L’interessante saggio di don Giuliano Zanchi, parroco e liturgista della diocesi di Bergamo, ci invita a un affascinante viaggio attraverso i significati assunti dall’edificio chiesa lungo la storia del cristianesimo. L’architettura, infatti, registra con sapienza la relazione che l’identità cristiana intrattiene con i mondi culturali che essa stessa abita, trasformando questo complesso di significati in edifici, di cui la chiesa rappresenta l’espressione più ricca e compiuta. Scorrendo le pagine che seguono, si è rapidamente condotti a scoprire anzitutto il significato umano del costruire e quindi i vari stili costruttivi che hanno interpretato gli assetti della relazione della Chiesa con le culture via via incontrate lungo la sua storia. Questo almeno fino a quando è stato possibile parlare di stile, cioè fino all’avvento della modernità che ha segnato la scomparsa delle condizioni di un’espressione stilistica unitaria. Questa fase storica più recente, che merita molta attenzione perché permette di meglio comprendere le incertezze dell’oggi, sarà illustrata nel prosieguo dello studio, che comparirà sul prossimo numero della Rivista.
La riflessione biblica di p. Stefano Bittasi S.J., della comunità milanese di Villapizzone, mette efficacemente a fuoco un tema centrale della spiritualità sacerdotale: il buon atteggiamento nella relazione verso i ‘lontani’. Questione divenuta cruciale poiché costoro, a vario titolo lontani dalla fede e dalla Chiesa, sono ormai la maggior parte delle persone che abitano i territori delle nostre parrocchie. L’Autore interroga tre testi evangelici cercando di isolare i caratteri originari dell’agire di Gesù, nella convinzione che niente di meglio possa essere escogitato quale ‘norma pastorale’ per l’agire del presbitero: «Per noi, invitati a conformarci sempre più alla figura dell’alter Christus nei confronti dei nostri fratelli e sorelle, l’agire di Gesù è un metro di paragone che senz’altro ci interpella a un “esame” della nostra prassi. Non è infatti né semplice, né scontato nella nostra realtà concreta custodire la mentalità di questo padrone e farla diventare fonte di discernimento pastorale e di azioni di annuncio della Buona Notizia».
Il compito del sociologo è come quello della sentinella, cioè quello di chi viene mandato in avanscoperta a cercare, a esplorare e sondare un nuovo territorio. È un ruolo oggi particolarmente prezioso, in una situazione sociale segnata da rapidi cambiamenti; per questo abbiamo proposto una breve intervista a Mauro Magatti, preside della Facoltà di sociologia dell’Università Cattolica di Milano, che permettesse di illustrare in poche pagine alcuni importanti elementi dello sfondo culturale che quotidianamente incontra oggi la progettazione pastorale. Gli abbiamo chiesto, in particolare, di illustrare le nuove, fondamentali, linee evolutive che percorrono la società contemporanea rendendola spesso estranea e ostica a un’azione pastorale che fino a un recente passato aveva ben funzionato. Le risposte, chiare e ricche di esemplificazioni, non rappresentano solo un utile strumento di aggiornamento, ma anche un invito a riflettere su quali siano oggi le reali priorità d’azione in un mondo nel quale la tecnica sta ridisegnando il profilo antropologico delle nuove generazioni e creando inedite forme di povertà.
Pubblichiamo la relazione tenuta da Mons. Renato Corti, vescovo di Novara, al Convegno nazionale degli educatori dei Seminari Italiani (Rocca di Papa, 2-4 luglio) su «La formazione dei presbiteri nella Chiesa italiana. Orientamenti e Norme per i Seminari». Il testo che qui presentiamo, dedicato alla «unitarietà del progetto educativo del Seminario», non ha la pretesa di essere esaustivo.Tenendo conto di quanto già detto nello svolgimento ricco e intenso del Convegno, intende privilegiare un unico sentiero, quello dei «soggetti» chiamati in causa perché si realizzi, almeno in certa misura, una convergenza sul progetto formativo del Seminario. La relazione, che si ispira al capitolo I protagonisti della formazione (nn. 64-78) del documento CEI La formazione dei presbiteri nella Chiesa italiana (2006) tiene presente soprattutto le esigenze del Seminario Maggiore ed esamina analiticamente il ruolo convergente che ogni soggetto, dallo studente al vescovo, può giocare in ordine alla finalità di «dare contenuto alla figura del prete».
La riflessione di p. Felice Scalia S.J., docente all’Istituto Superiore di scienze umane e religiose di Messina, ha sullo sfondo il tentativo di ripensare le dinamiche odierne della trasmissione della fede. In questo senso si pone sulla scia dello studio di J.L. Moral, pubblicato sul numero di settembre dello scorso anno, ma con un taglio notevolmente diverso: si tratta infatti di una narrazione, del racconto di quanto di significativo è stato appreso sul campo di una lunga esperienza di contatto con i giovani durante l’ora di religione. Nel contempo p. Scalia ci propone ben più di una narrazione, poiché dall’esperienza ha saputo distillare alcuni preziosi insegnamenti che costituiscono dei punti fermi in grado di far riflettere e aiutare chi ha a cuore i cammini di fede delle nuove generazioni. La prima parte dell’intervento è dedicata soprattutto alla descrizione dell’ambiente culturale giovanile, delle influenze che lo caratterizzano e alla decodifica dei linguaggi che lì vengono agiti. L’ Autore poi non rinuncia a focalizzare alcune vie, abbozzi di percorso, per parlare efficacemente di Dio alle nuove generazioni.