames from Hannah Arendt and Foucault to some contributions of today’s online activism, the article tries to loosen the tangle of links and potentialities related to visibility which is made possible by social media. It also shows how, in self-narration powered by new cultural industries, are implied both the risk of rationalization and the possibility of regeneration thanks to the increase of inter-subjectivity and narrative dialogue.
RIASSUNTO Le tecnologie sociali stanno modificando la regola del «privato-dato-per-scontato» e «pubblico-come-effetto-di-un-lavoro-intenzionale» che normalmente le persone applicano nel mondo reale. La partecipazione ai social media digitali spesso si basa sulla regola «pubblico-dato-per-scontato» e «privato-come-effetto-di-un-lavoro-intenzionale». L’essere osservati è semplicemente parte integrante del partecipare. Piuttosto che chiamarsi fuori o «staccare la spina», molti partecipanti stanno sviluppando tecniche per gestire quelle stesse dinamiche che le persone celebri hanno dovuto affrontare da molto tempo: una vita costantemente sorvegliata. Quello che conferisce loro potere non è la tecnologia e neppure la normativa, ma la capacità di agency. Le persone non sono semplici individui o parte di un gruppo; sono membri attivi di reti sociali, connessi dalle informazioni, da tempi e da spazi e devono gestire la loro vita come una serie di relazioni. Quando le persone comprendono la loro posizione in questa costellazione, allora possono conquistare l’essenza stessa della privacy. Inoltre, solo quando hanno una capacità di agency le persone possono rispondere razionalmente e responsabilmente alla sorveglianza.
SUMMARY Social technologies have been modifying the rules of «given-for-granted-private-sphere» and «public-sphere-as-a-result-of-intentional-activities» which people normally apply to real life. Participation in digital social media is often based on the rules «given-for granted-public-sphere» and «private-sphere-as-a-result-of-intentional-activities» being observed is simply an integral part of participating. Rather than calling oneself out or «unplugging», many participants are developing techniques to manage those same dynamics which famous people have been coping with for ages: a life which is constantly watched over. What gives them power is not technology or regulations, but the capability of acting as an agency. People are not simply individuals or parts of a group: they are active members of social networks, connected by information, time and space and they have to handle their life as a series of relationships. When people understand their place in this constellation, than they can win the essence of privacy itself. Moreover, only when they act as an agency, can people respond rationally and responsibly to surveillance.
RIASSUNTO L’articolo usa l’espressione «critica della critica» con un’accezione particolare: come possiamo definire i modi di discernere (krinein) le reali poste in gioco delle attuali evoluzioni mediali? Si tratta di riconoscere alla critica il suo interesse verso l’emancipazione senza ridurla alla denuncia. Da questa prospettiva, le cosiddette «tecnologie sociali» sono considerate non come una rottura ma come l’esito di un lavoro realizzato dall’ingegneria dei media informatici, rispetto alle condizioni di espressione e di rappresentazione (dispositivi semio-tecnici), alle dinamiche di pratiche (usi sociali) e agli effetti di socialità (operatività simbolica). Il saggio tratteggia questa vasta questione attraverso una ricognizione di ricerche condotte in Francia e nelle regioni francofone e tenta di comprendere i motivi per cui la critica alla comunicazione mediata dall’informatica sia diventata via via sempre più difficile. Infine, vengono messe in luce alcune evoluzioni recenti che mostrano quanto sia delicata e necessaria un’operazione di discernimento su tali questioni.
SUMMARY The article uses the expression «critics» criticism» with a particular acceptation: how can we discern (krinein) the real stakes of current media evolution? We are talking about acknowledging critics» interest in emancipation without reducing this to exposure. From this perspective, the so called «social technologies» are considered not as a break but as the result of information engineering work, with respect to the condition of expression and representation (semio-technical devices), dynamics of practice (social customs) and effects over social relations (symbolic workability). This essay traces the issue through an examination of researches conducted in France and in French speaking regions and endeavors to understand the reasons why criticisms of communication mediated by information science have become more and more difficult. Finally, some recent evolutions are highlighted, in order to prove how delicate and necessary is a discerning operation in these matters.
