L’interrogativo che fa da titolo all’intervento di mons. Giacomo
Canobbio, docente di Teologia dogmatica alla Facoltà teologica di
Milano, offre un’occasione preziosa per verificare la recezione del
rinnovamento ecclesiologico proposto dal Vaticano II e che, in questi
cinque decenni, ha incontrato non poche difficoltà. Ancor oggi prevale
presso l’opinione pubblica, laica ed ecclesiale, la rappresentazione
di una Chiesa nella quale vigono una concentrazione verticistica
e clericale della parola pubblica e una consistente difficoltà nel realizzare
forme partecipate di decisione. Viene in tal modo mortificata
la nativa corresponsabilità dei laici nella missione della Chiesa, affermata
con nitore dal Concilio. Molti i motivi di questa perdurante
configurazione, che tuttavia, secondo l’Autore, può trovare una via
di evoluzione anzitutto ripensando la presenza dei laici nella Chiesa,
riconoscendo loro un ruolo adulto e non surrogabile nel discernimento
dei ‘segni dei tempi’; in secondo luogo potenziando gli ambiti
di libera opinione nella Chiesa; cercando, infine, metodi mediante i
quali giungere a formare un’opinione tendenzialmente comune.
Molti considerano negativamente l’esperienza del lamento interpretandolo
quale ‘tentazione’. Eppure il testo biblico riporta lamentazioni
di Dio e dello stesso Gesù. Piuttosto è la ‘mormorazione’ ad essere
severamente censurata dalla Scrittura. Prendendo le mosse da
questi dati biblici, don Giovanni Cesare Pagazzi, docente di Teologia
sistematica presso la Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale di
Milano, costruisce una fenomenologia della lamentazione quale figura
della fede salda: resistente alle fatiche dell’intesa e alle frustrazioni,
animata da incrollabile fiducia nella bontà della relazione, seppur mai
trovata una volta per tutte. Viceversa, occorre particolare vigilanza
nei confronti della mormorazione, figura che si sottrae al legame,
verso il quale ha in realtà già smesso di nutrire speranza. Andrebbe
quindi evangelizzato chi mormora, «incoraggiandolo a non temere
e sospettare proprio quella relazione percepita a volte come resistente,
dura e urtante, poiché perfino questi aspetti potrebbero
indicare quell’affidabilità e consistenza capaci di ospitare e sostenere
il lamento faccia a faccia».
L’attuale cultura postmoderna, così attenta alla dimensione intersoggettiva,
richiede al prete di declinare il suo costitutivo essere ‘uomo
della comunione’ in una specifica attenzione relazionale. D’altra parte,
poiché le molteplici forme del vivere comune sono una straordinaria
risorsa per l’annuncio del Vangelo, il prete stesso non può non
interrogarsi su quali siano le concrete modalità espressive della comunione,
capaci di propiziare il suo ministero. Don Donato Pavone,
sacerdote della diocesi di Treviso, psicologo e delegato del vescovo
per la formazione permanente del clero, propone in questo saggio
una ricca analisi di risorse, difficoltà e strategie relazionali, normalmente
incontrate dal prete nella vita comunitaria e nei suoi molteplici
e inevitabili conflitti. Una disamina ampia e utile, nella quale
ognuno potrà riconoscere almeno parte della propria esperienza
pastorale, e ravvisare le molteplici strategie ‘difensive’ spesso inconsapevolmente
messe in atto a protezione delle proprie insicurezze,
della scarsa disponibilità al confronto e al dialogo e, quindi, a quella
buona capacità di comunicare che «è la via ordinaria di risoluzione
di conflitti e tensioni».
L’impiego del Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC) nella catechesi
e nella formazione dei catechisti merita una riflessione. Il testo,
recentemente riproposto da Benedetto XVI come «sussidio prezioso» per l’anno della fede, non si presta infatti a un facile e immediato
impiego nelle dinamiche della catechesi, intesa quale atto vivo di trasmissione
della fede. Le competenti e articolate riflessioni di fr. Enzo
Biemmi, FSF, presidente del gruppo dei catecheti europei e direttore
dell’ISSR di Verona, riprendono le caratteristiche del CCC nel quadro
della tradizione dei grandi catechismi del passato per meglio
comprendere il suo ‘buon uso’ pastorale. Distinguere catechismo
da catechesi, evitare di ridurre la Rivelazione a somma di verità da
credere, prestare attenzione ai contenuti del credere distinguendoli
dalla loro riduzione dottrinale: questi alcuni dei suggerimenti che
convergono nel ricordare che al centro della catechesi sta la Parola
di Dio letta secondo la comprensione della Chiesa. «Si serve la fede
quando se ne assicura la sua struttura fondamentale, quando rimane
indissolubilmente atto, contenuto e atteggiamento. Risulta così chiaro
che la lettura del CCC è buona quando, attraverso il contenuto,
suscita l’atto della fede e conduce all’atteggiamento di una vita conforme
al dono ricevuto».
La lettura del testo di Isaia qui proposta dalla biblista sr. Benedetta
Rossi MDM propone una suggestiva riflessione sulla figura della sentinella.
Essa è immagine del profeta, tutto teso all’ascolto della parola
e a scrutare il senso degli eventi. Il profeta sta ai margini e sugli avamposti
per acquisire nuovi punti di vista, la capacità di farsi carico di
domande e istanze provocate dagli eventi, attendendo con coraggio
una parola di ritorno. Il brano così interpretato istruisce sul modo di
stare nel nostro tempo, specie chi è investito di grandi responsabilità
nei confronti della comunità cristiana.
Il 23 marzo 1980 mons. Oscar Arnulfo Romero venne assassinato
mentre celebrava l’Eucaristia nella cappella del piccolo ospedale
Divina Providencia a El Salvador. A 33 anni dalla sua scomparsa ricordiamo
con questa nota i tratti salienti del suo ministero episcopale
e della cristologia che l’hanno ispirato. Ne è autore Antonio Agnelli
(presbitero della diocesi di Cremona, dove insegna Introduzione alla
Teologia presso l’Università Cattolica), che delinea il profilo biografico, teologico e pastorale della figura di mons. Romero. Il suo tratto
caratteristico fu la fedeltà al Vangelo, ai poveri e alle indicazioni del
Concilio Vaticano II. Ne fu frutto coerente la condivisione, fino al
martirio, del destino del popolo di El Salvador, dove «egli ha creduto,
amato, e seguito Gesù, Figlio di Dio fatto uomo e nostro fratello
maggiore, sino alla fine, attraverso una mistica dagli occhi aperti e
dal cuore vibrante, mediante un’unione con lui così vera e profonda,
da permettergli di riconoscerlo senza alcuna difficoltà negli sguardi
degli impoveriti e sofferenti».