Lo scorso mese di ottobre si è svolta in Vaticano la XIII Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi, chiamata a riflettere sulla nuova evangelizzazione e sulla trasmissione della fede cristiana. Chiudendo l’assise, mentre ringraziava tutti coloro che vi hanno preso parte, Papa Benedetto XVI così l’ha descritta: «Abbiamo sentito come la Chiesa anche oggi cresce, vive. Anche se la Chiesa sente venti contrari, tuttavia sente soprattutto il vento dello Spirito Santo che ci aiuta, ci mostra la strada giusta; e così, con nuovo entusiasmo, mi sembra, siamo in cammino e ringraziamo il Signore perché ci ha dato questo incontro veramente cattolico». Le parole del Papa ci permettono di intuire in modo immediato l’importanza e il carattere di essenzialità di questo Sinodo per la vita odierna della Chiesa. Pubblichiamo volentieri l’intervento dell’Arcivescovo di Milano, il card. Angelo Scola, che proprio dall’interno di questa esperienza, essendo stato lui padre sinodale, ci aiuta a coglierne le principali dimensioni e prospettive. E soprattutto ci permette di vedere le risorse e le energie che questo Sinodo ha saputo donare, per abitare con scioltezza e con la forza che viene dal Vangelo questo tempo impegnato in un travaglio culturale dalle dimensioni inedite.
Il rinnovato slancio all’evangelizzazione segnato dal recente Sinodo non può prescindere dall’interrogarsi sull’efficacia comunicativa di questo sforzo, e in particolare sull’adeguatezza delle categorie teologiche impiegate nel far risuonare il kerygma per i nostri contemporanei. In questo contesto la ricerca ‘teosemiotica’ si propone quale strumento interessante. Essa applica infatti le regole e i meccanismi della comunicazione agli elementi costitutivi della religione cristiana, in particolare la rivelazione e la fede, per coglierne il singolare codice comunicativo. Don Marco Tibaldi, docente di Introduzione al mistero cristiano e Antropologia teologica presso l’ISSR di Bologna, che di questa giovane disciplina è portavoce, ne presenta qui le linee ispiratrici e i fondamenti teorici. L’interessante articolo, che limita all’essenziale i riferimenti tecnici alla semiotica, propone in chiave esemplificativa un breve saggio di lettura di Gen1. Essa permette agevolmente di comprendere i vantaggi di questo approccio, orientato a cogliere il codice espressivo proprio della rivelazione cristiana, nella convinzione che «ciò che un annunciatore moderno […] che si voglia porre al servizio della nuova evangelizzazione deve fare, si riassume nella capacità di fornire ai propri interlocutori quel codice necessario per interpretare i segni che convergono nell’unico segno della croce di Gesù e della sua risurrezione».
La devozione al Sacro Cuore di Gesù sembra ormai entrata a far parte del novero delle buone e sante pratiche spirituali del passato, ricordo di una religiosità ormai al tramonto. La riflessione di don Ezio Bolis, docente di Teologia spirituale presso la Facoltà teologica dell’Italia settentrionale, intende invece mostrare come la devozione al Cuore di Gesù non sia solo una tra le tante, ma giochi un ruolo centrale nella fede cristiana perché tocca in modo del tutto speciale il ‘centro’ cristologico della fede. Essa infatti ha costituito lungo i secoli dal XVIII all’inizio del XX un solido riferimento cristocentrico per la pietà popolare – il ‘cuore’ dice infatti un punto di vista ‘sintetico’ su Gesù Cristo – favorendo in particolare la riscoperta della corporeità dell’uomo Gesù e l’umanità di Dio in Gesù Cristo, durante una stagione in cui la fede rischiava di essere pensata in chiave puramente intellettuale. Per questi motivi, al di là del notevolissimo merito assolto nel passato nel mantenere una fede viva, la devozione al Sacro Cuore potrebbe ancor oggi contribuire a dare corpo ed espressione a elementi fondamentali della vita cristiana, quali il senso cristiano della sofferenza o l’istanza della ‘interiorità’ della fede.
Lo scorso 26 ottobre si è tenuta presso l’Università Cattolica, per iniziativa del Dipartimento di Scienze religiose, una giornata di studio su Louis Massignon a cinquant’anni dalla morte. Orientalista e professore al Collège de France, Massignon è stato un intellettuale di primo piano della cultura francese e del cattolicesimo contemporaneo. Formatosi nel clima della laïcité di fine Ottocento, si convertì nei primi anni del secolo divenendo corrispondente e amico di Claudel e Maritain. L’autore delle Tre preghiere di Abramo scomparve pochi giorni dopo l’inizio del Vaticano II. Non è solo la coincidenza celebrativa a unirli nel ricordo. La sua lezione resta infatti ben riconoscibile nei documenti conciliari, che, richiamandosi alla professione della fede di Abramo comune a cristiani e musulmani, affermano che entrambi i popoli sono abbracciati dal Creatore nell’unico disegno salvifico, in quanto «cercano di sottomettersi con tutto il cuore ai decreti di Dio anche nascosti, come si sottomise pure Abramo» ("Nostra aetate", 3). Fra gli interventi del convegno spicca la relazione introduttiva in cui Maurice Borrmans, professore emerito del Pontificio Istituto di Studi Arabi e d’Islamistica, traccia un profilo biografico e dottrinale del pioniere del confronto e del dialogo islamo-cristiano.
L’attenzione ai novissimi non è certo tratto saliente dell’odierna sensibilità credente. Appare quindi opportuno segnalare il saggio di mons. Giacomo Canobbio, "Destinati alla beatitudine. Breve trattato sui novissimi" (Vita e Pensiero, Milano 2012), qui recensito dal prof. Francesco Tomasoni, docente di Storia della filosofi a all’Università del Piemonte orientale. La riflessione del noto teologo bresciano si fa carico di ripensare secondo categorie comprensibili alla sensibilità dell’uomo contemporaneo i principali significati legati al compimento della vita umana in Cristo. Concetti quali destinazione, anima, paradiso, morte, giudizio, purgatorio, sono ricompresi in dialogo con importanti voci, laiche e credenti, della nostra cultura, ridando efficacemente voce alla fede cristiana che vede «anche nel morire, che si profila all’orizzonte e getta la sua ombra su ogni istante della vita, un atto di vita, perché consegna di sé alla Fonte della vita, che ha destinato gli uomini alla beatitudine».
Ci sembra opportuno accompagnare la serie di studi sul Concilio Vaticano II recentemente apparsi sulla Rivista con una testimonianza di chi ha vissuto in presa diretta quegli anni. La ricostruzione degli ‘anni del Concilio’ proposta dal prof. Massimo Marcocchi, già docente di Storia del cristianesimo presso l’Università Cattolica di Milano, rievoca le forti aspettative, rievoca gli slanci intellettuali e le appassionate azioni di rinnovamento che il Vaticano II ebbe a suscitare. Restituire la memoria degli ‘effetti’ del Concilio sui molti giovani credenti di quegli anni aiuta a comprenderne la straordinaria importanza per quell’epoca, ma anche per la nostra.
1° dicembre presentazione in anteprima del primo volume della collana "Credito Cooperativo. Innovazione, identità, tradizione" a cura di Elena Beccalli.