RIASSUNTO La diffusione dei «nuovi» media online ha suscitato un ottimismo generalizzato riguardo le loro potenzialità sociali e partecipative, spingendo a preconizzare un’evoluzione del paradigma comunicativo dal modello mass-mediatico a quello many-to-many. Ma, come già accaduto in passato, la riscoperta della partecipazione pone una serie di problemi teoretici, concettuali ed empirici. La partecipazione è diventata – se non del tutto, almeno in parte – un oggetto da celebrare, intrappolata in un discorso riduzionista di trasformazione, distaccata dal processo di ricezione dei suoi pubblici e decontestualizzata rispetto alle cornici politico-ideologiche che la inquadrano e alle condizioni comunicative che la contraddistinguono sul piano culturale e strutturale. Queste prospettive ottimistiche impediscono di comprendere quanto alcuni dei concetti fondamentali del paradigma mass-mediatico siano tuttora validi e continuino a costituire il quadro discorsivo entro cui si svolge la fruizione dei media tradizionali e digitali. L’articolo ha l’obiettivo di mostrare tale persistenza mediante un’analisi della ricezione di due prodotti mediali partecipativi diffusi in Belgio. Uno di questi riguarda la «nuova» frontiera del video-sharing e analizza una piattaforma simile a YouTube chiamata 16plus; il secondo caso di studio prende in considerazione un programma del 2002, Barometer, e ruota attorno al «vecchio» concetto di fruizione televisiva. Attraverso un’analisi di questi processi di ricezione multi-stratificati, l’articolo mostra come le pratiche partecipative non siano apprezzate in maniera incondizionata dai pubblici, ma siano invece soggette a specifiche condizioni di possibilità profondamente radicate nel paradigma mass-mediatico. Sebbene con intensità diverse, questi casi di studio mostrano come i giudizi che le audience esprimono sulle pratiche partecipative siano ancora influenzati da due «vecchi» concetti: la qualità professionale e la rilevanza sociale.
SUMMARY The popularization of «new» internet-based media has generated much optimism about the social and participatory-democratic potentialities of these media, leading to predictions about the demise of the mass communication paradigm, and its replacement by a many-to-many communicative paradigm. But as happened before, the reappraisal of participation also produced a number of theoretical, conceptual and empirical problems. Participation became (at least partially) an object of celebration, trapped in a reductionist discourse of novelty, detached from the reception of its audiences and decontextualized from its political-ideological, communicativecultural and communicative-structural contexts. These celebratory perspectives on participation cover how some of the basic concepts of the mass communication paradigm are still very much alive, providing the discursive frameworks for the reception of old and new media products. This article aims to show the persistence of (a number of components of) the mass communication paradigm through an analysis of the reception of two north Belgian participatory media products. One of these case studies is based on the ‘new’ world of a YouTube-like online platform called 16plus; the second case study is based on the «old» concept of access television in a 2002 TV programme called Barometer. Through an analysis of these multilayered audience receptions, this article shows that participatory practices are not unconditionally appreciated by audience members, but are subject to specific conditions of possibility that are still embedded within the mass communication paradigm. Albeit in different degrees, these case studies show the importance of two «old» key concepts – professional quality and social relevance – for these audiences’ evaluation of participatory practices.
RIASSUNTO L’obiettivo di questo articolo è quello di fornire una teorizzazione sociale e una descrizione empirica aggiornata dei modi in cui i diversi gruppi sociali percepiscono le forme mediate della sorveglianza nell’era delle tecnologie convergenti (e sociali). Riferendosi ai processi di monitoraggio tra pari che convergono nella sovrastante struttura di sorveglianza automatizzata, questo articolo sostiene che i social media alimentano un regime di interveillance in continua espansione e soggetto a sfruttamento commerciale. L’analisi adotta la prospettiva di Giddens sulla relazione socio-psicologica tra il sé e la società, e discute in particolare il ruolo di pervasivo monitoraggio che i sistemi astratti esercitano nei processi identitari. A partire dai risultati di una ricerca quantitativa realizzata in Svezia, si mostra come le percezioni che le persone hanno della sorveglianza possano essere ricondotte a tre macro-ambiti che coincidono con la sorveglianza di stato, la sorveglianza commerciale e l’interveillance; ciascuna categoria corrisponde a un determinato profilo socio-demografico identificabile in termini di età e di educazione. L’analisi delle preoccupazioni relative alla privacy nell’ambito della interveillance dimostra che la cultura dei social media tende a dissociare i gruppi sociali non solo in base a categorie socio-demografiche, ma anche in relazione agli orientamenti ideologici e agli stili di vita. In particolare, i gruppi (a prevalenza femminile) con un’istruzione (spesso elevata) nelle discipline sociali, pedagogiche o umanistiche, e con un orientamento politico a sinistra, costituiscono il nucleo più significativo di critica sociale.
