Lo scenario culturale contemporaneo si presenta sempre più permeato dall’esigenza di una riflessione sul concetto di identità soggettiva e sulle sue innumerevoli variazioni (autobiografia, narrazioni del sé, produzioni testuali autoriferite e così via). Le due principali coordinate teoriche entro le quali si muove il discorso filosofico sull’identità sono le teorie narrative e le teorie realiste: secondo le prime, il processo di costituzione del sé organizza una sequenza di eventi separati ed eterogenei in unità. Là dove la vita è concepita come unità narrativa, l’identità si presenta come un sedimento complesso e dinamico dell’esperienza del soggetto, del suo radicamento e insieme delle sue evoluzioni. Secondo le teorie realiste, al contrario, il sé ha una natura propria che può essere descritta, non creata, dalle nostre produzioni testuali. L’interesse per le narrazioni autobiografiche, la narrativa in prima persona, le forme autoriflessive di racconto – sorto a partire dagli anni Settanta del Novecento – trova le sue radici nelle teorie narrative, ma le estremizza fino a una sorta di paradossale sedimentazione del paradigma della molteplicità come nuova ed esclusiva chiave di lettura del soggetto. In accordo con un’affermata concezione postmoderna dell’uomo, immerso nella liquidità e in un’esperienza sempre più parcellizzata e frammentata, l’identità si configura progressivamente come a-situata. Il soggetto si dissolve in una serie disparata di manifestazioni-maschere dietro le quali è impossibile rintracciare una qualunque forma di riconoscibilità. Tale idea, che appare come il risultato di una più ampia visione antropologica postmoderna, ha ripreso vigore a seguito di un forte incremento dell’interesse verso le pratiche di scrittura del sé, proliferate negli ultimi decenni insieme all’evoluzione del panorama mediale.
RIASSUNTO
Il saggio prende le mosse dalla ricognizione di un campo di ricerca sfuggente, ma allo stesso tempo di crescente
centralità e interesse: la pervasività dell’autobiografia e della scrittura saggistica nelle forme audiovisive
contemporanee. Dalle pratiche artistiche e sperimentali al film documentario, dai progetti digitali partecipativi
alle modalità confessionali dominanti in televisione e su Internet, una tale soggettivazione dell’arte
e dei media può essere vista, in termini filosofici ampi, come una conseguenza della cultura postmoderna e
come risultato della crescente frammentazione dell’esperienza umana in un mondo globalizzato. Nondimeno,
come mostrano molti progetti audiovisivi analizzati dall’autrice, questo accento sulla soggettività non implica
una definitiva dispersione del sé, e neppure una chiusura dentro la propria intimità. Al contrario, l’impulso
autoriflessivo è legato a un reale desiderio di comunicazione, manifestato dal filmmaker nel momento in cui
si rivolge allo spettatore, coinvolgendolo entro una situazione comunicativa dove entrambi sono chiamati a
presenziare come entità incarnate. Infine, l’attuale proliferazione di testi alla prima persona risponde – anche
nei media audiovisivi – a una diffusa vocazione ad attestare la natura sociale dell’Io, ovvero il suo essenziale
radicamento (embeddedness) nel proprio mondo di vita.
SUMMARY
The essay starts from an exploration of an elusive but increasingly compelling field: the pervasiveness of
autobiography and essayistic writing in contemporary audiovisual expression. From artistic and experimental
practices to non-fiction film, from collaborative digital projects to confessional modes of self-representation in
television and on the Internet, such a personalisation of art and the media may be seen, in broad philosophical
terms, as a consequence of postmodern discourse and as a result of the growing fragmentation of the human
experience in a globalized world. Nevertheless, as many audiovisual projects analysed by the author show,
such a focus on subjectivity does not imply a definitive displacement of the self, or even a closure within
the horizon of one’s self. On the contrary, the impulse of self-investigation and self-reflection is linked to a
real desire of communication, where the filmmaker addresses and engages with the spectator within a shared
space of embodied subjectivity. Finally, the contemporary proliferation of first-person modes of expression
in audiovisual media responds to a common vocation to attest the social nature of the I, that is to say its embeddedness
in the world.
