La chiusura dell’Anno della fede, inaugurato da Benedetto XVI e terminato
da papa Francesco, è occasione propizia per riprendere la
Lumen fidei, che di quest’anno e del passaggio di pontificato in esso
accaduto rappresenta l’icona prospettica. Don Alberto Cozzi, docente
di Teologia dogmatica presso la Facoltà teologica dell’Italia settentrionale,
legge in questa chiave la recente enciclica ed evidenzia come sia
caratterizzata da una «differenza di stile o di accenti nella continuità».
Ritrova inoltre nel testo i segni di un’articolazione che, pur motivata
dalla medesima intenzione di offrire ai nostri contemporanei risposte
conformi alle istanze della «sana ragione», apre con fiducia alla capacità
della fede stessa di far luce, riflesso in noi dello sguardo di Cristo. La
prima enciclica di papa Francesco ci fa capire – afferma l’Autore – le
sue preoccupazioni di inizio pontificato: la luce della fede, che illumina
tutta la realtà, muove anzitutto da un cuore toccato dall’amore di Dio.
Qui sta l’origine dello stile di Francesco, che sta aprendo alla fiducia e
alla speranza il cammino della Chiesa in questo tempo.
Prosegue la riflessione condotta da don Ugo Lorenzi – docente di
Catechetica al seminario di Milano e alla Facoltà dell’Italia settentrionale
– sull’iniziazione cristiana dei ragazzi. Nel primo contributo,
(9/2013, pp. 565-590) l’Autore aveva illustrato sei punti qualificanti
per un rinnovamento dell’itinerario dell’iniziazione. In questo secondo
contributo viene tratteggiato, in forma di descrizione e quasi di
racconto, un possibile svolgimento della parte iniziale del percorso,
dal battesimo al primo anno di completamento dell’ICR con i bambini
e le famiglie. Naturalmente si tratta di un’esemplificazione che
offre un’immagine determinata di come progettare e realizzare un
cammino di iniziazione nel concreto della realtà pastorale: gli spunti
che il lettore potrà ricavare sono molteplici e persuasivi.
Nel quadro delle celebrazioni dell’Anno costantiniano, si è tenuto
lo scorso ottobre, presso l’Aula Magna della sede milanese dell’Università
Cattolica del Sacro Cuore, il convegno filosofico-teologico
Religioni, libertà e potere. Dedicato al delicato e attuale problema della
libertà religiosa, ha affrontato la questione da molteplici punti di vista.
Presentiamo qui l’intervento della prof.ssa Silvia Scatena, docente
di Storia contemporanea all’Università di Modena e Reggio Emilia.
Il contributo ha offerto, nel quadro della sessione dedicata al rapporto
fra religioni e istituzioni pubbliche, un profilo della complessa
elaborazione della Dignitas Humanae, la Dichiarazione conciliare che
ha profondamente rinnovato il linguaggio cattolico nell’affrontare il
tema della libertà religiosa, dilatandolo oltre l’ambito del dialogo ecumenico
e inaugurando un nuovo paradigma nel modo di porsi della
Chiesa di fronte alle moderne società democratiche e ai loro valori
fondanti. «Se l’idea della dignità dell’uomo, concepito a immagine del
Creatore e chiamato a divenire figlio adottivo di Dio, apparteneva
alla più originaria eredità della dottrina cristiana, la traduzione sociale
e politica di tale dignità rappresentava evidentemente invece un
decisivo elemento di svolta… La Dignitatis humanae stabiliva l’imprescindibilità
del nesso fra questa stessa dignità e i diritti e le libertà nei
quali la prima non può fare a meno di concretarsi: non c’è cioè un
autentico riconoscimento della dignità della persona se questa non
può effettivamente esercitare i diritti, dunque inalienabili, e le libertà
che le sono propri».
I personaggi dei vangeli, e in particolare di quello di Marco, sono interamente
attraversati da una tensione ad avvicinare, scrutare e trovare
Gesù. Nel suo suggestivo e acuto saggio don Antonio Torresin,
presbitero della diocesi di Milano, analizza i molti movimenti di questi
cercatori di Gesù, ritrovando le costanti di un’attrazione esercitata
da moventi fra loro eterogenei e teologicamente contraddittori, che
però Gesù accoglie e corregge, purificandoli e insieme valorizzandoli
quali occasioni di conoscenza della sua singolare signoria. Fino
alla passione Marco descrive il medesimo paradosso: chi lo confessa,
subito dopo non lo capisce, e chi si mette sulla sua strada si trova
sempre un passo indietro, perché egli resta imprendibile; solo in quel
momento finale, «mentre elude ogni ricerca di carattere “captativo”
e “regressivo”, si consegna ai nemici e agli amici (nel momento in cui
lo rinnegano e lo tradiscono) perché solo come perdono e misericordia
può essere trovato».