SUMMARY The aim of this article is to provide a social theorization and an updated empirical account of how different social groups perceive mediated forms of surveillance in times of converging (social) media technologies. The article holds that the realm of social media nurtures an expanding, commercially exploited regime of interveillance, referring to the socially driven processes of peer-to-peer monitoring that feed into the overarching structure of automatized surveillance. The analysis adapts a Giddensian perspective on the social-psychological relationship between self and society, particularly discussing the pervasive monitoring role of abstract systems in identity processes. Analyzing the results from a nation-wide Swedish survey, it is shown that people’s perceptions of surveillance at large fall into the three broad realms of state surveillance, commercial surveillance and interveillance – each realm of perception corresponding to a certain demographic profile in terms of for example age and educational level. The analysis of privacy concerns related to the interveillance dimension demonstrates that the culture of social media tends to disassociate social groups not only according to broader demographic categories, but also through ideological and lifestyle orientations. Notably, those groups (dominated by women) with (often higher) education in social work, pedagogics or the humanities, and holding left-wing political values, constitute a significant site of social critique.
RIASSUNTO Dopo essere stato il principale artefice del web alla fine degli Ottanta, Tim Berners Lee ha cercato, dopo qualche anno, di istituire nello scenario accademico una «scienza del web» pluridisciplinare. Questa impresa è fortemente caratterizzata dalla priorità accordata a un’analisi formale del web e alla costituzione di un «web semantico» che tende a marginalizzare le scienze sociali tradizionali. Da un lato, la «scienza del web» incorpora i risultati di quelle ricerche che hanno privilegiato l’analisi statistica e la modellizzazione dell’evoluzione delle reti. Dall’altro, la sua ontologia si colloca sulla scia di quei linguaggi di rappresentazione delle conoscenze che derivano dalle scienze cognitive. Una delle principali prospettive che emergono coincide allora con la messa a punto di una comunicazione scientifica globale (una «e-scienza»), indipendente dalle altre discipline e fondata sull’interoperabilità e la calcolabilità. Ciononostante, la «scienza del web» si rifiuta di opporre le ontologie alle folksonomy generate dal «web sociale» su cui si fonda il web 2.0 ma ne sostiene invece la complementarità. Le preoccupazioni socio-politiche, poco presenti nella riflessione iniziale sul «web semantico», sono dunque reintrodotte in un secondo tempo: non solamente attraverso la mediazione della relazione tra le ontologie e le folksonomy, ma anche attraverso la proposta di sviluppare in maniera sistematica un «web di dati», la preoccupazione verso le minacce che pesano sulla sua neutralità e, più in generale, attraverso lo sviluppo di considerazioni etiche. Sono queste le ambiguità che l’articolo intende mettere in luce, esplicitando le principali implicazioni della «scienza del web» in relazione sia allo sviluppo delle scienze dell’informazione e della comunicazione che al rinnovamento epistemologico delle scienze sociali.
SUMMARY After having been the main creator of the web at the end of the eighties, after a while Tim Berners Lee tried, to institute a multidisciplinary «web science» on the academic scene. This undertaking is strongly characterized by the priority granted to formal analysis of the web and the constitution of a «semantic web» which strives to marginalize traditional social science. On the one hand «web science» takes in the results of those researches which privileged statistical analysis and the modelling of web evolution. On the other hand, its ontology follows the representation of knowledge deriving from cognitive sciences. One of the main perspectives to surface is the development of a global scientific communication (an e-science) independent of other disciplines and founded on interoperability and computability. Nevertheless, «web science» refuses to counter ontology against the folksonomy generated by the «social web» but sustains its being complementary. Socio-political preoccupations, not particularly present in the initial considerations over «semantic web», are brought back later: not only through the mediation of relationships between ontology and folksonomy, but also through the idea of developing a «data web», the worry of threats against its neutrality and, more in general, through the development of ethical considerations. These are the ambiguities this essay aims to highlight, explaining the main «web science» implications in relation to the development of information and communication sciences and to the epistemological renewal of social science.