RIASSUNTO
Il saggio si propone un’analisi delle pratiche autoetnografiche di taglio prevalentemente genealogico, privilegiando l’esame di alcuni classici del pensiero etnologico, testi dove la pulsione riflessiva e autoetnografica si manifestano sia in forma esplicita, o tramite scelte stilistiche peculiari, come nel caso di Lévi-Strauss o Crapanzano. Tuttavia, il saggio si interroga sulla possibilità di pensare l’autoetnografia sul terreno delle culture visive, nell’ambito della produzione di materiali filmici di carattere etnografico. Materiali dove la dimensione del soggetto, tatticamente o strategicamente, ai fini del discorso scientifico, si esplicita, oppure si occulta. In questa luce l’analisi delle forme di autobiografia per immagini e di edizione del sé di Lévi-Strauss, o la scelta di Derrida di presentarsi autoetnograficamente in forma esplicita in un film firmato da Safaa Fahti, sono oggetto di indagine nel quadro di un’interrogazione di fondo: la liceità stessa dell’autoetnografia, la sua praticabilità e i suoi limiti nelle pratiche di ricerca sociale.
SUMMARY
This essay aims to analyze those self-ethnographical practices which have a genealogical angle, favoring the overview of some ethnology classic texts, in which the reflective and self-ethnographic impulse reveals itself explicitly, or through peculiar stylistic choices, such as with Lévi-Strauss or Crapanzano. Nevertheless, this essay questions the possibility of considering self-ethnography on the ground of visual cultures, within the boundaries of ethnographic film production. Materials where the dimension of the subject, tactically or strategically, either comes out or hides itself for the purposes of scientific debate. Under this light, the analysis of autobiographies through images and self-editing by Lévi-Strauss, or Derrida’s choice to present himself self-ethnographically in an explicit form in a video filmed by Safaa Fahti, are studied in the context of a deep query: self-ethnography’s being licit, its being feasible and its limits in social research practices
RIASSUNTO
L’intervento analizza il video One day..., diffuso viralmente nell’aprile 2012. Il video costituisce la mossa di
lancio del Google Glass, un paio di occhiali ad alta tecnologia che permettono sia di interagire con forme di
realtà aumentata, sia di condividere la rappresentazione della propria esperienza percettiva in prima persona
con altri soggetti. In primo luogo, il video viene analizzato come esempio di uso del first person shot, una
figura stilistica intermediale oggi estremamente diffusa; in quanto tale, il video esibisce la presenza di un corpo-
sensore situato attivamente all’interno del mondo diegetico, caratterizzato da un’oscillazione tra un polo
soggettuale-umano e uno oggettuale-tecnologico. In secondo luogo, il video viene analizzato in base all’idea
di soggetto e di costituzione della soggettività che esso implica: attraverso un confronto con alcune teorie
contemporanee, viene messo in rilievo il carattere situato e attivo del soggetto e la natura rappresentazionale
della sua costituzione. Nelle conclusioni viene profilata l’ipotesi che una simile concezione della soggettività,
definita ‘relazionale’, possieda una natura storica e culturale, e che tenda oggi a soppiantare la concezione
‘posizionale’, rappresentata dal dispositivo prospettico.
SUMMARY
The essay analyses the video titled One day..., broadcasted virally in April 2012. This video originated the
launching of Google Glass, a high technology pair of glasses which allow you both to interact with forms of
augmented reality, and to share with other subjects the representation of your personal perceptive experience.
First of all, the video is analyzed as an example of the use of first person shot, a stylistic multimedia figure very
popular today; the video as such shows the presence of a body-sensor actively positioned inside the diegetic
world, characterized by the swing between a subject-human pole and an object-technological pole. Secondly,
the video is analyzed according to the idea of the subject and the related construction of subjectivity: through
the comparison of certain contemporary theories, the active character of the subject and the representational
nature of its constitution have been observed. The conclusions outline the hypothesis that a similar conception
of subjectivity, defined ‘relationship-wise’, has a historical and cultural nature, and which today would tend to
replace the ‘positional’ conception, represented by the perspective device.
