L’ampio sottotitolo indica la traccia di un itinerario di antropologia
fondamentale senza il quale le tre azioni dell’educare, evangelizzare
e perseguire una vocazione sono destinate a rimanere senza frutto.
Rinaldo Ottone, docente di Teologia fondamentale all’Istituto di
scienze religiose di Belluno, propone un quadro di lettura dell’esistenza
umana che mantiene la sua coerenza di sviluppo solo a partire
dal senso dischiuso dall’azione di Dio, che è quella di un ‘sì’ positivo
e pieno che continua a pronunciare sulla vita di ogni persona. La
scoperta della propria vocazione è per l’uomo la possibilità non solo
di confermare una simile iniziativa, ma di corrispondervi in maniera
libera e creativa in vista di una collaborazione non preordinabile. In
questo quadro trovano senso sia l’educazione, intesa come apertura
di credito verso l’imprevedibile futuro di ogni persona, sia l’evangelizzazione,
intesa quale capacità di accendere i sensi spirituali e intuire
le cose che ancora non sono. «L’evangelizzazione, l’educazione
e la vocazione si incontrino in una chiamata paradossale ad andare
“oltre se stessi”: da un lato, l’uomo non può fare cose superiori alle
sue potenzialità, eppure, da un altro lato, egli diviene veramente se
stesso solo quando va oltre se stesso».
L’Anno della fede vede le comunità cristiane impegnate nella ripresa
dei tratti fondamentali del credere. Come sovente accade affrontando
i temi centrali del cristianesimo, non è sempre agevole trovare
una buona mappa comunicativa, suffi cientemente chiara e lineare,
e così anche un linguaggio e una concettualità all’altezza dei tempi.
Il saggio di don Mario Antonelli, docente di Teologia fondamentale
presso il Seminario di Seveso (diocesi di Milano), viene incontro a
queste esigenze proponendo con chiarezza i tratti essenziali della figura cristiana del credere. Si tratta di una riflessione originariamente
pensata per orientare il servizio dei catechisti e per questo risente
di alcune necessarie semplifi cazioni. Conserva tuttavia l’apprezzabile
caratteristica di una proposta organica e genuinamente cristocentrica,
che delinea anzitutto il signifi cato antropologico del credere
in Gesù come tangibile tratto esistenziale, oltre le infauste, e ancor
diffuse, curvature intellettualiste e moraliste. La fede, se intesa come
«come configurazione spirituale a Gesù», porta con sé naturalmente
l’invito a credere ‘come Gesù’ e quindi a far unità dei modi del credere
con i contenuti della fede stessa. In modo che ogni pensiero e
azione in tema di fede e della sua comunicazione ritrovi la sua ragione
profonda nel mistero di Gesù, «così che quel dato dottrinale sia
“saputo” e quella norma ecclesiale sia “praticata” proprio a partire
da una personale e affettuosa intimità con Gesù e in vista di una sua
realizzazione sempre più autentica».
Nella prima parte del suo saggio (10/2012, pp. 692-703), p. Bovati –
gesuita, professore emerito di Esegesi dell’Antico Testamento presso
il Pontificio Istituto Biblico di Roma – aveva analizzato il Salmo 50,
preghiera davvero unica nel suo genere, perché è solo Dio a prendere
la parola per denunciare la trasgressione e ammonire il ‘malvagio’.
In questo prosieguo del saggio, l’Autore si sofferma sul Salmo 51, il
celebre miserere di Davide. Esso è letto, anche in forza della sua collocazione
redazionale, come risposta al penitente Davide all’accusa
formulata nel precedente Salmo 50. Alla parola di denuncia corrisponde
così il riconoscimento della colpa e la fi ducia nella misericordia
del Signore come unica via della giustifi cazione e della salvezza.
Il rapido e pervasivo processo della globalizzazione pone le comunità
cristiane sempre più spesso in relazione con persone appartenenti
a religioni diverse dal cristianesimo. Si tratta certo di un’opportunità
preziosa, che tuttavia porta con sé non pochi interrogativi
teologici e pastorali. In questa prospettiva si coglie l’utilità della riflessione di Matteo Nicolini-Zani, monaco della comunità ecumenica
di Bose, che presenta i paragrafi dell’esortazione post-sinodale
Verbum Domini dedicati al dialogo interreligioso. Il breve testo viene
opportunamente inquadrato nel pensiero magisteriale conciliare e
postconciliare sul tema, precisando correttamente il senso teologico
del dialogo, e quindi analizzando le questioni del ‘con chi’ e ‘come’
dialogare. Il pensiero della Chiesa ricorda che il dialogo con i fedeli
delle altre religioni, pur mirando a «una mutua conoscenza e un reciproco
arricchimento», e auspicando la piena reciprocità, tuttavia non
la può esigere come sua conditio sine qua non: «Il dialogo cristiano è
fatto di amore gratuito e preveniente, che non si arresta e non si
misura sul grado di risposta dell’interlocutore».