RIASSUNTO Oltre quindici anni fa, Ien Ang – criticando le posizioni teoriche che sottolineavano «uncertainty, ambiguity, the chaos that emanates from institutionalization of infinite semiosis» – chiedeva: «how are power relations organized in a global village where everybody is free and yet bounded?». Le successive affermazioni del web e del web 2.0, hanno spostato i termini della questione, ma la possibilità di imbrigliare e aggiogare (to harness) l’intelligenza collettiva presuppone sicuramente un’immensa accumulazione di operazioni individuali e socializzate di creazione di significato, che si traducono in creazione di valore per il profitto di pochi. Il paper avanza una ipotesi centrata sui nessi fra produzione di senso e produzione del valore in una dinamica comunicativa dove la produzione culturale industriale ha introdotto elementi concepiti e prodotti per essere merci, per vendere merci, per aggregare/segmentare «merce audience» (Smythe, 1977). Pertanto, le «relazioni di potere» si rinsaldano, sotto forma di double bind, proprio nel «consumo produttivo» che – mentre partecipa dell’attività di «costruzione sociale del mondo» che ci impegna quotidianamente e intersoggettivamente ed è parte costitutiva del nostro essere umani – sostanzia e valorizza la produzione culturale industriale, perché ne coproduce senso e valore.
SUMMARY Over fifteen years ago Ien Ang – criticizing theoretical positions that emphasize «uncertainty, ambiguity, the chaos that emanates from institutionalization of infinite semiosis» – asked: «how are power relations organized in a global village where everybody is free and yet bounded?». The web and web 2.0 have shifted the terms of the matter, but the possibility to «harness» the collective intelligence, presupposes an immense accumulation of individual transactions and of socialized meaning’s creation, which are translated into value creation for the profits of few individuals and/or small social/economic groups. The paper puts forward an hypothesis focused on the links between the production of meaning and the production of value in a communicative dynamic where cultural production industries have introduced elements conceived/produced as «commodity», for sell «commodities» and to aggregate/segment «audience commodity» (Smythe, 1977). Therefore, the «power relations» set and confirm themselves, in the form of double bind, right in the «productive consumption’. In fact, the «productive consumption» substantiates and enhances the industrial cultural production, because it co-produces meaning and value of cultural commodity, but it’s also an essential feature of our to be human, because it’s a part of the activity of «social construction of the world» in which we are daily and intersubjectively committed.
RIASSUNTO L’articolo analizza un problema sotterraneo nella vasta produzione recente sui lati oscuri di Internet: i meccanismi di concentrazione attivi sulla rete, nel livello profondo che regola le connessioni, già messi a nudo dalla scoperta della natura power law del web. Le ricerche successive, poi, hanno svelato meccanismi di concentrazione simili anche al livello più manifesto degli usi: i link che regolano la blogosfera, le responsabilità decisionali su Wikipedia. Una tendenza apparentemente contraria alla legge distribuita del web, resa con crudezza da una recente ricerca del 2011, condotta da Wu, Mason et al., che ha mostrato come, su Twitter (e su un campione di 260 milioni di scambi), lo 0,05% degli utenti sia responsabile del 50% dei messaggi. Insieme ad una rassegna di queste rilevazioni, l’articolo affronta una questione di ampia portata: se le ricerche quantitative svelano che la vita sul web – a dispetto della retorica partecipativa di cui è ammantata – è regolata da leggi di concentrazione delle attività, quali sono le conseguenze sulla teoria dei media? Fino a che punto restano valide, a fronte di questa evidenza, le teorie fondate su un’idea democratica e paritaria della rete, e quale modello di potere emerge invece da questa legge?
