Abbiamo assistito in questi ultimi anni alla rapida erosione dei linguaggi
e dei gesti elementari per comunicare il senso delle cose di
ogni giorno che, come tali, determinano la strutturazione dell’identità
di singoli e società. Da questo processo non sono certo escluse le
questioni e le pratiche della fede. La pastorale odierna più avvertita
cerca di ovviare con generosità a questo scollamento, grazie ad approcci
diversi, riferiti alla ‘nuova evangelizzazione’ e declinati come
‘primo’ o ‘secondo annuncio’ e ‘modello catecumenale’. A volte però
questi nuovi stili pastorali rischiano di segnare una rottura netta con
la pratica religiosa ancora in corso. Don Giovanni Cesare Pagazzi,
docente di Teologia sistematica presso la Facoltà teologica dell’Italia
Settentrionale di Milano, mette in guardia da questo pericolo, riprendendo
dalla Scrittura note di metodo e di stile che offrono un sicuro
riferimento ai pur necessari processi di innovazione pastorale.
A partite dal movimento fondamentale di novità e ripetizione – la
Bibbia non procede per sostituzioni, ma sempre per riprese – lo
studio sottolinea a mo’ di necessari corollari la capacità evangelica
di stimare l’interlocutore e il saper scegliere ‘prese’ antropologiche
sicure (che sappiano sostenere una ripresa della fede), come la generazione,
l’abitazione, il nutrimento, le tensioni dell’età di mezzo.
Secondo questa prospettiva tutti «gli adulti a noi affidati – risultato
di stili e metodiche pastorali che potremmo considerare un po’
stanche e di esperienze complesse e poco decifrabili – permettono
comunque una presa, propiziante la nostra ri-presa la quale quindi
non parte da un “punto zero”, ma da un vissuto storico, comprendente
magari un itinerario (un po’ confuso e ambivalente) di fede».
La liturgia possiede un’intelligenza originaria del mistero della realtà,
di Dio e dell’uomo che si estende anche alla comprensione del
tempo e della storia. Guidato da questa premessa, Goffredo Boselli,
monaco della comunità ecumenica di Bose, rilegge la Preghiera eucaristica
IV, che si presenta come una vera e propria ‘liturgia del tempo’
poiché richiama e sintetizza l’intera economia di salvezza svelandone
il senso. Essa «ripercorre i “tempi” della storia della salvezza – la
creazione, le alleanze, la profezia, l’incarnazione, il Regno e la parusia
– come fossero movimenti di una sinfonia che si concatenano mantenendo
intatto il tema centrale dell’azione di grazie». Il prefazio e la
grande anamnesi della storia salvifica dopo il sanctus ne rappresentano
i primi due grandi movimenti, qui oggetto di commento, entrambi
convergenti nell’annuncio che Cristo è il principio e la fine del tempo:
la liturgia dispiega qui pienamente il suo tenore teologico, essa
«è vangelo sine glossa, è liturgia della nuova alleanza che, portando la
genuina novitas cristiana, offre all’umanità il vino nuovo che è Cristo».
In queste pagine p. Pietro Bovati – gesuita, professore emerito di
Esegesi dell’Antico Testamento presso il Pontificio Istituto Biblico –
propone un efficace saggio di lettura dei Salmi 50 (su questo numero)
e 51 (sul fascicolo di novembre), considerati nella loro intrinseca
relazione. Sullo sfondo di questa interpretazione sta l’assunto che la
preghiera dell’uomo biblico è una risposta a quel Dio che misteriosamente
si manifesta nella storia e che l’orante rende presente nei
diversi toni del suo vissuto, sia esso la lode o la supplica. In questo
senso, condizione di verità della preghiera – mai da dare per scontata
– è l’intimo legame tra l’esperienza del credente e le parole che
le danno voce davanti a Dio. Al di fuori di tale legame sta la fi nzione
della recita, rischio a cui l’uomo religioso sempre è esposto. Questa
sensibilità per l’esistenza e il suo signifi cato conferisce particolare
vivezza all’esegesi del ‘Miserere’ sviluppata da p. Bovati, aiutando a
capire chiaramente le dinamiche implicate nel cammino che, attraverso
la conversione, conduce alla salvezza. Il testo che qui anticipiamo
fa parte del volume Nei paesaggi dell’anima. Come i salmi diventano
preghiera, a cura di M.I. Angelini e R. Vignolo, edito da Vita e Pensiero,
in libreria alla metà di novembre. Il libro si propone di introdurre e
accompagnare i lettori a una maggiore familiarità con il Salterio, vero
e proprio paradigma della preghiera.