RIASSUNTO
È possibile parlare di soggetto oggi, e se sì, a quali strumenti di comprensione dobbiamo affidarci per farlo?
Questa breve intervista passa in rassegna alcuni luoghi teorici divenuti imprescindibili per ogni interrogazione
sulla natura e la struttura del soggetto umano. Liquidità, frammentazione, non-tracciabilità dell’identità lasciano
intravedere, in filigrana, la resistenza di un ancoraggio a sé e all’altro che attraversa da sempre la struttura
profonda del soggetto. Siamo così condotti a riconoscere nell’originario intrecciarsi tra sé e altro da sé il punto
di partenza per un’antropologia che si sottragga alle semplificazioni tanto dell’antropologismo, quanto della
denunciata sparizione di ciò che chiamiamo ‘soggetto individuale’.
SUMMARY
Today, is it possible to talk about the subject, and if yes, what tools of comprehension should we trust to do so?
This short interview goes over certain theoretical constructs essential for every interrogation on the nature
and structure of the human subject. Liquidity, fragmentation, non-traceability of identity, let half view the
anchoring to oneself and the other which has always gone through the deep structure of the subject. We are
lead to recognize within the early intertwining of the self and the other the starting point of an anthropology
which is different from the simplifications of anthropologism and from the exposed disappearance of what we
call the ‘individual subject’.
RIASSUNTO
L’articolo si propone di rintracciare nella riflessione estetica tra Ottocento e Novecento – nel campo teoricoartistico
che James Clifford ha definito ‘surrealismo etnografico’ – alcuni tratti costitutivi della riflessività
dello sguardo moderno, utili a comprendere quel legame tra autobiografia ed etnografia che caratterizza i più
interessanti esperimenti del cinema intermediale.
Ripercorrendo le figure concettuali del poeta baudelairiano, del flâneur benjaminiano e del veggente di
Arthur Rimbaud, si arriva alla teoria del cinema moderno di Gilles Deleuze, dove la riflessività e l’efficacia
dello sguardo sono concettualizzate nei termini di una funzione di veggenza. Attraverso Deleuze, si cerca di
comprendere in che modo l’attitudine riflessiva del soggetto moderno si sia tradotta nelle forme del discorso
filmico: dal Neorealismo all’antropologia visiva di Jean Rouch.
Alla fine del percorso, si fa ritorno al panorama artistico e cinematografico contemporaneo dove la
tensione tra scrittura del sé e scrittura dell’altro sembra riprodursi nella figura del regista sulla scena e nelle
forme del montaggio intermediale.
SUMMARY
This article aims to track down among the aesthetic reflections of the nineteenth and twentieth century – within
the theoretical-artistic field which James Clifford defined ‘ethnographic surrealism’ – some constitutive passages
of the reflexivity of the modern view, useful to understand the bond between autobiography and ethnography
which characterizes the most interesting experiments of movie making in the age of intermediality.
Going through the conceptual poetic images of Baudelaire, Benjamin’s flâneur and Arthur Rimbaud’s
seer, we arrive at the modern cinema theories of Gilles Deleuze, where reflexivity and the effectiveness of
the gaze are characterized by a chairvoyance skill. Through Deleuze, it is explained how the self-reflexivity
of modern subjects gets translated into movies: from Neorealism to the visual anthropology of Jean Rouch.
RIASSUNTO
Il saggio analizza un singolare ‘spazio autobiografico’: l’Atlas di Gerhard Richter, straordinaria opera-collezione di tutti i materiali iconografici raccolti dall’artista nell’arco di più di cinquant’anni. Fotografie amatoriali, album di famiglia, ritagli di giornali, bozzetti, schizzi ed esperimenti, compongono un enorme diario visivo, una sorta di ‘ritratto dell’artista al lavoro’. Mappa cognitiva più ancora che archivio, album di visioni e atlante della memoria, l’Atlas predispone un percorso epistemico, oltre che estetico, in cui le immagini tracciano una storia collettiva della percezione in forma di racconto autobiografico.
