Leggendo la prima lettera ai Tessalonicesi, stupisce il rapporto che
lega l’apostolo alla comunità e la comunità all’apostolo: un rapporto
molto umano. Paolo è capace di sentimenti veri e profondi: l’amicizia,
l’affetto, la tenerezza, la nostalgia, l’ansia e la preoccupazione. La
comunità di Tessalonica è la sua famiglia. Penso che ci bastino alcune
rapide osservazioni: «Quanto a noi, fratelli, per poco tempo privati
della vostra presenza di persona ma non con il cuore, speravamo
ardentemente, con vivo desiderio, di rivedere il vostro volto» (2,17);
«Siete voi la nostra gloria e la nostra gioia» (2,20). Paolo è arrivato a
Tessalonica dopo gli oltraggi subiti a Filippi: 2,1 (At 16-17).
Preoccupato per i Tessalonicesi, non potendo recarvisi di persona, ha
inviato Timoteo, anche a costo di restare solo (3,1). Timoteo è ritornato
portando buone notizie (3,6): «Ma ora che Timoteo è tornato, ci
ha portato buone notizie delle vostra fede, della vostra carità e del
ricordo sempre vivo che conservate di noi, desiderosi di vederci,
come noi lo siamo di vedere voi». Paolo ricorre per esprimere i suoi
sentimenti a due paragoni umanissimi: come una madre e come un
padre. Non come una madre in quanto genera i figli, ma in quanto
li nutre e veglia su di loro: un amore che è insieme cura e tenerezza,
pazienza, come soltanto una madre ha per i suoi figli piccoli (2,7-8).
E poi l’amore di un padre che – anche quando i figli sono grandi – li
incontra uno ad uno, incoraggiandoli, esortandoli e scongiurandoli a
comportarsi bene (2,11-12).
L’era digitale si presenta come un mondo realmente nuovo, suscita
perplessità, disorientamento e perentorie condanne. Eppure è una
realtà che chiede di essere abitata, compresa e riorganizzata affinché
si possa continuare a comunicare, costruire vite sensate e quindi, anche,
diventare preti. Don Luca Bressan, docente di Teologia pastorale
alla Facoltà teologica di Milano e membro della redazione della Rivista,
propone qui un percorso di lettura dei tratti portanti della
cultura digitale, tenendo sempre sullo sfondo la questione della formazione
del presbitero, che verrà esplicitata in tutti i suoi risvolti pedagogici
nella seconda parte del saggio (pubblicata sul prossimo numero).
La riflessione si propone di affrontare a viso aperto le
complesse questioni antropologiche proposte dagli stili di vita introdotti
dalle recenti innovazioni tecnologiche: «Prima di lasciare che,
smarriti e un po’ persi di fronte all’entità dei mutamenti in atto, siano
le emozioni a decidere il nostro atteggiamento nei confronti di
una simile cultura, dobbiamo sforzarci di leggerla per quello che è:
uno spazio antropologico di costruzione delle identità umane».
La nota che segue affronta con decisione il compito di pensare il cristianesimo
del prossimo futuro a partire dalla concreta realtà pastorale
di una normale parrocchia della provincia bergamasca. Il significato
della riflessione qui proposta è accresciuto dal ruolo di parroco
del suo autore, don Alberto Carrara, che ha saputo lasciarsi interrogare
con onestà e realismo da alcuni fenomeni della ‘globalizzazione
quotidiana’ – quali l’immigrazione e l’internazionalizzazione del lavoro
– che ha investito molte nostre comunità, trasformandone radicalmente
la fisionomia. Questi nuovi elementi quasi costringono a
immaginare l’evoluzione del cristianesimo; la lettura proposta da don
Carrara fa leva sugli elementi ‘positivi’ che già ora si intravedono nella
vita parrocchiale, e abbozza l’immagine futura di una Chiesa comunità
battesimale che «sarà “di popolo” o non sarà, sarà “parrocchiale”
o non sarà. Ciò naturalmente comporta che la parrocchia
abbandoni le sue rigidezze. Quella che oggi è diventata la debolezza
della parrocchia, la sua fragilità, potrebbe diventare capacità di adattarsi,
duttilità: una Chiesa più “leggera” più fraterna, meno clericale».