La denuncia e la meticolosa analisi dei motivi della vistosa crisi del
sacramento della Penitenza hanno ormai fatto il loro tempo. La stagione
attuale dovrebbe invece essere orientata dalla preoccupazione
di fare almeno ciò che onestamente è possibile realizzare. Guidato
da questa premessa, don Alberto Carrara, parroco, ora delegato episcopale
per la cultura e gli strumenti di comunicazione sociale nella
diocesi di Bergamo, propone alcune rifl essioni sull’odierna crisi della
prassi penitenziale. Il primo evidente motivo di difficoltà è ravvisato
nella diffusa inadeguatezza celebrativa: «il rito della Penitenza si
è progressivamente, lentamente destrutturato», si è «scarnificato»
perdendo in parte i suoi connotati ‘oggettivi’, rituali, e ciò ha gradualmente
contribuito a trasformarlo in un confronto personale con
il confessore. Don Carrara peraltro valorizza il risvolto positivo di
questo mutamento cogliendo come il quarto sacramento si ponga
così come il luogo di incontro di un doppio movimento, dal rito alla
vita e viceversa. Questa nuova domanda dei fedeli potrebbe essere
colta come portatrice di istanze di riforma della pratica penitenziale,
come già accaduto nella storia di questo sacramento, le cui forme
celebrative sono molto mutate lungo i secoli.
Il saggio di Luca Diotallevi, docente di Sociologia all’Università di Roma
TRE, interroga il senso dell’istituto matrimoniale a partire dall’interesse
pratico della sua relazione col bene comune. L’approccio
consente di superare polarizzazioni ideologiche a proposito di un
tema di grande attualità che spesso non trova una trattazione che
ne colga l’intimo nesso con l’edifi cazione della civitas, cioè con la sua
valenza nel costruire quei beni che sono indispensabili al vivere dei
membri di una società. L’indagine sulla relazione tra bene comune e
i caratteri del matrimonio messi in luce dal Magistero della Chiesa
cattolica mostra come il matrimonio sia una condizione non sufficiente ma necessaria al bene comune e quindi come sia impossibile
concepire e perseguire un bene comune che non contempli anche
il riconoscimento e la tutela dei diritti dell’istituzione matrimoniale.
L’Autore si dichiara convinto che questo sia il corretto approccio
al tema del rilievo civile del matrimonio. Annoverare il matrimonio
«dentro la lista corta e varia degli elementi costitutivi del bene comune,
definisce questo e conferisce forza a quello. […] Al contrario,
impropri e infondati eccessi non fanno altro che gettare sospetto sul
matrimonio e contemporaneamente impoveriscono o banalizzano
la nozione di bene comune».
Sabato 16 dicembre presentazione di "Le fiabe non raccontano favole" di Silvano Petrosino a Verona: diventare donna attraverso Cappuccetto Rosso, Biancaneve e Cenerentola.
Un estratto dal libro "Si destano gli angeli" di Tomáš Halík, per confortare, incoraggiare e ispirare “chi è ancora in cerca di altro” in questi tempi difficili.
Il magazzino Vita e Pensiero resterà chiuso per le festività dal 24 dicembre. Prima della chiusura sarà possibile spedire i volumi ordinati entro la mattina del 19 dicembre. Le spedizioni riprenderanno regolarmente l'8 gennaio 2024. Puoi acquistare e scaricare articoli digitali e ebook in ogni momento, anche durante la chiusura. BUONE FESTE!