Leggere, e leggere letteratura, non è un lusso per un prete. Fa parte di quelle condizioni che rendono il ministero attento, intelligente, fruttuoso. Se poi il suo approccio alla lettura non è utilitaristico, il giovamento è ancora maggiore. Più specificamente leggere poesie, romanzi, racconti aiuta a decifrare il mondo, a operare un discernimento culturale.Vivere immersi nel concreto delle molte incombenze a cui ci si deve dedicare rischia infatti di renderci distratti, poco disponibili allo stupore e alle domande. La letteratura è invece una sorta di strumento ottico che acuisce la percezione, fa cogliere la vita com’è, oltre l’opacità delle abitudini. Di più – è la tesi dell’articolo di Antonio Spadaro (padre scrittore della «Civiltà Cattolica») – è un prezioso aiuto a cercare e trovare Dio in tutte le cose e gli avvenimenti possibili, a farsi «raccoglitori di semi» (i semi del Verbo), secondo l’efficace e paradossale epiteto che gli Ateniesi diedero a Paolo.
La figura della presidenza liturgica ha conosciuto diverse interpretazioni lungo la storia della Chiesa. Recentemente la riforma liturgica e la rinnovata ecclesiologia che l’ha ispirata hanno disegnato una nuova centralità del celebrante, ripensandola in chiave pastorale. Lo studio di Claudio Salvetti, laico della diocesi di Bergamo, aiuta a comprendere, anche alla luce di brevi e incisive annotazioni storiche, il profilo più autentico che quel ministero complesso, impegnativo e delicato dovrebbe realizzare. In particolare, l’articolo sottolinea tutto il valore dell’arte del celebrare da parte del presidente, così decisiva per condurre l’assemblea nello spirito autentico del rito cristiano.
L’articolo di don Roberto Repole, docente alla Facoltà teologica di Torino, procede dalla non difficile constatazione che una certa coscienza sinodale si è andata allentando in questi ultimi decenni, è cioè diminuito, a diversi livelli della vita ecclesiale, «il bisogno di consultarsi, di dialogare autenticamente, di ascoltarsi, di scambiarsi i punti di vista e, all’occorrenza, di decidere insieme». Naturalmente, sottolinea l’Autore, la Chiesa non è da confondersi con una società democratica. Insieme, l’istanza democratica, connaturata alla cultura in cui viviamo, va ‘metabolizzata’ nella Chiesa, secondo la specificità di quest’ultima. A questo livello, teologico ed ecclesiologico, si situa la proposta dell’Autore quando rileva che la necessità per la Chiesa di ‘camminare insieme’ si radica nella relazione che Dio intrattiene con gli uomini. A ciascuno Dio distribuisce infatti, in modo personale e singolare, i suoi doni. Non valorizzarli mortifica l’inesauribile ricchezza che la grazia suscita nella Chiesa e porta a interpretare l’unità come uniformità.
Rita Bichi, docente di sociologia all’Università Cattolica di Milano, illustra in queste pagine l’esito di una recente ricerca sugli adulti-giovani in Italia. L’articolo mostra come sia in atto un’importante trasformazione nei tempi e nei modi del diventare adulti oggi. È soprattutto la concezione stessa dell’età adulta ad aver subito il cambiamento più significativo: non più l’esito di una maturazione in vista dell’assunzione di responsabilità stabili, ma una condizione anagrafica i cui vissuti assomigliano a quelli tipici delle stagioni giovanili: sperimentazione, non definitività, orientamento progettuale al benessere, insomma un’adolescenza mai finita. Queste tendenze sociali vanno ben considerate anche dai pastori: così va configurandosi il terreno su cui spargere il seme del Vangelo.
Il contributo di don Franco Manzi, docente di esegesi presso il seminario di Venegono (MI), propone un’appassionata rilettura dell’esperienza spirituale di Paolo centrata sulla scoperta della singolare figura di padre del Dio cristiano. La complessa personalità di Paolo e gli aspetti di inquieta ricerca del vero volto di Dio ripropongono l’attualità di una figura di credente e di pastore che seppe riscrivere in modo originale il vangelo per il ‘villaggio globale’ dell’impero romano.