In occasione del quinto anniversario della scomparsa di don Luigi
Giussani (22 febbraio 2010), presentiamo un’interessante riflessione
di don Julián Carrón, successore di don Giussani alla guida del movimento
ecclesiale di Comunione e Liberazione e docente di Introduzione
alla Teologia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore
di Milano. Il testo, che pubblichiamo per gentile concessione dell’Editrice
La Scuola, riproduce l’Introduzione a L. Giussani, Vivere intensamente
il reale. Scritti sull’educazione1 (Brescia 2010, a cura dello
stesso J. Carrón) e riassume efficacemente le linee guida dell’ispirazione
educativa del sacerdote milanese, che trovano fondamento
nella fiducia verso la capacità umana di arrivare al fondo del mistero
del reale comprendendone la profonda natura religiosa. Si innesta
qui la sollecitazione alla libertà delle coscienze giovanili che don
Giussani sapeva, con singolare genio, ridestare. E trova qui lo sfondo
di senso la proposta della fede che testimonia Gesù Cristo quale rivelazione
gratuita e definitiva del Mistero. La figura di don Giussani
si aggiunge così a quelle di Giuseppe Lazzati e don Lorenzo Milani,
rievocate sulla Rivista nei mesi scorsi, contribuendo ad arricchire
quei riferimenti esemplari che aiutano la comunità cristiana a fronteggiare
l’odierna «emergenza educativa».
Dopo la presentazione di mons. Gianni Ambrosio (sul fascicolo di dicembre 2009), ritorniamo con questo studio del teologo Paolo Colombo, direttore dell’Ufficio studi ACLI di Milano, Monza e Brianza, sull’ultima enciclica di papa Benedetto XVI. La complessità e l’attualità dell’insegnamento di questo importante documento richiedono analisi puntuali e tematiche, come quella qui prescelta, che affronta il rapporto fra sviluppo ed economia, questione al centro di molte discussioni seguite alla odierna drammatica crisi economica. L’analisi dell’enciclica mostra come essa abbia saputo raccogliere l’ispirazione profetica della Populorum progressio, aggiornandola alle problematiche attuali, e riproporre la visione dell’economia al servizio dello sviluppo integrale della persona.
«Preti e sposi cristiani? Due meraviglie della grazia, frutti dello stesso
albero, doni che si richiamano a vicenda, servitori e “padri” della
stessa vita che viene da Dio»: le parole conclusive dell’appassionata
riflessione di p. Felice Scalia S.J., docente all’Istituto Superiore di
scienze umane e religiose di Messina, ne sintetizzano la prospettiva
e offrono una chiave originale per riprendere i temi legati all’Anno
sacerdotale. Dopo la valorizzazione del sacerdozio battesimale, autorevolmente
rilanciata dal Concilio Vaticano II, si è proposto, in diverse
forme e modalità, il tema della sua cooperazione con il sacerdozio
ministeriale, limitandosi però sovente a una prospettiva
pratica di delimitazione materiale delle competenze. Padre Scalia
propone qui l’idea di comprendere i due sacerdozi nell’unico e fraterno
Popolo di Dio, a partire dall’unico sacerdozio di Cristo e dall’unica
radice battesimale, secondo la prospettiva di una mutua valorizzazione
che guarda all’‘altra vocazione’ come dono decisivo per
comprendere appieno la propria. Così anche povertà, castità e obbedienza
trovano comune radice, pur nella diversità delle pratiche quotidiane, in un’umanità liberata, capace di testimoniare eloquentemente il Dio amore.
Ogni anno circa un milione di persone nel mondo si toglie la vita;
un caso ogni quaranta secondi, stando ai dati dell’OMS. I tentativi di
suicidio sono stimati essere venti volte superiori a quelli portati a
termine. Negli ultimi quarantacinque anni la percentuale di casi è aumentata
del 60%. In tempi recenti il fenomeno riguarda sempre più
i giovani ed è tra le principali cause di morte per le persone di età
compresa tra 10 e 24 anni sia nei paesi sviluppati sia in quelli in via
di sviluppo. La ‘malaombra’ colpisce anche nelle nostre comunità,
specie nei territori alpini. Per questo la Caritas della diocesi di Como
ha recentemente promosso in Valtellina una ricerca sul tema, tesa
a indagare la percezione sociale del fenomeno. Il curatore dell’indagine,
Aldo Bonomi, sociologo, direttore dell’Istituto di ricerca
Aaster e consulente del Cnel, presenta qui alcune riflessioni a margine
dei dati raccolti. Ne emerge un quadro che non può lasciare
tranquilli, soprattutto a proposito dei disagi e delle fragilità che si insinuano
nella vita quotidiana di ognuno, spesso determinati dai mutamenti
economico-sociali che hanno investito quei territori. L’Autore
indica anche alcune ipotesi di lavoro che la comunità ecclesiale
potrebbe raccogliere per contribuire a dar vita a relazioni che integrino
buoni legami sociali e benessere economico.
Pubblicata la tesi di Caoduro, sul ruolo della diplomazia sportiva tra Stati Uniti e Cina, vincitrice della sezione Vita e Pensiero del Premio Gemelli.