Queste pagine di don Aristide Fumagalli (docente di Teologia morale al Seminario arcivescovile di Venegono) introducono alla comprensione di un tema etico-politico dibattutissimo, quello del riconoscimento giuridico delle cosiddette ‘unioni di fatto’. Il fenomeno viene anzitutto delineato nelle sue dimensioni sociali e nelle sue radici culturali. In un secondo momento viene puntualmente dato conto del dibattito sulla (non) equiparazione delle convivenze di fatto al matrimonio e sul loro eventuale riconoscimento nella legislazione italiana. La parte finale del contributo propone alcune valutazioni prospettiche utili per orientarsi in questa problematica civile di singolare rilevanza antropologica.
‘Testimonianza’ è diventata parola strategica del cattolicesimo postconciliare, fino al Convegno di Verona che l’ha ripresa come figura sintetica per dire oggi il compito del credente e della Chiesa tutta. La riflessione di mons. Giuseppe Angelini (docente di Teologia morale alla Facoltà teologica di Milano) mira alla rigorizzazione del termine, riportandolo alla sua origine neotestamentaria, dove appare sullo sfondo conflittuale del ‘processo’ che il ‘mondo’ intenta a Gesù. Lì i discepoli sono chiamati a testimoniare in favore di Gesù, verità di Dio. «La presenza cristiana nel mondo – è la tesi sostenuta – assume di necessità la forma della testimonianza, a motivo del fatto che il mondo tiene nascosta la verità radicale, da sempre inscritta nelle forme dell’esperienza umana universale. La verità radicale è quella di Dio». Dopo questo chiarimento preliminare delle radici antropologiche della testimonianza, in un prossimo contributo l’Autore illustrerà come essa prenda forma alla luce della fede nel Vangelo e del suo giudizio sul ‘mondo’.
Ospitiamo questa riflessione che A. Borras, ecclesiologo e vicario generale della diocesi di Liegi, ha tenuto al clero di Milano. Uno sguardo libero e attento ai principali cambiamenti in atto nella nostra società permette al nostro Autore lo sviluppo di un pensiero e di una immaginazione sul ruolo del prete e della Chiesa nel futuro delle società occidentali che riesce a coniugare insieme i tratti del realismo, del coraggio e della speranza. C’è ancora spazio nelle nostre società per l’annuncio del Vangelo e per la presenza della Chiesa, anche se questa presenza chiede conversioni forti alle nostre istituzioni, ai nostri modi di pensare, a noi stessi. In un momento in cui pure la Chiesa italiana è impegnata in una riflessione sul futuro delle sue istituzioni e dei suoi preti, la lettura di questo articolo può offrire spunti per pensare e per progettare anche a noi, seppur in un contesto diverso da quello descritto da Borras.
Prosegue con questo contributo di don Giovanni Cereti (docente di Teologia ecumenica all’Istituto di Studi ecumenici S. Bernardino di Venezia) la serie di articoli che la Rivista sta da qualche mese dedicando alle parole-chiave del Concilio. Riconciliazione è anzitutto parola pertinente per esprimere l’atteggiamento di fondo del Vaticano II: dopo un lungo periodo che aveva visto contrapposti la Chiesa da un lato e mondo, società, altre confessioni cristiane e religioni dall’altro, il Concilio si configurò come uno straordinario evento di ‘riconciliazione’. L’Autore ripercorre i passi in cui tale termine ricorre espressamente nel magistero conciliare, in particolare in Nostra Aetate, Unitatis Redintegratio e Lumen Gentium, per poi soffermarsi sulla recezione postconciliare, segnatamente per quanto concerne il rapporto con le altre Chiese e le relazioni all’interno delle comunità cristiane stesse.