SUMMARY This essay analyses an underlying problem in the recent vast production on the dark sides of internet: concentration mechanisms active on the web, at that deep level which regulates connections, already highlighted by the discovery of web power law nature. Later research uncovered similar concentration mechanisms at a more manifest level: links regulating the blog-sphere and decision responsibilities on Wikipedia. A trend apparently opposed to the rule supplied by the web, barely conveyed by a recent 2011 research conducted by Wu, Mason et al., which showed how, on Twitter (and over a sample of 260 million exchanges), 0,05% of users are responsible for 50% of messages. Together with a report on these revelations, the article deals with a wide reaching issue: if quantitative research reveals that life over the web – in spite of the participative rhetoric blanketing it – is regulated by activity concentration laws, what are the consequences of the media theory? To what extent are the theories of a democratic and equal web valid, and what power model emerges from this law?
RIASSUNTO Ha ragione Formenti laddove rileva come il pentimento di alcuni guru della comunicazione passi attraverso una rilettura critica di McLuhan. E qui sta il paradosso di un autore troppo spesso utilizzato, invece, proprio a sostegno delle tesi sulle conseguenze democratizzanti dei digital media. Un paradosso generato dallo stesso McLuhan, alimentato dal suo stile comunicativo e dalla deriva mistica della sua produzione più tarda, il cui riverbero investe soprattutto le idee di villaggio globale e di una natura empatica e relazionale dei media elettrici. Se c’è un sistema teoretico capace di rivitalizzare un approccio critico nello studio dei media è proprio quello di McLuhan, ma solo se recuperiamo il concetto di awareness (consapevolezza) che stabilisce il filo rosso della sua pur variegata produzione scientifica. Seguendo un approccio mediologico, indagheremo sulla natura dei digital media, partendo dal modo in cui essi funzionano, dalle loro proprietà specifiche, che fanno di internet e del web delle tecnologie intrinsecamente politiche. Scopriremo così che l’assunzione di una nuova consapevolezza è l’unico antidoto che abbiamo a disposizione per sfuggire alla narcosi del giudizio critico generato dalle nostre estensioni tecniche più recenti.
SUMMARY Formenti is right when he says that the repentance of certain communication gurus stands from the critical reading of McLuhan. This is the paradox of an author who is utilized too often to support the theses of digital media democratic consequences. A paradox generated by McLuhan himself, nurtured by his style of communication and the mystical drift of his most recent production, whose vibration invests mostly the ideas of global village and the emphatic and relational nature of electronic media. If a theoretical system able to revitalize a critical approach to the study of media exists, it is Mcluhan’s, but only if we retrieve the concept of awareness which constitutes the fil rouge of his varied scientific production. By following a media approach, we shall investigate the nature of digital media, starting from the way they work, their specific properties which make internet and web inherently political technologies. We will thus discover that the assumption of a new awareness is the only antidote to the narcotic process of critical judgment generated by recent technical developments.
RIASSUNTO Collegandosi a un’emergente, sebbene ancora embrionale, «teoria critica» del web 2.0, il saggio esplora il tema del web 2.0 e degli user generated content in relazione al framework della sociologia dei consumi, inserendolo in un più ampio dibattito e discussione delle categorie sociologiche del «consumo consapevole», il «consumo critico», e persino della «decrescita dei consumi». Obiettivo del saggio è analizzare come il web 2.0, sebbene sia stato negli ultimi anni proposto come un nuovo modello di smarcamento dei consumatori dall’industria culturale, un sistema dove essi divengono protagonisti, co-creatori, artefici della produzione mediale, possa essere letto, viceversa, in maniera più «integrata» come un nuovo canale e un sistema di rigenerazione, da parte dell’industria mediale, delle proprie leve di attrazione e fidelizzazione del pubblico, nonché un nuovo sistema di produzione di plusvalore da parte dell’industria mediale. Il web 2.0 viene così associato ad altre forme contemporanee di rigenerazione e rialimentazione dell’immaginario e dell’industria dei consumi. Forme di in-consumo, dicotomie valoriali – quali il «consumo/non consumistico», il «consumo/attivo», il «consumo/eterno» – che, lungi dal rappresentare realmente proposte di sovvertimento del sistema dei consumi, e decolonizzare l’immaginario (Fabris 2010), agiscono nella direzione di inglobare le contraddizioni contemporanee, assorbendone e neutralizzandone il potere sovversivo, e ricordandoci, ancora una volta, che è semplicemente impossibile, oggi, non consumare.