La fotografia amatoriale svela per Richter l’impronta di un regime collettivo dello sguardo: ogni immagine è il tracciato unico di un’individualità e, insieme, la sua resa a un ordine comune. Il racconto di Sé affidato alle immagini è, sotto questo aspetto, la cifra esemplare della forma attraverso cui, a partire dal XIX secolo, ci è possibile (ri)conoscerci: non il semplice affidarsi a una traccia, ma il consegnare ciò che siamo all’ordine ‘evidente’ delle immagini, in un gesto di piena adesione alla leggibilità del mondo e di noi stessi.
SUMMARY
This essay analyses a particular ‘autobiographical space’ the Atlas by Gerhard Richter, an extraordinary repertoire of all the iconographic material collected by the artist over more than 50 years. Amateur photographs, family photo albums, newspaper clips, sketches, drawings and experiments compose a huge visual diary, a type of ‘portrait of the artist at work’. A cognitive map, more than an archive, an album of visions and a volume of memories, the Atlas prepares the way for an epistemological itinerary, as well as an aesthetical one, in which images draw a collective history of perception in the shape of an autobiographical tale.
For Richter amateur photography reveals the sign of a collective regime of the gaze: every image is the unique track of an individuality and, at the same time, its surrender to a common order. The telling of Self, given by images, is from this aspect, the code through which, beginning in the XIX century, it is possible to (re)cognize ourselves: not the simple surrendering to a sign, but the delivery of that which we are to the ‘clear’ order of images, in a gesture of full adhesion to the readability of the world and ourselves.
RIASSUNTO
Due immagini. La prima: il video di bin Laden che, nel rifugio di Abbottabad, si guarda in uno schermo televisivo
con una coperta sulle spalle, osservato mentre si osserva. La seconda: la fotografia del (falso) primo
piano del suo volto tumefatto, elevato a reliquia post mortem nei giorni immediatamente successivi alla sua
eliminazione. A partire da queste due immagini, che segnano le ultime tappe di una fitta parabola iconica,
il presente intervento si propone di studiare la dimensione autoritrattistica dell’immagine di bin Laden. Da
una parte la sottrazione del corpo: la latitanza in vita, l’occultamento della salma dopo l’uccisione; dall’altra,
all’opposto, la sua sovraesposizione mediatica, deriva pandemica del terrore, che lavora clonando immagini e
gesti autoritrattistici in un ambiente intermediale. In sintesi, l’idea che le immagini con cui Osama bin Laden
si è rappresentato per tutto il decennio scorso siano avvertite come presenze vicarie di un corpo in absentia,
secondo criteri di autodocumentazione che spingono a valutare interscambiabilità e modificabilità come indicatori
di una vocazione all’impersonale propria dell’autoritrattistica contemporanea.
SUMMARY
Two images. The first one: the video with bin Laden who, inside the Abbott a bad shelter, watches himself on a
Tv screen, with a blanket around his shoulders, being observed while he’s observing himself. The second one:
the (fake) close-up photograph of his black-and-blue face, lifted to a post mortem relic during the days after
his elimination. Starting with these two images, which set the last stage of a dense iconic parable, this article
aims to study bin Laden’s dimension of self-portraying. On the one hand, the embezzlement of the body: a
life of hiding, and the concealment of the body after his killing; on the other hand, on the opposite, his media
overexposure, his drift towards pandemic terror, which works by cloning images and self-portraying gestures
in an intermedial environment. In synthesis: the idea that the images with which Osama bin Laden showed
himself throughout the last decade are perceived as substitute presences of a body in absentia, according to
criteria of self-documentation which cause us to evaluate interchangeability and modifiability as indicators of
a vocation oriented toward an impersonal dimension, typical of contemporary self- portraiture.
