L’anima torna a far parlare di sé, e a far discutere. Lo testimoniano
recenti, fortunate, pubblicazioni, ma anche le sempre nuove acquisizioni
delle neuroscienze che, sulla base dello studio del cervello, vogliono
rendere ragione della particolarità della persona umana senza
ricorrere allo spirito o a un principio di altra ‘natura’. Di fronte a
queste prospettive la teologia è provocata a interrogarsi sulla possibilità/
necessità di affermare negli umani un elemento che non si
identifichi con il cervello e neppure con l’energia che pervade l’universo.
Affronta questo compito il noto teologo mons. Giacomo Canobbio
che, dopo aver presentato le posizioni delle neuroscienze e
aver sinteticamente riletto la tradizione biblico-teologica sul tema
dell’anima, ricorda che essa rappresenta come un leitmotiv in tutto il
corso del pensiero occidentale. L’idea di anima mirava anzitutto a
salvaguardare la singolare origine e quindi l’unicità dell’essere umano
e, in secondo luogo, rappresentava il necessario presupposto per
destinare all’uomo la vita eterna. Ancor oggi «il termine “anima” è
lo strumento linguistico per dire che l’essere umano non può essere
equiparato alle altre creature; con esso si vuol indicare che l’uomo
ha un’origine e un destino originali, che si riflettono nel suo modo
di porsi di fronte al mondo e di fronte a Dio».
Non soltanto nel Nordeuropa o nel Nordamerica (luoghi ben conosciuti
dall’autore di questo articolo), ma ormai anche in Italia molte
diocesi oggi chiamano e destinano dei laici a svolgere un ministero a
servizio del Vangelo e a nome della Chiesa. Molte di esse hanno anche
ristabilito il diaconato. La diminuzione del numero dei preti ha di
sicuro favorito questo nuovo stato di cose, ma non può essere additata
come l’unica giustificazione. Ospitiamo volentieri al riguardo la riflessione
del prof. Gilles Routhier, teologo canadese ormai conosciuto
dai lettori della Rivista, perché ci aiuta a costruire un quadro
interpretativo capace di indicarci la giusta prospettiva nel leggere il fenomeno
in atto. Questi «nuovi ministeri» traducono nella pratica la
consapevolezza della comunità ecclesiale circa l’annuncio del Vangelo,
promossa dal Concilio Vaticano II. Questi nuovi ministeri sono perciò
una chance non soltanto perché permettono alla Chiesa di andare
avanti, ma soprattutto perché la riorientano alla missione in mezzo
agli uomini, avendo come obiettivo il Regno. Questi «nuovi ministeri»
sono un terreno nel quale la Chiesa è chiamata a misurarsi con una
grande scelta: o cercare continuamente rimpiazzi per riproporre un
modello istituzionale superato dai cambiamenti culturali in atto; o
osare il coraggio di re-istituire il campo del ministero ecclesiale, sicura
dell’assistenza di uno Spirito che non smette di accompagnare il
popolo di Dio dentro la storia degli uomini.
L’articolo di Matteo Nicolini-Zani, monaco della comunità ecumenica
di Bose, offre un quadro chiaro ed equilibrato dell’attuale situazione
della Chiesa in Cina. L’autore, forte di una conoscenza diretta
della realtà che descrive, fa giustizia degli stereotipi alla luce dei quali
in Occidente si è guardato alla Chiesa nella Repubblica popolare
cinese, particolarmente in riferimento alla sua relazione con il potere
politico. Ne emerge il ritratto di una Chiesa con un forte dinamismo,
molto variegata al suo interno, e alle prese con il compito
della riconciliazione tra le comunità di cui si compone: una sfida il
cui traguardo non è un’utopia, ma l’esito concretamente praticabile
di un percorso che richiede pazienza e comprensione reciproca.
Anche questa seconda parte dell’articolo di don Marco Pozza (cfr.
per la prima il n. 5/2009, pp. 350-361) evidenzia una profonda conoscenza
del mondo giovanile insieme ad una sapiente riflessione esistenziale.
L’attenzione viene qui concentrata su due ‘liberazioni’ invocate
dalla condizione giovanile: liberazione dal tempo e
dall’ambiguità del gesto. Infatti «la questione del tempo si rivela
tutt’altro che secondaria al fine di sanare l’immaginazione giovane
ferita e riscoprire l’importanza dell’affectus verso Dio», e insieme –
si interroga l’Autore in relazione alla gestualità – come è possibile
«spiegare l’abbraccio con cui si firma il segno della pace a giovinezze
abituate ad abbracciare tutto, tutti e ovunque?». Facciamo nostro
l’augurio conclusivo del saggio, che ne ribadisce anche la tesi di fondo:
Dio «non è stato dimenticato: questa è la consolante notizia. È
stato offuscato: ripulirlo è la sfida stilistica per un cristianesimo d’azione
e convinzione».
In quest’epoca segnata da modeste, se non assenti, passioni ideali e
civili, anche la menzogna sembra trovare cinicamente un suo ‘giustificato’
spazio pubblico. La riflessione di don Davide D’Alessio, docente
di Teologia fondamentale presso il Seminario di Seveso (MI),
riporta la menzogna alla profondità della sua radice teologica commentando
i noti testi di Giovanni 8 e Genesi 3. La Scrittura consente
di cogliere la logica profonda della menzogna, mostrando che,
contrariamente a quanto siamo indotti a pensare, essa non è semplicemente
contrapposta a verità, ma anche a vita e a libertà. L’ammonimento
è a non considerare la menzogna, di cui è padre il Maligno,
una cosa da poco. La rivelazione di Gesù – ricorda l’Autore –
rappresenta il momento di estrema chiarezza nella separazione fra
verità e menzogna: «Perdonando i suoi uccisori, ha confermato di
essere il Figlio che ha vissuto alla ricerca dei suoi fratelli. In questo
modo ha posto definitivamente una linea di demarcazione tra la verità
e la menzogna, tra la luce e le tenebre, tra l’Abbà, Padre, che ci
chiede di vivere come fratelli e il Dio, l’idolo, che ci comanda di crocifiggere
o lapidare un uomo!».
1° dicembre presentazione in anteprima del primo volume della collana "Credito Cooperativo. Innovazione, identità, tradizione" a cura di Elena Beccalli.