SUMMARY By connecting to an emerging, but still embryonic, «critical theory» on web 2.0, this essay explores its subject and user generated content in relation to consumer sociology frameworks, taking it to a wider debate and discussion over sociological categories of «well informed consumption», «critical consumption» and even the «decrease of consumption». The aim of this essay is to analyze how web 2.0, although proposed in the past few years as a new way for consumers to cut loose from cultural industries, a system in which they have become authors, co-creators, protagonists of media production, may be interpreted in a more integrated manner: as a new channel and a system of regeneration by media industries and, its lever on public attraction and loyalty, and also a new value-added production system created by the media industry itself. Web 2.0 is therefore associated with other contemporary forms of regeneration and the feeding of collective imagination and consumer industry. Forms of in-consumption, value dichotomies – such as the «non consumerist/consumption», «active/consumption», «eternal/consumption» – which, far from representing proposals to actively subvert the consumption system and decolonize imagination (Fabris, 2010), act towards the direction of encompassing contemporary contradictions, by absorbing them and neutralizing their subversive power, and reminding us, once again, that it is simply impossible today not to consume.
RIASSUNTO Negli ultimi anni la parola fandom si è imposta nell’ambito del dibattito scientifico sulle audience ed è progressivamente divenuta sinonimo delle forme di consumo mediale più avanzate, innovative ed engaged. Quello che oggi osserviamo è, infatti, il risultato di un processo di «normalizzazione» e quotidianizzazione del fenomeno, che si è avvantaggiato dell’affermazione del web 2.0 e della diffusione della cosiddetta cultura partecipativa, per uscire dalla dimensione microcomunitaria e subculturale delle origini e spostarsi nei più visibili e ampi spazi dell’interazione online. Tuttavia, la crescita esponenziale di pratiche di consumo in qualche modo riconducibili al fandom e la loro contemporanea aumentata visibilità (e osservabilità) attraverso i social media, hanno progressivamente spostato l’interesse scientifico e del mercato da una lettura qualitativa e in profondità dell’investimento simbolico valoriale dei fan nei confronti dei contenuti mediali, verso gli aspetti più vistosi, elementari e quantificabili della relazione fan-prodotto, finendo, di fatto, con l’impoverirne il significato stesso. Allo stesso tempo, l’entusiasmo per la capacità euristica dell’etichetta fan e la sua sinergia con il concetto di engagement hanno garantito la «spalmabilità» interpretativa del fandom su terreni anche non così immediatamente contigui come quello dell’engagement politico, su cui appare decisivo riflettere.
SUMMARY During the past few years the word fandom has imposed itself in scientific debates on audiences and has progressively become synonymous with the most advanced, innovative and engaged forms of media consumption. What we observe today is in fact the result of a «normalization» and «every-day rendering» process of the phenomenon which took advantage of the web 2.0 rise and the diffusion of the so-called participative culture, to step away from the micro-communitarian and sub-cultural dimension of the first periods and move towards the more visible and wider spaces of on- line interaction. Nevertheless, the exponential growth of consumer practices, having somehow reference to fandom and its increased visibility (and observability) through the social media, have progressively moved scientific and market interest from a qualitative and in-depth interpretation of fans» symbolic investments in media contents, to the more considerable, elementary and measurable aspects of the relation fan/product, impoverishing its meaning. At the same time, enthusiasm for the heuristic capability of the fan’s tag and its synergy with the engagement concept have guaranteed the interpretative «spread potentials» of fandom over non-adjoining territories such as political engagement, reflection upon which is crucial.