RIASSUNTO
Per quanto effimero il fenomeno del taqwacore, sottogenere del punk americano caratterizzato dalla rivendicazione da parte dei suoi partecipanti delle proprie radici islamiche, ha ricevuto negli ultimi anni una considerevole attenzione a livello accademico, soprattutto per la sua vicinanza con nuclei tematici quali la negoziazione tra identità culturali differenti, la fobia verso i musulmani dopo l’11 settembre, la resistenza alle visioni più conservatrici delle relazioni tra Oriente e Occidente. L’articolo si concentra su due recenti prodotti audiovisivi dedicati a questo genere musicale, il documentario di Omar Majeed Taqwacore: The Birth of Punk Islam (2009) e la trasposizione cinematografica del romanzo di Michael M. Knight The Taqwacores diretta da Eyad Zahra (2010), alla ricerca delle modalità con le quali viene elaborato il valore dell’autenticità attraverso un uso strategico degli elementi sonori e visivi. L’analisi di questi due lungometraggi cercherà di sottolineare in quale modo venga rappresentata la trasformazione di una comunità immaginata in una realtà concreta, ricostruendo il ruolo della rappresentazione audiovisiva a livello sintattico e semantico in tale contesto.
SUMMARY
However ephemeral the taqwacore phenomenon might be, a subgenre of American punk characterized by its participants’ claim to their Islamic roots, it has received over the last few years much attention from the academic environment, especially for its closeness to such themes as the negotiations between different cultural identities, the phobia against the Muslim after September 11th, the resistance to the most conservative visions of relations between East and West. The article focuses on two recent audiovisual products to highlight how the value of authenticity is elaborated through a strategic use of audio and visual elements: the documentary by Omar Majeed Taqwacore: The Birth of Punk Islam (2009) and the film transposition of the novel by Michael M. Knight The Taqwacores directed by Eyad Zahra (2010). The analysis of these two feature films will underline the textual elements representing the transformation of an imaginary community into a concrete reality, piecing together in this context the role of audiovisual representation at a syntactic and semantic level.
RIASSUNTO
Il saggio tratta della dinamica identitaria che il soggetto umano dispiega nei processi di «totalitarizzazione»
tanto politica che economica. Attraverso il confronto con l’opera Il rinoceronte di E. Ionesco, si esamina lo
statuto del soggetto coinvolto nella ‘totalitarizzazione’, sia da un punto di vista storico (H. Arendt) che da un
punto di vista psicanalitico (J. Lacan e M. Recalcati), intrecciando l ‘analisi teorica con riferimenti letterari
(G. Orwell e W. Golding). Che cosa c ‘è in gioco per il soggetto in una simile dinamica? Perché il soggetto
sembra attratto dall’inquietante possibilità di ‘essere rinoceronte’?
SUMMARY
This essays discusses about the dynamics of identity which the human subject deploys in ‘totalizing’ political
and economical processes. Through a comparison with the work Il rinoceronte by E. Ionesco, the status of a
‘totalizing’ subject is analyzed, both from a historical, (H. Arendt) and from a psychoanalytic point of view
(J. Lacan and M. Recalcati), interspersing the theoretic analysis with literary references (G. Orwell e W. Golding).
What is at stake for the subject in a similar dynamic? Why does the subject seem to be attracted by the
disturbing possibility of ‘being a rhino’?
RIASSUNTO
A partire dagli anni Settanta, le forme della narrazione autobiografica si sono progressivamente diffuse nel
fumetto assumendo un ruolo centrale, ovvero costituendo una delle forze che hanno maggiormente ridefinito
la nuova percezione sociale – come campo di intensa riflessione letteraria e artistica – di questo medium.
La ragione di cui questo intervento prova a dare conto è che la scrittura autografica, ovvero l’intreccio fra
autonarrazione, autorappresentazione ed esplorazione (grafica) del sé, ha mostrato un’inedita capacità di risonanza
con lo statuto espressivo del mezzo, incidendo al contempo su tre dimensioni: editoriale, linguistica, e
cognitivo/percettiva. Ripercorrendo alcune delle opere più note e influenti nella genealogia del graphic novel
autobiografico – da Binky Brown di Justin Green a Journal di Fabrice Neaud – il saggio mette a fuoco due
delle questioni teoriche sollevate da questo filone: la stretta relazione tra frammentarietà dell’autorappresentazione
identitaria e frammentazione dei codici linguistici; e la profondità del rapporto fra disegno, corpo e
scrittura del sé.
