Cristianesimo come religione dell’amore. L’identifi cazione è immediata, ma spesso rischia di trasmettere un’immagine edulcorata della fede cristiana, che invece ha a che fare, in modo speciale, anche con la violenza e il male. Il priore di Bose ha affrontato questo tema in un libro pubblicato recentemente da Vita e Pensiero, La violenza e Dio, di cui riportiamo il capitolo introduttivo. Il libro considera a viso aperto quei testi biblici (in particolare i salmi imprecatori) che siamo soliti frequentare poco perché ricchi di immagini di violenza che disturbano la nostra sensibilità. Una violenza che viene portata davanti a Dio come grido di dolore, invocazione di liberazione, ma anche invettiva. L’esperienza del male appartiene alla vita. La Bibbia lo sa bene e ne parla senza filtri o eufemismi, senza paura di dar voce a tutto l’uomo. E insieme di dargli un senso e una speranza.
Le ricerca di don Mario Antonelli, docente di Teologia fondamentale presso il Seminario della diocesi di Milano, affronta un tema teologico delicato, che non può vantare una lunga storia alle spalle, precluso in radice dalla tradizionale impostazione della teologia dogmatica che, riconoscendo in Gesù la piena coscienza di essere il Figlio di Dio, escludeva che potesse darsi anche qualcosa come una fede. L’aggiornamento teologico favorito dal Vaticano II ha consentito una considerazione storico-evangelica e quindi più realistica dell’esperienza ‘teologica’ di Gesù, proteggendo insieme il mistero della sua singolarità. Anzi, afferma don Antonelli, «la differenza tra la relazione di Gesù con il Padre e la nostra relazione con il medesimo Padre resta, monumentale, a raccomandare una sacrosanta cautela nel pensare la “fede” di Gesù», come del resto indica univocamente la tradizione teologica. In questa prospettiva del tutto rispettosa rimane aperto lo spazio che permette di pensare l’identità personale di Gesù nella sua forma più propria in termini di ‘fi ducia del Figlio’: «L’esistere di Gesù è attraversato da questo affi damento filiale che sempre avviene nella visione singolare del mistero del Padre; anzi, a partire dalla visione del Padre e del suo pathos. Il suo affi damento filiale viene dispiegandosi non nonostante la sua visione immediata di Dio, ma in base a questo vedere e ascoltare Dio, per via di questo sentire e provare Dio».
Don Antonio Facchinetti, Direttore dell’Uffi cio Catechistico di Cremona, propone qui un’ampia e approfondita disamina di uno dei temi più delicati e disattesi della cura pastorale odierna, la catechesi degli adulti. La riflessione affronta dalla radice la problematica, situandola nel contesto culturale ed ecclesiale odierno e recensendo le molteplici forme che la pastorale ha saputo proporre negli ultimi anni per superare classiche ‘catechesi al popolo’, sempre più disertate. La lettura dell’esistente e delle problematiche che reca con sé porta l’autore a perorare una catechesi degli adulti intesa quale ‘secondo annuncio’, con l’avvertimento che il secondo annuncio, sia ai pra ticanti sia a chi ha perso i contatti con le nostre comunità ecclesiali, non è semplice: «Niente di più diffi cile che stupire dei cristiani praticanti o abitudinari: tutto il vangelo è diventato conosciuto, ovvio, scontato. È il grande problema delle rappresentazioni religiose, che in molte persone costi tuiscono un ostacolo alla fede perché veicolano immagini di Dio, della Chiesa, della morale... distorte e dannose. Il secondo annuncio è davvero il problema fondamentale delle nostre parrocchie e la sfida più grande del contesto culturale italiano».
Pubblichiamo l’intervento che il prof. Francesco Botturi, docente di Filosofia morale all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, ha tenuto lo scorso settembre a una rappresentanza qualificata del clero della diocesi di Milano. La densa rifl essione si propone di favorire la comprensione delle dinamiche attuali del processo di secolarizzazione a partire da una chiarificazione della sua origine e del suo sviluppo storico. Tale prospettiva consente l’individuazione del suo nucleo profondo, una vera e propria trasformazione dell’umanesimo cristiano nella forma di umanesimo razionale superiore. Infatti, se si tiene conto «della natura della secolarizzazione come discussione e crisi dell’umanesimo cristiano, ora che il processo della secolarizzazione è giunto al termine, si impone il compito di misurarsi con il vero nucleo del problema, che pone di fronte alla decisione circa quale posizione culturale e pastorale prendere, diventando così attori protagonisti del problema e non restando suoi passivi ricettori o risentiti avversari».
Cade in questi giorni il cinquantesimo anniversario della promulgazione di Sacrosanctum concilium. La ricorrenza offre a Goffredo Boselli (monaco della comunità di Bose ed esperto presso la Commissione episcopale per la liturgia) la possibilità di un’importante sottolineatura: grazie alla riforma avviata dal Concilio, la Chiesa celebra oggi una liturgia più cristiana. La rinnovata fedeltà alla sostanza viva del Vangelo, che ha ispirato tutto l’evento conciliare, ha infatti promosso negli ultimi decenni forme rituali maggiormente rispondenti alla forma stessa del Vangelo e quindi più attente alla sensibilità degli uomini di questo tempo. Come affermato da papa Francesco, «il lavoro della riforma liturgica è stato un servizio al popolo come rilettura del vangelo a partire da una situazione storica concreta». In questo senso, la qualità cristiana della liturgia è un compito aperto, che chiede sempre nuove risposte.
Il 13 giugno a Roma si parla di "Sud. Il capitale che serve" di Borgomeo con Quagliarello, Francesco Profumo, Graziano Delrio, Nicola Rossi e Raffaele Fitto.