RIASSUNTO I blog sono stati i primi spazi online pensati come strumenti di empowerment dell’utente, non più solo fruitore ma attivo produttore di contenuti, in perfetta sintonia con la logica del web 2.0. Superata la fase di maturazione, la blogosfera sta oggi attraversando una fase di trasformazione segnata da fenomeni anche contraddittori. Da un lato i blog sembrano, infatti, aver replicato gli stessi meccanismi che criticavano nei mass media, ovvero hanno maggiormente enfatizzato la componente di narcisismo e di esibizione del sé; dall’altro si presentano, invece, come spazi di costruzione della sfera pubblica e di espressione dell’identità individuale o collettiva. Il saggio si propone di fare il punto su alcune tendenze della blogosfera contemporanea attraverso la presentazione e la problematizzazione della prospettiva di Geert Lovink, che inserisce i blog all’interno della sua teoria critica della rete, sottolineandone i limiti teorici ed empirici grazie al confronto con riflessioni teoriche e ricerche che hanno analizzato, anche con uno sguardo internazionale, funzioni e pratiche d’uso dei blog. In questa direzione nelle conclusioni si cercherà un ulteriore rilancio attraverso l’interpretazione del blog come «tecnologia del sé», secondo l’accezione foucaultiana dell’espressione.
SUMMARY Blogs were the first on line spaces considered empowerment tools for users, and have become more and more producers of contents, perfectly in sync with web 2.0 logics. Now that the maturation phase is over, the blogosphere is going through a transformation phase also characterized by contradictory phenomena. In fact, on the one hand, blogs seem to have copied the same mechanisms they criticized in the mass media: they have greatly emphasized narcissist and self-exhibition behavior; but on the other hand, they present themselves as spaces aimed to build up public circles and express individual and collective individualities. This essay aims to take stock of some trends of contemporary blogosphere by presenting and problematizing Geert Lovink’s perspective. Theoretic and empirical limits of his perspective will be underlined through the comparison with theoretical and empirical research, even from an international perspective, that have analyzed functionalities of blogs and user practices. Following this direction, in the conclusions of the essay, we shall try to raise the interpretation of blogs as «technology of self», according to Foucault’s acceptation of this phrase.
RIASSUNTO L’utente del web 2.0 si trasforma da semplice spettatore in regista e intrattenitore e della sua partecipazione un prolungamento della comunicazione interpersonale faccia a faccia: i nuovi media, infatti, favoriscono lo sviluppo del senso di condivisione e di appartenenza, ma anche di esclusione e di isolamento. Saranno messi in rilievo i seguenti aspetti: a) partecipare ad amici e conoscenti, o anche a una community, che cosa si fa, se stessi, le proprie passioni ecc.; b) far sorgere negli utenti il desiderio di creare oltre che di consumare i contenuti dei media. Il web 2.0 crea un accumulo di ruoli interscambiabili di questo tipo (creatori/fruitori). L’utente diventa un elemento centrale quando interagisce e collabora con gli altri dialogando in una rete sociale e porsi come creatore; c) eccentricità, divismo, vetrinizzazione. Il divismo diffuso si afferma e se l’ambizione nel divismo classico era secondaria, in tale divismo è l’elemento di base. Si può, in definitiva, pensare ad un capovolgimento del concetto simmeliano di socievolezza, ad un andare verso il concetto proposto da Sennett (2004) di «estraneità». Infine, proprio da queste premesse si può affermare che tale comunicazione sviluppa in modo abnorme il suo aspetto metacomunicativo e relazionale mettendo in secondo piano l’aspetto di «strumento di riflessione».
SUMMARY The web 2.0 user, no longer mere spectator, becomes producer and entertainer, and his/her participation is transformed in an extension of face-to-face interpersonal communication: the new media, in fact, promote the development of a sense of sharing and belonging, but also of exclusion and isolation. In this research, emphasis will be placed on the following aspects: a) participation (friends, acquaintances, even a community). What they do, who they are, their passions, and so on; b) creativity (enhance the users» desire to create as well as consume media content). Web 2.0 facilitates interchangeable roles as creator/user. The user becomes a central element in the interaction with others as he/she collaborates with others in creating a social network dialogue and thus acts as a creator; c) eccentricity, stardom, window showing. Stardom is widespread and if ambition in traditional stardom was a secondary element, it has become fundamental in virtual interactions. Ultimately, this process represents a reversal of Simmel’s concept of sociability, more towards the «foreignness» concept proposed by Sennett (2004). Finally, on such bases, we suggest that virtual interactions abnormally enhance the meta-communicative and relational aspect of communication while shadowing its potential as «reflexivity tool».