La fatica di trasmettere la fede alle nuove generazioni induce talvolta
a pensare che i giovani oggi siano ineluttabilmente estranei e
insensibili al cristianesimo. Non è di questo parere mons. Severino
Pagani, vicario episcopale per la Pastorale giovanile della diocesi di
Milano. La riflessione che qui pubblichiamo sottolinea infatti l’attualità
del Vangelo e la sua capacità di parlare oggi, suscitando sorprendenti
percorsi di fede e carità. La convinzione è sostenuta da un’approfondita
analisi dei caratteri peculiari – culturali e psicologici – di
questa generazione di giovani e, soprattutto, da una cordialità piena
di empatia. Il discorso qui sviluppato offre preziosi suggerimenti per
accostarsi realmente ai giovani, dedicando loro un’attenzione pastorale
che, ponendosi su una corretta lunghezza d’onda, permetta una
reale comunicazione, e quindi l’annuncio del Vangelo. Il saggio, che
propone le coordinate essenziali di un efficace accompagnamento
dei giovani alla fede, è stato preparato in occasione di una giornata
di studio del Centro di Spiritualità della Facoltà teologica di Milano
nello scorso gennaio 2008; verrà prossimamente pubblicato per i
tipi dell’editrice Glossa.
«Paolo VI ha dunque aperto un varco culturale per la Chiesa nel raffronto
con la modernità...»: così conclude il suo saggio Giselda
Adornato, collaboratrice dell’Istituto Paolo VI di Brescia ed esperta
studiosa della vita di Giovanni Battista Montini. Le pagine che seguono
documentano accuratamente la costante attenzione che Montini
dedicò in tutte le stagioni della vita alla ricerca di un rapporto fecondo
con la modernità. Un interesse per molti aspetti profetico, che si
estese a numerosi campi: dalle diverse espressioni della cultura (letteratura,
filosofia, arte) al mondo del lavoro, dalla politica nazionale
e internazionale all’ecumenismo e alla mondialità. Ricostruendo le
tappe della sua vita, lo studio mostra l’ispirazione e lo stile di un dialogo
con la modernità di grande valore e di indubbia attualità.
«Non è scontato che i preti parlino della loro fede, e parlino tra di
loro nella fede. [...] Questa comunicazione troverà luoghi e tempi
differenti ma rimane una necessità per la fede del prete: una fede
che non si racconta, non prende parola, muta, alla fine rischia di
morire; e vale anche per un prete». Queste parole di don Antonio
Torresin, presbitero della diocesi di Milano, ben delineano la centralità
del tema trattato, che mira al cuore della spiritualità sacerdotale.
A volte ciò che appare scontato rischia addirittura di venir
dimenticato. Così è per la fede del prete. Il merito di questo articolo
è proprio quello di affrontare un tema difficile con discrezione e
coraggio, anzitutto inquadrandolo nella storia della spiritualità sacerdotale,
interpretandolo poi alla luce dell’attuale teologia della fede,
infine declinandolo concretamente e suggestivamente secondo la
prospettiva del racconto lucano dei discepoli di Emmaus.
La questione della ‘partecipazione attiva’ è legata a una problematica
teologico-liturgica centrale, quella dell’efficacia del sacramento.
Infatti l’impostazione teologica del Vaticano II, in sintonia con quella
agostiniana, lega la fruttuosità della celebrazione sacramentale alla
partecipazione attiva e quindi: «dato che il sacramento è partecipazione
dell’evento di salvezza, chi partecipa al sacramento partecipa
alla salvezza. L’evento salvifico – non in se stesso, ma in tanto in
quanto i fedeli vi partecipano nel rito – è la grazia del sacramento».
Don Enrico Mazza, membro della redazione e docente di Storia
della liturgia all’Università Cattolica di Milano, ripercorre pazientemente
lo sviluppo di questa categoria dalla Inter sollicitudines (1903)
al Vaticano II, quando, nella Sacrosanctum Concilium, acquisisce un
rilievo centrale ponendo le basi per una più profonda trattazione
della causalità sacramentale.
Nella sequenza dei contributi dedicati all’importanza di un testo nell’esistenza
sacerdotale, quello che qui ospitiamo si caratterizza per
i toni vibranti della ricerca di un’intera vita. Con spirito di condivisione
e apertura p. Felice Scalia s.j., docente all’Istituto Superiore di
scienze umane e religiose di Messina, narra come un versetto
dell’evangelo di Giovanni (1,6) l’abbia guidato nel corso della sua
esistenza orientandolo infallibilmente verso il «Dio della vita». Si
tratta di una testimonianza appassionata, battagliera, con inevitabili
cenni autobiografici, che descrive realisticamente come ancor oggi
la Parola possa irrompere nella vita, anche al prezzo di un inevitabile
scompiglio.
1° dicembre presentazione in anteprima del primo volume della collana "Credito Cooperativo. Innovazione, identità, tradizione" a cura di Elena Beccalli.