SUMMARY
Since the 70s, many forms of autobiographical narration have gradually spread with comics, assuming a central
role, or rather constituting one of the forces that have redefined the new social perception – as a field of
intense literacy and artistic reflection – of this medium. The main reason, as accounted in this article, is that the
autographic writing, or the interaction between self-narration, self representation and (graphic) exploration of
the self, has shown an unprecedented ability to resonate with the cultural status of this medium, impacting at
the same time on three different dimensions: editorial, linguistic, and cognitive/perceptive. Considering some
of the most famous and influential works in the genealogy of the autobiographical graphic novel – from Binky
Brown by Justin Green to Journal by Fabrice Neaud – this essay focuses on two among the main theoretical
issues raised by this trend: the close relationship between the fragmentation of identity self-representation
and the fragmentation of linguistic codes, and the deep relationship between drawing, body and self-writing.
RIASSUNTO
L’articolo indaga l’emergere di una nuova forma di prodotto giornalistico in cui la prospettiva soggettiva
dell’osservatore diventa fonte di autorevolezza e scaturisce da una negoziazione innovativa di alcune delle
affordances tipiche dell’ecosistema dei media digitali. Mediante l’analisi del sito #OCCUPYCHICAGO – un
esperimento di giornalismo partecipativo e finanziato in maniera diretta dai lettori senza mediazioni editoriali
– vengono messe in luce le dinamiche di riconfigurazione del genere dello storytelling giornalistico prestando
particolare attenzione alla relazione comunicativa con il pubblico e alle condizioni di possibilità della sua
rilevanza sociale. L’articolo si interroga sulle motivazioni che sono all’origine della scarsa partecipazione catalizzata
dal sito e utilizza questo emblematico ‘caso di insuccesso’ per dimostrare come, anche in un contesto
strutturalmente aperto come la rete, l’instaurazione di quella dimensione relazionale che rende socialmente
rilevante lo storytelling non sia affatto scontata e anzi non possa prescindere da una qualche ‘capacità di risonanza’
in grado di creare valore, sia esso sotto forma di denaro o di reciprocità creativa.
SUMMARY
This article investigates the possibility of a new form of journalistic product in which the observer’s subjective
perspective becomes a source of authority and stems from an innovative negotiation of some of the affordances
typical of the digital media ecosystem. Through an analysis of the #OCCUPYCHICAGO web site – an experiment
in participative journalism financed directly by readers without editorial mediation – the reconfiguring
dynamics of journalistic storytelling are brought to light, with particular attention to the communication relationship
with the public and to the conditions of its social relevance. The article questions the causes which
gave origin to the poor participation catalyzed by the site and uses this emblematic ‘unsuccessful case’ to
prove how, even in a structurally open context such as the web, the establishment of that relational dimension
which makes storytelling socially relevant is not spontaneous at all and indeed cannot work without some
‘capacity of resonance’ able to create value, whether in the form of money or creative reciprocity.
RIASSUNTO
Il saggio espone i risultati di una ricerca esplorativa condotta per comprendere se la produzione di un videodiario sia un metodo adatto per la conduzione di una ricerca autoetnografica. Nello specifico, la ricerca ha monitorato, tramite metodo qualitativo, la pratiche di autorappresentazione di quattro soggetti (due uomini e due donne) nel processo di produzione di un videodiario, realizzato per lo più tramite dispositivi audiovisivi portatili. Dal punto di vista metodologico, le diverse fasi della ricerca hanno richiesto l’uso di un approccio multidisciplinare, che integrasse la prospettiva etnografico-visuale con la teoria del film e dei media audiovisivi, così come una ripresa di alcuni concetti inerenti alla riflessione filosofica sull’autorappresentazione. Una pratica di produzione diaristica condotta con dispositivi audiovisivi portatili in che cosa si differenzia rispetto a precedenti forme di auto-narrazione prodotte con altri dispositivi mediali? In quale modo prende forma l’impulso al radicamento nel momento in cui la scrittura del sé è realizzata tramite immagini? Spinto da nuove possibilità di immediatezza, oggettività e autenticità, garantite dall’uso delle nuove tecnologie digitali, l’autore del videodiario sembra aver lasciato definitivamente sullo sfondo la scrittura diaristica come esercizio di introspezione e di rielaborazione del passato. In questo senso, il videodiario è stato apprezzato da tutti i soggetti coinvolti perché ha consentito la possibilità di cogliere l’istante nell’attimo concreto della sua realizzazione, come frammento significativo nel perimetro spazio-temporale in cui si dispiega.
