Il cammino di preparazione al convegno ecclesiale che si terrà a Verona nel prossimo mese di ottobre è ormai entrato nella sua fase più impegnativa. La rivista intende accompagnare questo momento della vita della Chiesa italiana, mantenendo desta l’attenzione sull’evento con una serie di riflessioni sui temi e sugli aspetti che saranno toccati dal convegno. L’articolo di don Luca Bressan (docente di Teologia pastorale e membro della redazione) si propone di inquadrare la celebrazione del prossimo convegno ecclesiale dentro la storia recente dell’istituzione ecclesiale italiana, in particolare dentro la storia dei suoi convegni ecclesiali. Una lettura sincronica delle assemblee di Roma, Loreto e Palermo permette di mettere in risalto i grandi tratti che stanno disegnando il volto della nostra Chiesa: il rapporto e la recezione del Concilio; la percezione e la conoscenza che ha di se stessa, del suo corpo sociale; la lettura e il rapporto che sta costruendo con la cultura e la società italiana. Dentro queste direttrici prendono senso le grandi azioni studiate e rilanciate dai convegni ecclesiali: il discernimento, la riconciliazione e la comunione, la testimonianza.
Quali sono i criteri in forza dei quali è possibile identificare l’adesione alla fede cristiana? La domanda, antica come la Chiesa stessa, oggi è formulata attraverso le categorie di soggettivizzazione della fede, appartenenza con riserva, relativismo morale, cristianesimo della soglia. Con tali espressioni si vuole esprimere così la tendenza, oggi sempre più marcata, a non conformarsi ai parametri oggettivi dell’ortodossia e dell’ortoprassi. Mons. Giacomo Canobbio (vicario per la cultura nella diocesi di Brescia, docente di Teologia sistematica al seminario di Brescia e alla Facoltà teologica di Milano) illustra in quest’articolo alcune ragioni soggiacenti al fenomeno, sia interne sia esterne alla comunità cristiana. Ma soprattutto l’Autore si chiede che cosa è opportuno fare perché venga conseguito il reale obbiettivo della pastorale, «far vivere un’esistenza cristiana che comporti l’assunzione di tutti i suoi elementi costitutivi». Certo, i principi possono e devono essere affermati. Con la consapevolezza che tutti, pur non potendo aderguarvisi in pienezza, a essi devono tendere. Ma senza mirare a un cristianesimo elitario. Soprattutto, e positivamente, «la Chiesa in ogni sua articolazione non potrà non aiutare i credenti a cogliere il senso delle sue indicazioni, onde appaiano assumibili e praticabili».
Nell’odierno contesto multietnico e multiculturale, in cui il dialogo tra le religioni si pone come un’esigenza prioritaria, la figura del gesuita Matteo Ricci (1552-1610), che del dialogo stesso fece lo strumento di diffusione della fede cristiana, appare singolarmente attuale e degna di essere riscoperta. Ce ne offre un ritratto efficace Annarosa Dordoni, ricercatrice presso il dipartimento di Scienze religiose dell’Università Cattolica di Milano. Il metodo missionario di Matteo Ricci, applicato a una civiltà evolutissima come quella cinese, mirava a stabilire le condizioni minime necessarie per il radicamento del cristianesimo in Cina. Per far ciò fu necessario ‘spogliarsi’ della cultura europea per assimilare quella del luogo, facendosi «tutto in Cina», espressione che ricorda quella paolina del farsi tutto a tutti. Presupposto, attualissimo, era che il cristianesimo si incarna nelle culture, ma non si identifica in alcuna di esse. Tale criterio consente di riconoscere le potenzialità intrinseche a ogni civiltà umana: nessun elemento di bene che vi si trova deve andare perduto, anzi va sviluppato e portato a compimento. Operazione creativa e delicata, che Matteo Ricci seppe realizzare con straordinaria intelligenza.
Dopo gli Itinerari biblici della diocesi di Milano (si veda il numero 11/2005 della Rivista), presentiamo qui un’altra significativa esperienza pastorale fondata sull’ascolto della Parola di Dio. Ne parla Serena Noceti, ecclesiologa e responsabile del settore ‘catechesi adulti’ dell’Ufficio Catechistico diocesano di Firenze. L’articolo descrive l’originale strutturazione della catechesi biblica della Chiesa fiorentina, riflettendo sulle potenzialità e i limiti riscontrati nei suoi quindici anni di vita. Anche in questo caso non intendiamo offrire un’esperienza quale modello da imitare, ma far conoscere una realtà ecclesiale di indubbio interesse, capace di offrire preziosi stimoli. Essa infatti mostra in concreto come si può dar forma a una pastorale che davvero abbia nella Scrittura il suo principio ispiratore.
In occasione del primo anniversario della morte di don Luigi Giussani, ospitiamo ampi stralci dell’Introduzione che mons. Cordes (Presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum) ha scritto per il terzo volume della storia di Comunione e Liberazione di Massimo Camisasca, la cui uscita è prevista in maggio presso le Edizioni San Paolo. Il testo fa emergere in particolare la passione e il dinamismo di un sacerdote protagonista della ‘nuova evangelizzazione’, che grande importanza ha avuto per l’Università Cattolica e la Chiesa italiana.
In questa nota don Enrico dal Covolo, ordinario di Letteratura cristiana antica greca all’Università Pontificia Salesiana, propone alcuni spunti per la predicazione omiletica facendosi ammaestrare da quello che chiama «metodo patristico». Esso comporta nel contempo un solido ancorarsi alla Scrittura e la capacità di attualizzare il messaggio biblico. In questo equilibrio i Padri eccellevano: le loro omelie erano catechesi nel senso etimologico del termine, un riecheggiamento della Parola di Dio.
Il 13 giugno a Roma si parla di "Sud. Il capitale che serve" di Borgomeo con Quagliarello, Francesco Profumo, Graziano Delrio, Nicola Rossi e Raffaele Fitto.