Si conclude con queste pagine il trittico di articoli dedicati da mons.
Giacomo Canobbio ai cosiddetti novissimi (cfr. L’inferno in questione,
12/2009, pp. 825 ss. e Cosa resta del purgatorio? A proposito di una dottrina
dimenticata, 4/2011, pp. 239 ss.). Questi tre contributi di sintesi
concorrono ad ovviare a una sorta di afasia che talvolta affligge la comunità
cristiana a proposito del destino ultimo degli uomini. Tale destino,
stabilito da Dio per tutti, è la beatitudine. Esso è il fondamento
del desiderio di felicità che abita il cuore di ognuno, quel
movimento inesausto verso la pienezza, che anima la storia umana.
Pubblichiamo qui la seconda parte del saggio dedicato da Gilles Routhier, docente alla facoltà di Teologia dell’Università Laval, Québec, al dibattito sull’interpretazione del Concilio Vaticano II (per la prima cfr. il fascicolo 11/2011, pp. 744-759). L’Autore mette a fuoco lo sviluppo del tema a partire dal 1985, quando la discussione, segnata in modo decisivo dal confronto con la corrente lefevbriana, vede il progressivo affermarsi dell’idea di una ‘ermeneutica della riforma’, portatrice di un’idea complessa di tradizione, capace di andare oltre la giustapposizione fra le tesi che vorrebbero il Concilio in posizione di ‘rottura’ ovvero di ‘continuità’ col Magistero precedente. Secondo l’Autore, entrambe concluderebbero alla svalutazione del significato del Vaticano II, la prima considerandolo in diversi punti ‘eretico’, la seconda affermando che, alla fine, il Concilio non ha detto altro che quello che già era noto. Oltre questa riduttiva contrapposizione, la prospettiva di Benedetto XVI richiama che al tempo del Concilio tre grandi questioni attendevano una risposta: la relazione tra scienza e fede, fra Chiesa e Stato moderno, il pluralismo religioso; a tutte il Vaticano II ha dato una risposta che conteneva una certa forma di discontinuità, ma senza abbandonare la continuità dei principi, poiché, afferma il Papa, «è appunto in quest’insieme di continuità e di discontinuità a diversi livelli che consiste la natura della vera riforma».
Contrariamente a quanto si è sovente tentati di pensare a fronte delle
difficoltà che la quotidiana azione pastorale presenta, anche la nostra
epoca, al pari di ogni epoca, è propizia all’annuncio del vangelo; e la
Scrittura ha un ruolo decisivo in questa direzione. Queste le tesi dell’articolo
di Marco Tibaldi, docente di Introduzione al mistero cristiano
e Antropologia teologica presso l’ISSR di Bologna, completate da
una precisazione fondamentale: il messaggio può arrivare al destinatario
solo se comunicato con rispetto e accoglienza, secondo lo stile del
discorso di Paolo all’Areopago. Ciò non avviene quando si tende a giudicare
l’interlocutore, senza capire le istanze contenute nei suoi simboli,
pur anche ‘scandalosi’. L’analisi di alcuni programmi televisivi di
successo consente all’Autore di cogliere due sottolineature particolarmente
importanti per il contesto dell’annuncio oggi, che da un lato
richiede con forza chiavi interpretative dei vissuti quotidiani (la seduzione,
l’amore, le ferite piccole o grandi che si manifestano nelle relazioni…),
dall’altro valorizza la capacità della narrazione biblica di mettere
a tema in modo avvincente e convincente proprio queste
tematiche: «Ciò risulta altamente efficace sia per riagganciare coloro
che si sentono lontani, vista la capacità di immedesimazione che possono
generare i testi narrativi, sia per annunciare la Buona notizia che
innerva tutte le Scritture e i Vangeli in modo del tutto particolare».
La vita consacrata, segnata negli ultimi anni da cambiamenti radicali,
è continuamente stimolata a rinnovare la riflessione sulla sua identità
nella Chiesa e nel mondo d’oggi. Sr. Rosina Barbari, religiosa milanese
delle suore domenicane di santa Caterina da Siena, offre il
suo contributo nel pensare questo processo di cambiamento rivisitando
due indicazioni offerte dal Concilio Vaticano II: la vocazione
universale alla santità e la bontà delle realtà terrene. Le considerazioni
proposte cercano di rileggere il carisma della vita religiosa alla
luce delle due direttrici conciliari, condizione perché essa possa
superare una diffusa immagine di scarso dinamismo e di pallida identità
specifica, sovente assimilata all’opera o al ‘fare’ di una comunità,
ma irrilevante su piano della testimonianza. Secondo l’Autrice la vita
religiosa trova ancor oggi uno spazio proprio nel ‘luogo’ della santità
ecclesiale, partecipando alla costruzione di un mondo buono anzitutto
in tre luoghi di ‘inserzione’: in prima istanza tra i poveri,
quindi in tutti i campi della ricerca umana aiutando a elaborare norme
che guidino un progresso ‘giusto’, infine, ai margini del mondo,
nella ricerca di equilibrio tra un giusto utilizzo di mezzi tecnologici
e l’eccesso dell’avere. I consacrati si pongono così «dentro la vita
nelle realtà dove vivono, con le persone che incontrano. La vita consacrata
non può viversi a parte, con il proprio carisma, le proprie attività.
C’è da stare nel mondo, disponibili a perdere l’idea di far svettare
la bandiera dei propri carismi».
Presentiamo qui l’intervento che il prof. Gian Luca Potestà, ordinario
di Storia del cristianesimo presso l’Università Cattolica del S. Cuore
di Milano e membro della redazione, ha tenuto lo scorso agosto a
Canale d’Agordo in occasione della presentazione di un recente volume
su Albino Luciani. Il testo rappresenta una preziosa occasione
per tornare con una panoramica finalmente completa sulla figura di
Giovanni Paolo I e sul suo percorso episcopale, profondamente segnato
dalla partecipazione al Vaticano II e dagli sforzi per attuarlo a
Vittorio Veneto e poi a Venezia.
Il 13 giugno a Roma si parla di "Sud. Il capitale che serve" di Borgomeo con Quagliarello, Francesco Profumo, Graziano Delrio, Nicola Rossi e Raffaele Fitto.