L’Assemblea dei Vescovi dello scorso mese di maggio è tornata a occuparsi, come la precedente, della figura del prete. Il tono dimesso e sobrio con cui questa notizia si è diffusa nel circuito della comunicazione non deve trarre in inganno sull’importanza del dibattito: al centro dei lavori della CEI non è stata una riflessione teorica (se si vuole astratta) sul prete, quanto piuttosto il tentativo di leggere e di interpretare le trasformazioni che questa figura, essenziale per la vita della Chiesa dei nostri tempi, sta conoscendo. Ecco il motivo per il quale la Rivista ritiene di dedicare particolare attenzione al tema, amplificando gli echi del dibattito. Interessa comunicare al clero i punti fondamentali che i vescovi hanno sviluppato, così da poter continuare dentro la Chiesa una riflessione corale che aiuti a reperire gli strumenti e le energie per affrontare le «numerose difficoltà» e le «trasformazioni» che l’identità presbiterale sta conoscendo (come anche il comunicato finale dei lavori dell’Assemblea ha richiamato), e anche predisporre strumenti per attuare quella «necessaria verifica delle sperimentazioni pastorali già in atto» (è sempre parola dei vescovi). I vescovi ritengono che l’attuale momento di trasformazione possa essere guidato per rilanciare un lavoro di formazione e di approfondimento dell’identità presbiterale; mons. Luciano Monari (vescovo di Piacenza) ha aperto la discussione in questa prospettiva, offrendo criteri e piste di lettura per comprendere come sia possibile abitare queste trasformazioni individuando percorsi che permettano ai preti oggi di vivere la loro vocazione in modo pieno e maturante, da un punto di vista umano, spirituale, ecclesiale. Oltre a riportare gran parte della relazione di mons. Monari, la Rivista ha pensato di offrire, come ulteriori echi per stimolare la riflessione e il confronto, due piste di approfondimento: una prima (l’articolo di Luca Bressan che qui di seguito pubblichiamo) propone la presentazione dei risultati dell’inchiesta che ha fatto da base ai lavori delle CEI e che ha cercato di fotografare i cambiamenti in atto nella figura presbiterale odierna, dando anche una prima interpretazione delle questioni ecclesiali e pastorali implicate; una seconda (a cura di Dario Vitali, che verrà ospitata sul prossimo fascicolo di luglio/agosto) aiuta a mettere meglio a fuoco le questioni ecclesiologiche implicate, che in realtà animano già il dibattito e la comunicazione su questo tema dentro la Chiesa italiana (come la pubblicazione su questa stessa rivista dell’articolo di don Severino Dianich sul numero 3 di questo anno può acutamente testimoniare). Ciò che infatti sembra già emergere in modo chiaro è che la trasformazione in atto della figura del prete sembra avere come punto di innesco proprio la sua dimensione ecclesiale: è in atto un lavoro molto pratico (le cui conseguenze non si limitano però alla pratica, andando a toccare la Chiesa nella sua identità profonda) di reinterpretazione della cura animarum come principio a partire dal quale costruire la figura del prete. Che ne è del prete, cosa sta diventando la sua figura, una volta che si mette mano a questo suo modello di funzionamento ormai secolare? In che modo ci può guidare dentro questa trasformazione quella «bussola per orientarci nel cammino del secolo che si apre» che è il Concilio Vaticano II, così come ce lo aveva additato Giovanni Paolo II? A simili domande la Rivista non intende sottrarsi, riproponendosi di tornare anche più avanti su un dibattito che promette di essere molto rilevante per futuro della Chiesa italiana.
Pubblichiamo la prima parte della relazione che mons. Luciano Monari, vescovo di Piacenza, ha tenuto all’Assemblea generale della CEI nel maggio scorso. L’Autore risponde qui a due domande: Come è possibile essere uomini autentici? Come è possibile essere discepoli autentici? Nella seconda parte, che sarà pubblicata nel fascicolo di luglio-agosto, viene affrontata la questione del modo autentico di essere preti oggi, analizzandone le principali difficoltà e soffermandosi sul rapporto tra spiritualità/vita del prete ed esercizio del suo ministero apostolico e missionario.
Maria Ignazia Angelini (badessa del monastero benedettino di Viboldone) propone in queste pagine una meditazione di singolare intensità. L’atmosfera diffusa di questa nostra epoca in cui la speranza ha ceduto il passo alle passioni tristi – paura e accidia – è costantemente tenuta presente come lo sfondo da cui non si può prescindere nella testimonianza della speranza cristiana. Proprio un tempo come questo – in cui le certezze umane di qualche decennio addietro si manifestano come illusioni – appare assai propizio: «Spendendo la vita, giorno dopo giorno, in una precarietà sempre più minacciata che si rivela, nella fede, condizione opportuna per non possedersi, per uscire da autonomie falsamente promettenti, non ci troviamo nella condizione ideale per corrispondere alla tenacia della promessa di Dio, per testimoniare la consegna alla sua fedeltà, nel rifiuto di ogni “espediente” per sopravvivere?». L’Autrice sollecita ad andare al fondamento ultimo in cui si radica la speranza della Chiesa: è possibile per noi, nel tempo della povertà, annunciare speranza nella misura in cui apriamo gli occhi alla speranza di Dio. Perché in Gesù sappiamo che Dio sicuramente spera.
Purtroppo della figura di Maria Maddalena si è recentemente parlato a causa di un noto, e inqualificabile, romanzo di successo. Don Roberto Vignolo (docente di Esegesi neotestamentaria alla Facoltà teologica di Milano) restituisce a questa singolare figura evangelica le sue fattezze più vere, quelle di una donna che assiste alla morte del Maestro, ne avverte dolorosamente l’assenza, per poi misteriosamente ritrovarlo su iniziativa del Risorto stesso. È un’immagine efficacissima del discepolo quella che viene delineata in queste pagine, ricca di un’umanità appassionata, con i suoi slanci e i suoi limiti. «Seconda solo a Maria, madre di Gesù e dei credenti, Maddalena è una figura universale, una vera e propria immagine viva della Chiesa sposa di Cristo, santa e peccatrice, indefettibile nel suo legame a lui, eppure sempre bisognosa di conversione, che in ogni tempo cerca i segni del Signore risorto».
Nel febbraio scorso è scomparso don Divo Barsotti, una delle grandi figure di prete che ha segnato il cattolicesimo italiano del Novecento. Il ritratto qui proposto da don Vincenzo Arnone (prete della diocesi di Firenze) ne mette in evidenza due tratti salienti ben intrecciati tra di loro: la dimensione mistica, con la rigorosa affermazione del primato di Dio, e il profilo letterario, con un’arte poetica in costante tensione verso Dio.