SUMMARY
The essay aims to illustrate the results of an exploratory research conducted to understand if the production of a video-diary is a suitable method for an autoethnographic research. In particular, the inquiry has monitored, with a qualitative method, the self-representation practices of four subjects (2 men and 2 women) during the creation of a video-diary, mainly made through hand-held audiovisual devices. From a methodological point of view, the different steps of the research need to adopt a trans-disciplinary approach, integrating a visual-ethnographic perspective with the theory of film and audiovisual media, as well as a philosophical account on self-representation. How is a diary practice conducted through a hand-held audiovisual device different from previous forms of self-narration with other media? Can we talk about forms of socio-cultural grounding that emerge from processes of self-writing through images? Pushed by the new rising drives of immediacy, objectivity, and authenticity, thanks to the digital technologies, the author of a video-diary seems to have definitely left on the background the diary writing as a tool of introspective exercise and reworking of the past. In this sense, the video-diary has been fully appreciated for the chance granted of shooting a moment in its realization, as something that signifies inside the space and temporal perimeter in which is happening.
RIASSUNTO
Questo intervento vuole dare conto dell’emergere di una tendenza che, partendo dagli oggetti, fenomeni e progetti legati al desiderio di autodefinizione di sé, può essere estesa alla comprensione delle modalità con cui oggi ci si relaziona ai nuovi media. Analizzando in maniera problematica l’attività su Facebook di un piccolo campione di persone che ha accettato di tenere nello stesso periodo un videodiario, si può cogliere un fenomeno di discontinuità che riguarda non solo le nuove modalità autoritrattistiche, ma anche più in generale il modo in cui il soggetto si relaziona oggi con la rete. Nonostante infatti il social network preso in esame ricordi i diari ricchi di segreti e intimi pensieri (tipici per lo più dell’adolescenza), il racconto di sé qui sfuma, per lasciare spazio piuttosto all’urgenza di mostrarsi connessi. L’aggiornamento incessante dei contenuti postati, e la conseguente mutevolezza dei profili che rende difficile rileggere quanto scritto nel tempo, determinano un ambiente poco adatto all’autonarrazione.
SUMMARY
This article focuses on emerging trend that, starting from objects, phenomena and projects bound to the desire of self-definition can be broadened to understand the ways in which today people relate to the media. By analyzing the activities on Facebook by a small sample of people who accepted to keep a video-journal in the same period, one can understand a phenomenon of discontinuity which affects not only new ways of self-portrayal, but also more generally the way in which the subject relates with the web today. Despite the fact that this social network reminds of diaries full of secrets and intimate thoughts (typical for most teenagers), telling about oneself fades away, to give way to the urgency of online appearance. The incessant updating of posted content and the resulting mutability of profiles, which makes it difficult to read what has been written over the time, make this an environment poorly suitable for self-narration.
RIASSUNTO
Il saggio si costruisce attorno ai risultati di una ricerca condotta secondo un modello a due fasi, in cui l’autrice si concentra sul concetto di autoetnografia nel quadro delle pratiche filmiche e videoartistiche. L’attenzione si concentra sul contemporaneo e istituisce due casi di studio come exempla che consentono all’argomentazione di ragionare in particolar modo sull’elemento spaziale, proponendo un approccio originale al tema. L’analisi del corpus va così a costituire un percorso che porta alla definizione della scrittura filmica autobiografica come azione di posizionamento del sé nello spazio – essere come esserci. Un ideale movimento di estroflessione dall’interno all’esterno è identificato come carattere peculiare del lavoro svolto dagli autori nella realizzazione delle proprie opere; in questo quadro, le due figure del corpo e della casa sono proposte come matrici interpretative di questo movimento.
SUMMARY
The essay reports the results gathered during a two-step research about the concept of auto-ethnography in filmic/video-artistic practice, and elaborates an original approach to it, focusing in particular the spatial element. The analysis of a restricted corpus of texts leads to define the autobiographical filmic writing as an action of placing the self, and identifies an ideal movement from the inside to the outside triggered by the authors while working on their films and videos. The two figures of body and home are finally proposed as interpretation matrices of such a movement.
RIASSUNTO
La ricerca si propone come riflessione sulla possibilità dell’autoritratto collettivo, le sue problematiche metodologiche
e i percorsi di analisi che mettono a tema il concetto di appartenenza e la costruzione visuale di una
comunità. Utili strumenti metodologici si sono rivelati i paradigmi dei web e internet studies e dell’etnografia
virtuale. La ricerca è stata articolata a partire da due casi di studio: il primo riguarda la rappresentazione e il
racconto di sé messo in atto attraverso social network e blog della comunità locale di Bonefro che ha subito nel
tempo importanti fenomeni diasporici. Il secondo caso verte invece sull’autorappresentazione della comunità
cittadina di Reggio Emilia attraverso un progetto artistico fotografico: Self-Community di Cecilia Pratizzoli.
SUMMARY
This research aims at a reflection on the possibility of collective self-portrait, its methodological problems and
paths of analysis that theme the concept of belonging and the visual construction of a community. Useful methodological
tools have proven to be the paradigms of web and internet studies and virtual ethnography. The
research was organized from two case studies: the first concerns the self representation and narration implemented
through the social networks and blogs of Bonefro, a local community which has undergone important
phenomena of diaspora. The second case concerns instead the self-representation of the town community of
Reggio Emilia through a photographic art project: Self-Community by Cecilia Pratizzoli.
RIASSUNTO
Il laboratorio di teatro sociale rappresenta il cuore dei processi di costruzione comunitaria attraverso le arti
performative. Al suo interno gli individui hanno la possibilità di esplorare e definire la propria identità, personale
e di gruppo. Le identità gruppali che nascono da questi percorsi sono espressione non solo delle singole
personalità che le compongono ma anche del contesto territoriale e sociale a cui appartengono. Identità che
si definiscono, precisano ed evolvono in stretta connessione con gli stimoli che l’operatore di teatro sociale
introduce nell’esperienza. Indagando la nascita e i primi quattro anni di vita del gruppo teatrale Nonsolomamme.…
di Vimodrone attraverso la narrazione dell’operatrice che ne ha condotto l’esperienza, il saggio mette
in evidenza alcuni snodi significativi propri dei processi di teatro sociale e individua alcune connessioni tra il
lavoro di drammaturgia che caratterizza le esperienze di teatro sociale e la pratica autoetnografica.
SUMMARY
The laboratory of ‘teatro sociale’ is at the heart of the processes of community building through the performing
arts. Within individuals have the opportunity to explore and define their personal and group identity.
Group identities which arise from these locations are an expression not only of the individuals who compose
them but also of the territorial and social contexts to which they belong. Identities that are defined, specified
and developed in close connection with the stimuli which the ‘teatro sociale’ operator introduces into the experience.
Investigating the birth and the first four years of the theater group Nonsolomamme... from Vimodrone
through the narration of the operator who carried out the experience, the paper highlights some significant
hubs of the processes typical of ‘teatro sociale’ and identifies connections between the work of drama which
characterizes its experiences of ‘teatro sociale’ and self-ethnographic practices.
Sabato 16 dicembre presentazione di "Le fiabe non raccontano favole" di Silvano Petrosino a Verona: diventare donna attraverso Cappuccetto Rosso, Biancaneve e Cenerentola.
Mercoledì 6 dicembre a Pesaro presentazione di "Dalla metafisica all'ermeneutica" a cura di Piergiorgio Grassi, volume dedicato al filosofo della religione Italo Mancini.